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Maria Teresa Renzi-Sepe
Ammirare le stelle cadenti con gli occhi di uno scriba babilonese

Ammirare Le Stelle Cadenti Con Gli Occhi Di Uno Scriba Babilonese Sepe Cover
Scienza spazio storia

Perché continuiamo a rivolgere le nostre speranze alle luci che sfrecciano nel cielo notturno? La risposta si trova nella logica divinatoria nata in Mesopotamia 3.000 anni fa.

Perché, ad agosto, alziamo gli occhi al cielo per esprimere un desiderio a una stella cadente? Una risposta esiste e non è affatto irrazionale. Per trovarla, dobbiamo tornare indietro di tremila anni e addentrarci nel pensiero scientifico e nella scrittura degli scribi della Mesopotamia. Per loro, l’idea che il futuro fosse “scritto nelle stelle” aveva un significato profondo, che stiamo ancora cercando di comprendere, ma che ci offre indizi sorprendenti sulle origini e sulla natura della logica stessa. 

Grazie a un’osservazione costante, gli scribi hanno concettualizzato il cielo in molti modi. Ciò ha costituito l’impeto per l’istituzione del calendario, fino ad arrivare all’astronomia matematica predittiva, un insieme di algoritmi ideati per calcolare quando e dove i pianeti sarebbero riapparsi nello stesso punto del cielo, nella stessa data. 

Queste sono solo alcuni dei grandi architravi della scienza cuneiforme – una scienza diversa da quella occidentale. Nell’indagine scientifica della Mesopotamia non ci si chiedeva di che materia fossero fatti gli astri o come funzionassero dal punto di vista fisico. Si tentava, invece, di prevedere gli eventi futuri e di decifrare il significato di quelli presenti. Fu con il linguaggio e la scrittura che gli scribi provarono a comprendere quel che gli accadeva intorno. 

L’Assiriologia, cioè lo studio storico-culturale dell’area fra l’attuale Iraq e Iran, è nata alla fine del XIX secolo. I primi scavi archeologici portarono alla luce un’impressionante quantità di tavolette d’argilla: fonti scritte di ogni genere in scrittura cuneiforme, databili fra i 5000 e i 2000 anni fa. I Sumeri furono i primi abitanti della Mesopotamia a utilizzare questa scrittura; poi, gli Accadi la adottarono per scrivere nella loro lingua, l’accadico, capostipite delle lingue semitiche. I segni cuneiformi diventarono circa 800: un solo segno poteva significare, rispettivamente, svariate sillabe o parole accadiche diverse. Per questo diciamo che la scrittura cuneiforme è sia logografica che sillabica, e i suoi segni sono caratterizzati dalla polisemia: a uno stesso segno corrispondevano molti significati.

Dalla sua nascita per scopi amministrativi, la scrittura si espande e permea ogni campo della conoscenza, fino a diventare sia uno strumento epistemologico – per organizzare la conoscenza del mondo – che un oggetto di studio. Abbiamo trovato intere liste di parole senza alcun corrispettivo apparente nella realtà, create solo per sperimentare le potenzialità dei segni cuneiformi. Quelli che a noi oggi appaiono come giochi di parole sono, in realtà, il cuore dell’indagine scientifica cuneiforme: da qui in poi proveremo ad abbandonare questo pregiudizio e a rivalutare la più antica forma di scienza che conosciamo.

Qualsiasi cosa accada sopra le nostre teste è, per gli scribi, scrittura del cielo da tradurre in scrittura umana. È su questa idea che si basava la divinazione celeste, praticata alla corte dei re Neo-Assiri di Ninive, che governarono la Mesopotamia circa tremila anni fa. La divinazione consisteva nell’osservare il cielo in un determinato giorno, dal tramonto all’alba, e tradurre ciò che vi si leggeva: costellazioni, pianeti, fenomeni atmosferici. I cosiddetti “presagi” del cielo – un nome che richiama più la magia che la scienza – spiegavano in che modo i fenomeni celesti avrebbero influenzato la comunità. 

I presagi venivano scritti come inferenze, cioè espressioni del tipo: “Se P accade, allora Q accadrà”. Le inferenze sono una forma di ragionamento logico simile a quello deduttivo – quello delle nostre scienze. Un esempio di deduzione che conosciamo bene è: in un triangolo rettangolo, l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sugli altri due lati. Questo è il teorema di Pitagora. Se un triangolo rettangolo ha i cateti di 4 e 3 centimetri, allora dedurremo che l’ipotenusa è di 5 centimetri.

“Qualsiasi cosa accada sopra le nostre teste è, per gli scribi, scrittura del cielo da tradurre in scrittura umana. È su questa idea che si basava la divinazione celeste”.

Le tavolette di argilla riportano lunghe liste di presagi, e tra i vari fenomeni registrati dagli scribi c’erano le stelle cadenti che, essendo considerate imprevedibili, funzionavano quasi come eventi profetici:

Se un uomo intraprende un’impresa e una stella si accende da destra verso sinistra rispetto all’uomo, allora è favorevole. Se da sinistra verso destra, allora è sfavorevole.

Nella cultura cuneiforme, ciò che proviene dal lato sinistro ha una proprietà negativa, mentre il lato destro è positivo. Quindi, se una persona che vuole realizzare qualcosa (un viaggio, una compravendita, un matrimonio) vede passare una “stella che si accende” dalla sua destra alla sua sinistra, concluderemo che riuscirà nel suo intento. Questi presagi ci consentono di inferire conclusioni sulla base della somiglianza fra la provenienza della stella e la proprietà dei lati – questa è l’analogia, un altro tipo di ragionamento chiamato induttivo.

Oltre alle stelle, il meteo era oggetto di assidua osservazione perché la sua prevedibilità era importante in campo agricolo e bellico.

Se il giorno è senza nuvole e piove sangue, allora gli dèi distruggeranno la propria terra.

A un primo sguardo, la tentazione di pensare che si tratti di una frase particolarmente fantasiosa è forte. È difficile credere che in Mesopotamia piovesse sangue. A un secondo tentativo potremmo invece dire che il presagio sottintende un ragionamento logico razionale. La logica non è applicata alla ricerca delle cause fisiche della pioggia di sangue, ma alla scrittura. Ciò che dobbiamo guardare per comprenderla sono i segni cuneiformi usati. Provando a schematizzarlo, otteniamo qualcosa di molto simile a questo:

Se 𒁁 e 𒁁 𒀀𒀭, allora 𒀭 𒁁

Proviamo a staccarci dalla nostra scrittura alfabetica e pensare come uno scriba, soffermandoci sul fatto che i segni cuneiformi sono logogrammi. Possono essere uguali nella forma, ma hanno diverse letture e significati.

“Senza nuvole”, “sangue” e “distruggere” si scrivono con questo segno: 𒁁 

“Dio” (𒀭) e “pioggia” (𒀀 + 𒀭) si scrivono anch’essi utilizzando lo stesso segno, con un’aggiunta nel secondo caso. Nello specifico, il segno 𒀀 significa “acqua”, mentre 𒀭 significa “dio” ma anche “cielo”. Potremmo dire che i segni 𒀀 𒀭 significano “acqua di cielo”, cioè la pioggia.

Questo tipo di sperimentazione grafica è uno dei metodi con cui si costruisce la conoscenza in Mesopotamia. In altre parole, è una questione di analogie, rintracciabili tra la scrittura e gli eventi che accadono nel cielo e sulla terra. 

Gli scribi consideravano gli dèi come astri residenti del cielo – dunque, se piove sangue, una battaglia sanguinosa si sta svolgendo lassù, e ciò porterà alla distruzione della terra degli dèi, cioè il cielo. In questo modo inferiamo la conseguenza logica della pioggia di sangue e, allo stesso tempo, la dimostriamo valida attraverso la polisemia dei segni cuneiformi.

“I presagi mesopotamici sono una manifestazione di razionalità, per una scienza che non si chiede come funziona? ma cosa significa?”

E per gli scettici: fenomeni impossibili come “pioggia di sangue”, ci sembrano tali solo perché scritti in modo ambiguo (per noi). Una “pioggia di sangue” è un modo per descrivere un fenomeno percepibile, la cosiddetta “pioggia rossa”. Ha diverse potenziali spiegazioni scientifiche, tra cui la polvere rossa sospesa nell’acqua, la presenza di microrganismi, o anche le aurore rosse che sembrano pioggia. Una “pioggia di sangue” ci sembra un’affermazione poetica, mentre “polvere rossa sospesa nell’acqua” suona più scientifica, anche se vuol dire la stessa cosa. 

Il trucco, a volte, sta nel linguaggio usato per descrivere i fenomeni. Per i linguisti George Lakoff e Mark Johnson, il nostro linguaggio e modo di pensare sono di natura essenzialmente “metaforica”. Si può partire da un’esperienza – il sangue – per descrivere qualcosa che appartiene a un’altra esperienza – la pioggia rossa. 

I testi divinatori sono migliaia, provengono da epoche e città diverse della Mesopotamia, e gli assiriologi li stanno ancora traducendo e interpretando. Ma oggi, mentre ripensiamo la scienza anche dal punto di vista filosofico, guardare al passato con occhi nuovi può offrirci spunti sorprendenti. Possiamo già dire che la divinazione rappresenta una forma di logica, fatta di dati empirici, analogie e inferenze, prima ancora che i filosofi greci le definissero. I presagi mesopotamici sono una manifestazione di razionalità, per una scienza che non si chiede come funziona? ma cosa significa? 

È vero che la scienza di oggi si pone altre domande e che, se pensiamo a una stella cadente, sappiamo che si tratta di una roccia che brucia nell’atmosfera. Eppure, nel momento in cui ne vediamo una, può ancora capitarci di esprimere un desiderio e di chiederle di mandarci un segno. Perché, al di là della razionalità, ciò che ci accomuna agli antichi scribi – e forse anche a chi verrà dopo di noi – è la stessa, instancabile urgenza: sapere come andrà a finire.

Maria Teresa Renzi-Sepe

Maria Teresa Renzi-Sepe è ricercatrice presso l’Istituto di Storia della Conoscenza dell’Antichità alla Freie Universität di Berlino. È laureata in Archeologia e ha un dottorato in Assiriologia. La sua ricerca spazia tra la filologia e la storia della scienza, concentrandosi sulla concettualizzazione delle stelle e dei pianeti nel mondo cuneiforme. Scrive anche di libri su alcune riviste culturali online.

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