Articolo
Giorgio Brizio
Anche in Europa si criminalizza la solidarietà

Anche In Europa Si Criminalizza La Solidarietà
politica storia

Seán Binder è un paramedico specializzato in ricerca e soccorso in mare, e nel momento più drammatico della crisi migratoria coordinava una squadra di medici sull’isola greca di Lesbo. Dal 2023, però, insieme ad altri attivisti è sottoposto a processo.

“Se dovete andare in prigione, fatelo su un’isola greca, dove splende il sole e il cibo è mediterraneo”. Seán Binder è un giovane uomo nato in Germania e cresciuto in Irlanda. Lavora come paramedico specializzato in ricerca e soccorso in mare, e nel momento più drammatico della crisi migratoria si è recato sull’isola di Lesbo. Per quasi un anno ha coordinato una squadra di medici nelle operazioni di salvataggio di e gli equipaggi di barche pronti a reagire alle situazioni di emergenza, prestando soccorso a 50.000 persone. Ad alcune bastava un sorriso, una coperta calda e poco altro. Altre avevano bisogno urgente di assistenza medica.

“Una situazione particolarmente drammatica, che mi è rimasta impressa, si è verificata una fredda notte d’inverno in cui abbiamo soccorso un piccolo gommone con una capienza massima di venti persone e che invece ne portava ottantasei, tra cui più di venti bambini, molti senza giubbotto di salvataggio. Ricordo che avevamo tratto in salvo ottantacinque persone e stavo dando un’ultima occhiata sul gommone. Ci è mancato poco che non mi accorgessi di un uomo in stato di ipotermia che giaceva immobile sul fondo del gommone, ricoperto quasi del tutto d’acqua. Lui è stato salvato in tempo: ma per molti altri non è stato così.”

Ho conosciuto Seán nel 2023, un giorno di inizio gennaio, sulle scale del palazzo della grigia corte di Mitilene, a Lesbo. Era lì per il suo processo, definito da Human Rights Watch “il più grande caso di criminalizzazione della solidarietà in Europa”. Era accusato, insieme a ventitré altri operatori umanitari, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, traffico di esseri umani, riciclaggio di denaro, frode, falso, uso illegale di frequenze radio, appartenenza a un’organizzazione criminale e – “sogno della mia infanzia divenuto realtà” – spionaggio.

Tra gli imputati più in vista anche Athanasios Karakitsos, che adesso si occupa di minori con background migratorio ma che dal 2016 al 2018 ha lavorato anche con la guardia costiera greca. “Quando sono arrivato a Lesbo, nel gennaio 2016, mi sono subito trovato a gestire situazioni difficili, con migliaia di migranti e rifugiati che cercavano di raggiungere la costa, a un ritmo di circa quindici barche al giorno. C’erano molti volontari e organizzazioni non governative che aiutavano queste persone, le quali venivano a chiedere asilo. La maggior parte proveniva dalla Siria.”

È arrivata a Lesbo dalla Siria anche l’imputata più nota del processo. Si chiama Sarah Mardini, e la sua storia è divenuta famosa grazie all’autobiografia The Butterfly e al film Le nuotatrici di Sally El Hosaini, disponibile su Netflix. Le sorelle siriane Yusra e Sarah Mardini, fuggite nel 2015 con la guerra alle porte di Damasco, sono riuscite a salvare la loro vita e quella di altre sedici persone gettandosi coraggiosamente in mare dal gommone su cui si trovavano che imbarcava acqua, riuscendo – a nuoto – a spingerlo fino a Lesbo. Le due sorelle, dopo aver affrontato i rischi che le frontiere e le politiche della fortezza Europea oppongono a chi scappa, sono arrivate in Germania. Il film si conclude, come nella realtà, con Yusra che corona il suo sogno partecipando nel team rifugiati alle Olimpiadi di Rio 2016 e Sarah che decide di fare ritorno a Lesbo.

Tra il 2006 e il 2011, il 60% del territorio siriano ha sofferto il peggior periodo di siccità a lungo termine e di mancati raccolti nella storia del Paese. Milioni di persone hanno perso tutto o sono state costrette a lasciare il luogo in cui vivevano. L’instabilità sociale che ne è risultata ha rafforzato le motivazioni politiche della crisi in Siria.

La loro storia è straordinaria nell’epilogo ma comune all’origine. In Siria, negli ultimi quindici anni, oltre metà della popolazione di 22 milioni di abitanti è stata costretta all’emigrazione interna o esterna. Tutto è iniziato con una scritta su un muro: “È il tuo turno, dottore”, un messaggio in arabo lasciato da alcuni studenti a Daraa, nel 2011, riferito al sanguinario dittatore Bashar al-Assad. La polizia di regime imprigionò e torturò quegli studenti. Quando i genitori andarono a chiedere notizie dei loro figli, gli venne detto “fatene altri”. Dalla protesta delle loro famiglie si innescò la scintilla della primavera araba siriana, che venne repressa da Assad con il gas nervino sarin e altre armi chimiche. L’ondata delle primavere arabe, l’instabilità politica e l’ascesa dello Stato Islamico tuttavia da sole non spiegano lo scoppio della rivoluzione in Siria.

Tra il 2006 e il 2011, il 60% del territorio siriano ha sofferto il peggior periodo di siccità a lungo termine e di mancati raccolti nella storia del Paese. Milioni di persone hanno perso tutto o sono state costrette a lasciare il luogo in cui vivevano. Secondo il fisico del clima Antonello Pasini e il diplomatico Grammenos Mastrojeni, autori di Effetto serra, effetto guerra, l’instabilità sociale che ne è risultata ha rafforzato le motivazioni politiche della crisi in Siria. La loro tesi ricalca quella di uno studio della Columbia University, secondo cui il riscaldamento globale avrebbe giocato l’importante ruolo di stratificare e accelerare la crisi. L’indebolimento del sistema di venti che trasportano le nubi dal Mediterraneo avrebbe diminuito le precipitazioni stagionali tra novembre e aprile, e l’innalzamento delle temperature avrebbe aumentato l’evaporazione dell’umidità del suolo nei mesi estivi.

Il risultato è stata la più lunga e intensa ondata di calore mai registrata nell’Al-sham (termine arabo più appropriato di “Medio Oriente”), che si sarebbe difficilmente verificata senza l’influenza antropica sul clima. Rispetto all’inizio del Novecento, le temperature medie nella regione oggi sono più alte di circa 1,2 gradi. In questo caso, la miopia dei governi non ha avuto solo comuni e devastanti conseguenze globali, ma anche un diretto impatto locale: Assad ha incoraggiato la produzione e l’esportazione di colture che necessitano di grandi quantità di acqua, come il cotone, spingendo allo sfruttamento eccessivo delle riserve idriche del Paese. Quando la siccità si è presentata, gli effetti sono stati gravi e immediati.

La produzione agricola si è contratta di un terzo, le mandrie di bestiame sono state spazzate via, il prezzo dei cereali è raddoppiato e le malattie in età infantile sono aumentate drammaticamente. Spinto da queste difficoltà, ancora prima dello scoppio della guerra quasi un milione e mezzo di persone ha iniziato a spostarsi, innescando i primi conflitti per le risorse nelle campagne o cercando rifugio nei sobborghi delle città già sovrappopolati dai rifugiati provenienti dall’Iraq. È da quelle periferie che sarebbe successivamente scoppiata la scintilla delle proteste e della guerra civile siriana. 

Nel dicembre 2024 le milizie sostenute dalla Turchia di Hayat Tahrir al-Sham, un erede di Daesh (Isis) che si presenta come più moderato, hanno prima raggiunto Aleppo e poi conquistato Damasco, completando un’incursione dilagante che qualche anno prima Bashar al-Assad aveva compiuto nell’arco di diversi anni. Oggi il loro leader, Ahmed al-Sharaa, ha messo da parte il nome di battaglia al-Jolani ed è diventato presidente ad interim promettendo di unire il Paese e rispettare tutte le etnie, anche se gli alawiti sulla costa mediterranea sono perseguitati e i curdi nel Rojava oltre l’Eufrate marginalizzati. A un anno dalla caduta della dinastia degli Assad, 1,9 milioni di sfollati interni sono tornati nelle loro zone di origine, mentre 1,2 milioni hanno volontariamente fatto ritorno dall’estero. 560.000 dalla Turchia, 379.000 dal Libano e 170.000 dalla Giordania secondo gli ultimi dati dell’UNHCR, che nel 2025 ha sostenuto economicamente 36.000 famiglie per il ritorno e ha accompagnato 30.000 persone fino alle loro vecchie case in macerie.

Permettere il rientro di un numero così elevato di persone, garantendo almeno servizi pubblici essenziali, acqua ed elettricità, è una delle sfide più impegnative per al Sharaa e il suo esecutivo. “Questa è un’opportunità unica per porre fine a una delle peggiori crisi umanitarie del mondo”, ha dichiarato l’alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi. “Ma senza un sostegno globale urgente, questa finestra di speranza si chiuderà. I siriani sono pronti a ricostruire – la domanda è se il mondo è pronto ad aiutarli a farlo”. L’amministrazione Trump ha rimosso dalla lista dei terroristi al Sharaa, che è divenuto il primo ricercato dagli Stati Uniti a essere accolto alla Casa Bianca, ma non ha rimosso le sanzioni alla Siria contenute nel Caesar Act, che rendono impossibile la ricostruzione. Il 16 dicembre 2025 gli USA hanno aggiunto la Siria, la Palestina e altri sei Paesi alla lista di quelli ai cui cittadini è vietato l’accesso, riproponendo di fatto il “Muslim Ban” voluto da Trump nel 2017.

Oggi circa 4,5 milioni di rifugiati siriani vivono ancora nei paesi dell’Al-sham, la maggior parte dei quali al di sotto della soglia di povertà. In Europa, invece, oggi vivono circa un milione di persone nate in Siria, di cui 775.000 in Germania, 95.000 in Austria, 85.000 in Svezia, 65.000 nei Paesi Bassi, 50.000 in Grecia, 6.000 in Italia. 

Mido, l’attivista e atleta siriano che mi ha aiutato a decolonizzare il mio vocabolario sull’al-Sham per questo articolo, aveva un sogno analogo a quello di Yusra Mardini. Anche se volesse, però, non potrebbe entrare negli Stati Uniti. Abdulrahman Zeitoun, anch’egli siriano, viveva invece negli USA quando l’uragano Kathrina si abbatté su New Orleans. Con una canoa di seconda mano, attraversò le strade della città diventate fiumi soccorrendo persone e animali. Alla sua storia, che invece ricorda quella di Sarah Mardini, è ispirato il romanzo Zeitoun di Dave Eggers. 

Oggi circa 4,5 milioni di rifugiati siriani vivono ancora nei paesi dell’Al-sham, la maggior parte dei quali al di sotto della soglia di povertà. In Europa, invece, oggi vivono circa un milione di persone nate in Siria, di cui 775.000 in Germania, 95.000 in Austria, 85.000 in Svezia, 65.000 nei Paesi Bassi, 50.000 in Grecia, 6.000 in Italia

Questi dati cristallizzano tre capisaldi della migrazione e sovvertono la percezione che ne abbiamo. Primo: una parte significativa – spesso maggioritaria – delle persone che fuggono da una crisi restano all’interno del proprio Paese. Secondo: la stragrande maggioranza di chi supera un confine resta in un Paese limitrofo. Terzo: gli Stati europei di arrivo sono solo di passaggio.

Le principali leggi comunitarie al riguardo, a partire dal Regolamento di Dublino nei suoi vari aggiornamenti, non sono solo crudeli nei confronti delle persone migranti, ma anche controproducenti per i Paesi ai confini dell’Unione. 

Nel 2015, oltre 800.000 persone, perlopiù siriane, hanno attraversato il Mar Egeo tra le coste turche nei pressi di Ayvalık e le isole greche Lesbo, Samos, Chios, Kos e Leros. Sono state spesso accolte dagli stessi isolani, discendenti dei profughi greci cacciati dalla neonata Turchia all’inizio del Novecento. Dopo l’accordo del 2016 tra UE e Turchia, il numero di arrivi è diminuito di anno in anno. Del campo pieno di ulivi di Moria, quello visitato da Papa Francesco che prima del grande incendio del 2020 ospitava fino a 20.000 persone, l’area detentiva è l’unica ancora in piedi, per quanto anch’essa abbandonata.

A causa del minor arrivo di persone migranti e della crescente criminalizzazione, oltre che di quest’ultime, delle organizzazioni umanitarie da parte del governo greco, gli attivisti e i volontari a Lesbo sono andati via via diminuendo. Sarah Mardini non può più entrare nel Paese, mentre Seán Binder, Nassos Karakitsos e altre ventuno persone sono tornate sull’isola. Non per una rimpatriata, ma per un nuovo processo. Nel 2023 l’accusa aveva volutamente separato i capi di imputazione minori perché soggetti a una pena massima di cinque anni e un periodo di prescrizione di otto. I capi d’imputazione che ancora pendono sugli operatori umanitari sono associazione criminale, riciclaggio di denaro e favoreggiamento dell’ingresso irregolare in Grecia, che hanno una prescrizione di vent’anni e una pena massima di venticinque.

Nel 2023, Binder mi disse: “Sembra una strategia per rimandare il più a lungo possibile, il che ci dice due cose: la prima è che non sono convinti che siamo colpevoli – se fossimo le menti criminali che dicono saremmo rimasti in prigione. La seconda è che tutto ciò ci mostra che si può essere accusati, imprigionati e processati senza aver fatto niente di male, il che è ancora più spaventoso. Se io posso essere colpevole di aver dato dell’acqua a una persona in difficoltà, allora potresti essere tu il colpevole la prossima volta”.

La prima udienza del nuovo processo, tenutasi il 4 dicembre, è stata dedicata ad ascoltare i testimoni, esponenti della guardia costiera e della polizia ellenica. “È assurdo che questo processo abbia luogo: tutte le accuse contro Seán sono infondate e devono essere archiviate”, ha commentato Esther Major di Amnesty International, che ha realizzato il documentario La storia di Seán Binder, intervistato e raccontato dalla voce dell’attrice Valeria Solarino. Nel 2024, è uscito un piccolo libro collettivo, Per molti anni da domani, di cui Binder e Karakitsos sono due dei ventisette autori e che raccoglie il pensiero di un attivista da ogni Paese membro dell’Unione e che propone un’Europa diversa, all’altezza del suo spirito fondativo, su clima, pace, diritti.

Nel 2025 la Grecia ha sospeso le richieste d’asilo delle persone che vi arrivano percorrendo la nuova, più pericolosa rotta tra la Cirenaica libica e l’isola Gavdos a sud di Cipro. In questo tratto di mare non è rimasto nessuno a soccorrere.

Giorgio Brizio

Giorgio Brizio, 23 anni, è un attivista che si occupa di clima e migrazioni. È autore di Non siamo tutti sulla stessa barca (Slow Food Editore, 2021) e curatore di Per molti anni da domani – ventisette attivisti europei scrivono di clima, pace e diritti (Bollati Boringhieri, 2024).

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