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Valeria Barbi
Il lato oscuro dell’avocado

Il Lato Oscuro Dell’avocado Barbi Sito
animali economia natura

In Messico la criminalità organizzata sfrutta la crescita del mercato agricolo e minaccia le farfalle monarca. Qual è il vero prezzo di questo frutto sempre più diffuso?

In bilico tra cultura pre-ispanica, retaggi coloniali e contaminazioni occidentali, il Messico è un ponte tra un continente che ne rinnega la presenza, nonostante i 38 milioni di messicani che vivono negli Stati Uniti, e quel piccolo lembo di terra che chiamiamo Centro America e che, da solo, custodisce il 7% della biodiversità su scala globale a fronte di un territorio pari solo allo 0,5% delle terre emerse. 

Un mondo naturale che emerge con prepotenza tra le sue strade e che si intrufola nei villaggi, tra le botteghe e le case color pastello sui cui muri spiccano spesso murales raffiguranti alcuni degli animali più emblematici del paese: giaguari, tapiri, orsi neri, colibrì, squali balena e farfalle monarca. Quando, nell’autunno del 2023, ho attraversato il paese per cercare di documentare alcuni degli effetti devastanti che le attività umane stanno arrecando alla biodiversità locale, mi è capitato spesso di fermarmi ad osservare quei piccoli capolavori che prendevano vita tra macchie di intonaco sbiadito e poster di un qualche gruppo di musica tradizionale.

Storie dipinte a mano che raccontavano di creature fantastiche capaci di emergere dalle tenebre, animali dalle caratteristiche straordinarie, esseri dalle dimensioni inesplorate, residui di antiche mitologie che hanno gettato radici così profonde da confondersi con la quotidianità. Alcune di queste creature provengono da racconti talmente antichi che nessuno sa esattamente quando né perché siano nate; altre, invece, si sono aggiunte al folklore locale in epoche più recenti, arricchendo il patrimonio immaginario di nuove figure misteriose. Altre ancora raccontano un legame tra esseri umani, morte e animali spinto alle sue più estreme conseguenze da un quarto elemento onnipresente nel Paese: la criminalità organizzata. 

In nazioni come il Messico, la sua presenza è talmente evidente che, col tempo, avevo iniziato io stessa a darla tristemente quasi per scontata. La percepivo nei locali dove, indipendentemente dalla categoria e dalla fascia di prezzo, all’ingresso dei bagni era onnipresente un affiliato (o un’affiliata) del narcotraffico con il suo listino di prodotti e relativi prezzi. La vedevo per strada, nei blocchi gestiti dai cartelli, e negli occhi della gente, soprattutto nei piccoli e remoti pueblos dove il territorio è ricco di risorse, la popolazione è piena di entusiasmo ma priva di denaro. Una sera, mentre attraversavo lo Stato del Sinaloa insieme a Davide Agati – coautore di WANE We Are Nature Expedition, il progetto di reportage che mi ha portata ad esplorare Nord Centro e Sud America per quasi due anni – una casellante ci aveva caldamente consigliato di fermarci nei pressi della stazione autostradale e di evitare di muoverci fino all’alba “stasera la polizia federale non pattuglia l’area e per voi è ancora più pericoloso”, ci disse prima di consegnarci il resto.

Da quando sono tornata, ricordi come questo mi vengono spesso in mente nei momenti più disparati: quando cammino liberamente per strada o mi accingo a comprare da mangiare in qualche bancarella del mercato. Tra le casse di frutta rivedo le persone che ho incontrato e penso a quanto sia facile dimenticare l’impatto che le nostre azioni quotidiane, e in particolare le nostre scelte di consumo, possono avere in altre regioni del Pianeta dove la criminalità organizzata è un fenomeno tentacolare che condiziona tutto e tutti. 

Un esempio lampante è il consumo di avocado e, in particolare, di quello proveniente dal Michoacán la cui domanda è trainata dagli Stati Uniti per un business il cui valore, nel 2024, ha raggiunto la cifra record di 3,87 miliardi di dollari totali di cui 3,49 riconducibili alle sole importazioni dal Messico. Un mercato in continua crescita che, nel primo trimestre del 2025, ha già registrato un valore di 1,32 miliardi di dollari e che, secondo un report congiunto di OECD e FAO, entro il 2030 porterà l’avocado a essere il secondo frutto tropicale più commerciato al mondo dopo le banane, superando il volume di esportazione sia di ananas che di mango. Ed è qui che la storia prende una piega ancor più oscura.

Negli ultimi anni, infatti, complici la sovrapproduzione di foglie di coca in Colombia, che ha distorto i prezzi di mercato, e la concorrenza del fentanyl, i cartelli della droga hanno iniziato a diversificare il proprio business. Così, soprattutto nel Michoacán, la criminalità organizzata ha iniziato a infiltrarsi nell’industria dell’avocado e oggi fino all’80% dei frutteti dello Stato sorgono su terreni provenienti da una qualche forma di uso illegale del suolo ottenuta attraverso l’estorsione e con il benestare di autorità pubbliche corrotte e conniventi. Un panorama torbido a cui si aggiungono l’appropriazione indebita dei terreni a danno dei piccoli agricoltori e delle comunità locali e il traffico di droga e armi dirette a Nord.

“Secondo un report congiunto di OECD e FAO entro il 2030 l’avocado potrebbe diventare il secondo frutto tropicale più commerciato al mondo dopo le banane, superando il volume di esportazione sia di ananas che di mango”.

Una delle tecniche più utilizzate da cartelli come Jalisco Nueva Generación, Familia Michoacana, Los Viagras e Caballeros Templarios consiste nelle cosiddette tariffe di protezione, un vero e proprio pizzo che gli agricoltori e i trasportatori pagano in cambio di “protezione” ma che aumenta i costi di produzione danneggiando i piccoli produttori e spingendoli ad abbandonare i campi. Un’altra forma di coercizione coinvolge il controllo delle vie di trasporto: i cartelli intercettano le consegne per garantire il controllo sui prezzi e sulla direzione della catena di approvvigionamento, corrompono i funzionari locali affinché ignorino le attività illecite o rilasciano permessi che assicurano il controllo nelle zone dove si coltiva avocado. Un clima di paura che non colpisce solo l’economia locale ma minaccia anche la biodiversità.

In un paese come il Messico, dove tra il 1994 ed il 2022 la superficie agricola è aumentata del 173% superando i 33 milioni di ettari, di cui più di 256 mila destinati all’avocado, le foreste e le aree protette sono diventate un ostacolo da abbattere a tutti i costi. Comprese quelle di El Rosario dove, ogni anno a novembre, trovano rifugio le farfalle monarca (Danaus plexippus). Situata a pochi chilometri dal pueblo magico di Angangueo, a un’altitudine di 2700 metri, la Riserva della biosfera della farfalla monarca è stata inserita nel 2008 dall’UNESCO nella lista dei luoghi Patrimonio Naturale dell’Umanità per il suo valore ambientale e per i servizi che fornisce all’ecosistema. Con un’estensione di meno di due chilometri quadrati, la Riserva accoglie ogni anno milioni di farfalle dalle grandi ali arancioni e nere. Secondo alcune tradizioni, questi insetti rappresentano gli spiriti dei boschi.

Gli Aztechi le chiamavano quetzalpapalotl, le “farfalle sacre”; le nonne del popolo p’urhépecha narrano che i loro antenati, fuggiti dalle fredde terre centrali verso nuove regioni, si coprirono il corpo con la resina arancione degli alberi e il polline giallo dei fiori per scaldarsi, trasformandosi poi in farfalle monarca e volando verso la riserva odierna; per i Mazahua, le farfalle sono le anime dei propri cari che, con l’avvicinarsi del Giorno dei morti, visitano le famiglie e si radunano sull’altare votivo preparato per celebrarle.

Durante la mia visita nella Riserva, che io alzassi lo sguardo al cielo o lo fissassi tra i rami degli alberi di Oyamel (Abies religiosa), i cespugli o l’erba, le farfalle erano ovunque. Ognuno dei colorati individui che mi svolazzava attorno come se fossi un albero su cui cercare una presa, pesa solo mezzo grammo, ma la massa complessiva può essere tale da spezzare i rami degli alberi dove rimangono in semi‑ibernazione per quattro mesi. Quando i primi raggi del sole sfioravano le loro ali, le farfalle si spostavano da un albero all’altro, alcune atterravano al suolo, altre sulle piante, e le più audaci si posavano persino sulle persone che avevano raggiunto i quasi 3.000 metri di altitudine per osservarle. Mano a mano che il sole tramontava, si raggruppavano in formazioni simili a grandi grappoli d’uva arancioni. Erano le sopravvissute di una generazione straordinaria, nota come “matusalemme”, che con le prime avvisaglie di freddo avevano lasciato il Canada e percorso 5.000 chilometri per svernare e riprodursi in questo piccolo lembo di foresta ad alta quota.

Il viaggio di andata e ritorno dura otto mesi, durante i quali nascono e muoiono quattro generazioni di farfalle. Tuttavia, a causa di un letale mix di deforestazione, cambiamenti climatici, diminuzione nella frequenza e abbondanza di piante ospiti nell’area di riproduzione estiva dovuta all’ampio uso di pesticidi, e della presenza di infrastrutture come ponti, viadotti o grattacieli di cui è disseminato il loro viaggio verso Sud, la popolazione di farfalle monarca orientale è diminuita di circa l’80% in soli quarant’anni: un dato che è valso a questi animali l’inserimento nella lista rossa delle specie in via di estinzione stilata dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). 

Nelle notti in cui ho dormito nei pressi della riserva, mi è capitato spesso di sentire il suono stridulo delle motoseghe al lavoro per far spazio ai campi di avocado mantenendo, al contempo, un settore come quello del commercio di legname che oggi vanta il 70% di materiale di provenienza illegale, valutato in circa 3,2 miliardi di dollari negli Stati Uniti. Legname con cui potrebbero essere costruiti i tavoli dei locali statunitensi in cui l’avocado del Michoacán è elencato tra gli ingredienti di costosi panini gourmet, sushi. Un circolo vizioso da cui parrebbe difficile uscire visto che, sul lungo periodo, le forniture messicane potrebbero crescere del 5,2 % annuo proprio per soddisfare la domanda in crescita negli Stati Uniti. E intanto, nel 2023, la superficie occupata dalle farfalle monarca nei siti di svernamento è calata del 59% rispetto all’anno precedente. 

La situazione è così grave e strutturale che nell’ottobre del 2024 una denuncia da parte di alcuni membri della comunità locale ha spinto la Procuraduría Federal de Protección al Ambiente (Profepa) a ordinare la chiusura totale e temporanea di un terreno di cinque ettari dove un bosco misto di querce e pini era stato abbattuto per fare spazio a coltivazioni di avocado all’interno della Riserva. Su un’altra area di 2,82 ettari situata nella zona più elevata del bosco sono state individuate circa 470 piante di avocado piantate illegalmente al posto degli alberi che, pur se situati ai margini della riserva, svolgevano un ruolo fondamentale: quello di raffreddare l’aria calda che, durante la torrida stagione estiva, sale dalle valli occidentali e che, qualora raggiungesse il cuore della riserva, potrebbe minacciare la sopravvivenza degli alberi e dei loro colorati ospiti. Le foreste di abete sacro, infatti, non sono una scelta casuale ma il risultato di un comportamento sviluppato in milioni di anni di evoluzione che ha portato le farfalle monarca a compiere una migrazione bidirezionale che dipende da svariati fattori, come il microclima fresco, umido e relativamente costante garantito proprio dalle foreste del Michoacan durante i mesi invernali, nei quali le temperature rimangono tipicamente tra i 5  e i 10 °C. Un intervallo ideale che permette alle farfalle di entrare in diapausa, uno stato fisiologico in cui alcune attività vitali vengono sospese o rallentate così da consentire a svariate specie di animali – in particolare di insetti, rettili, anfibi e crostacei – di superare periodi di condizioni ambientali sfavorevoli.

Ma gli impatti della monocoltura di avocado si estendono ben al di là delle foreste di abete sacro e alimentano un meccanismo corrotto da violazioni di diritti umani, sequestri e omicidi ai danni di coloro che si oppongono. Dei 117 attivisti per l’ambiente uccisi in America Latina nel 2024, infatti, 19 erano messicani e i numeri sono relativi solo ai casi confermati e registrati da Global Witness. Di questi, la maggior parte sono membri di popolazioni native che, anno dopo anno, si vedono strappare di dosso la propria terra e la propria cultura, talvolta anche in modo consapevole, circuiti dallo slogan occidentale per cui progresso farebbe rima con ricchezza e potere. 

“Nel 2023, la superficie occupata dalle farfalle monarca nei siti di svernamento è calata del 59% rispetto all’anno precedente”. 

È quanto accade, ad esempio, alle popolazioni che vivono nei pressi del Lago Pátzcuaro. Situato a cinquanta chilometri da Morelia, capitale del Michoacán, il lago è tra le aree umide protette dalla Convenzione di Ramsar oltre a essere considerato sacro dalla comunità p’urhépecha e pilastro fondamentale del turismo nello Stato. Nonostante la perdita di habitat e il cambio nell’uso del suolo siano databili già a una settantina di anni fa, è solo negli ultimi anni che la situazione è velocemente peggiorata andando a prendere di mira proprio l’acqua del lago. Secondo un’inchiesta riportata da InSight Crime, e sviluppata grazie all’utilizzo di dati forniti da satelliti dell’Unione Europea e della Nasa, nell’aprile del 2024 il 40% dell’acqua del lago è stata prelevata illegalmente per essere destinata alla coltivazione di avocado e fragole. Un vero e proprio furto che si è avvalso di pompe capaci di rubare più di 100.000 litri di acqua in sole otto ore. E non è un caso isolato visto che, a oggi, più del 15% dell’acqua del Paese potrebbe andare perso a causa di furti destinati all’agricoltura e questo accade non solo nel Michoacán ma anche nel Sinaloa, Sonora, Chihuahua e Coahuila: Stati che stanno cercando di sopravvivere a una condizione generalizzata e persistente di siccità aggravata dalla crisi climatica in corso. 

Per tentare di arginare il problema, nell’aprile del 2024 lo Stato del Michoacán ha lanciato un programma di certificazione per aiutare i consumatori negli Stati Uniti e in altri Paesi a evitare avocado coltivati su terreni deforestati illegalmente. Il marchio di approvazione sarà assegnato alla frutta coltivata in aree in cui le attività agricole sono consentite e dove il terreno, a partire dal 2018, non è stato oggetto di bonifica né ha subito incendi forestali dal 2012 in poi. Un sistema necessario ma, alla resa dei conti, piuttosto debole visto che non si può impedire che le aziende che coltivano su territori deforestati illegalmente esportino negli Stati Uniti ma solamente informare i propri acquirenti riguardo al luogo e al modo in cui gli avocado che servono a tavola vengono prodotti. Nel frattempo, iniziative per la conservazione come il Monarch Fund hanno mobilitato milioni di dollari per pagare i proprietari di terreni forestali affinché proteggano l’habitat e collaborino a progetti di tutela comunitari. Un accordo che, purtroppo, spesso e volentieri garantisce un guadagno solo in termini di etica visto che in alcune zone del Michoacán, gli agricoltori possono guadagnare fino a 68 dollari per ettaro coltivato ad avocado rispetto ai 33 dollari per ettaro che è possibile incassare se si lavora per proteggere le foreste

A fornire un percorso alternativo potrebbe essere l’ecoturismo che qui, come in altre zone strette nella morsa della criminalità organizzata, funge da un lato da sentinella del territorio e, dall’altro, potrebbe contribuire al sostegno economico alle famiglie locali. È quanto accade, ad esempio, nella regione amazzonica della Bolivia, all’interno del Parco Nazionale del Madidi, dove le comunità native si sono organizzate mettendo in piedi un sistema di accoglienza diffusa all’interno dei villaggi. I visitatori internazionali che ogni anno si spingono fino a quella remota e magnifica regione contribuiscono, involontariamente e con la loro sola presenza, a contenere i danni e l’estensione delle attività illecite garantendo al contempo un introito economico ai membri delle comunità che si sono messi in gioco e hanno aperto le porte delle loro case.  

Da ottobre del 2024, la presidente del Messico è Claudia Sheinbaum: ricercatrice con un dottorato in ingegneria energetica, tra gli autori del Quinto Rapporto di Valutazione del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC), donna. Un insieme di novità per nulla scontato che pone il paese di fronte ad un bivio: dare una spinta decisiva alle politiche sociali e alla lotta alla criminalità organizzata oppure continuare a chinare il capo a un sistema che solo apparentemente sospinge verso un benessere economico diffuso. La decisione, oggi più che mai, non è infatti solo ecologica, ma anche economica, sociale e pericolosamente politica. Perché dove la regolamentazione legale si indebolisce e la politica china il capo, le dinamiche criminali entrano a gamba tesa per colmare il vuoto. Intanto, come ogni inverno, le farfalle monarca sono tornate a volare tra gli alberi di abete sacro delle foreste del Michoacan, riempiendo di meraviglia visitatori e abitanti dei villaggi vicini. Alcuni di loro, stanotte, saranno costretti dall’assenza di valide alternative, ad impugnare la motosega. Altri accenderanno le loro torce e pattuglieranno la zona per difendere le farfalle e le anime dei morti che riposano tra gli alberi. 

Valeria Barbi

Valeria Barbi, naturalista, politologa, giornalista ambientale e scrittrice, si occupa di tutela della biodiversità e di coesistenza con la fauna selvatica e ha viaggiato in 44 paesi in 5 continenti per indagare il rapporto tra l’essere umano e la natura. I suoi servizi sono andati in onda a GEO su Rai3, programma per il quale cura una rubrica sulla biodiversità e la biomimesi. È autrice di articoli su quotidiani e magazine, del libro Che cosa è la biodiversità oggi (Edizioni Ambiente 2022) e del reportage WANE – We Are Nature Expedition, che l’ha portata sul campo per 22 mesi per documentare lo stato della biodiversità e il rapporto uomo-natura lungo la Panamericana. Il suo ultimo libro è Dall’Alaska alla Patagonia. Viaggio attraverso gli ecosistemi più straordinari del mondo (Laterza, 2025).

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