Uno studio archeologico su 20.000 anni di storia rivela che i conflitti influenzano le disparità sociali in base al tipo di governo e alla distribuzione delle risorse. Quali lezioni possiamo trarne per il presente?
Per secoli ci siamo interrogati su quali siano le cause delle disuguaglianze che caratterizzano molte società umane. A ben guardare, una risposta univoca non esiste: a determinare l’aumento o la riduzione delle disparità sociali ed economiche all’interno di una comunità concorrono molti fattori, e non è sempre facile dipanarne le interazioni.
Il più recente sforzo per sbrogliare questa matassa è stato intrapreso da un nutrito gruppo di archeologi interessati allo studio delle diseguaglianze nella storia, che, qualche anno fa, ha messo a punto il progetto GINI (Global Dynamics of INequalIty). GINI consiste nella raccolta di una grande mole di dati archeologici – diversi per provenienza geografica (di portata globale) e per datazione (da 20.000 anni fa fino al Novecento) – che raccontano la disparità residenziale, cioè la grandezza delle abitazioni rinvenute in un sito, nelle diverse società: un dato utile da impiegare come proxy (elemento indicatore) per valutare il livello di diseguaglianza economica (e dunque sociale) all’interno di una comunità.
La creazione di questo dataset ha rappresentato uno strumento di grande valore per esplorare il rapporto tra conflitti e andamento delle diseguaglianze: il legame tra queste due forze sociali è dibattuto nella letteratura scientifica, e sono state avanzate teorie – altrettanto convincenti seppur contrastanti – che sostengono da un lato che la guerra esacerbi le diseguaglianze sociali, dall’altro che essa le appiani.
1. Case, mura e conflitti
Alcuni antropologi e archeologi della Florida State University hanno adoperato i dati raccolti dal progetto GINI per provare, a loro volta, a dirimere questo apparente ossimoro teorico. In un articolo pubblicato nella rivista scientifica «PNAS», in un numero speciale interamente dedicato alle “dinamiche globali delle diseguaglianze economiche nel lungo periodo”, i ricercatori hanno utilizzato i dati relativi a 53.466 unità residenziali collocate in 1176 insediamenti di società non industriali sparsi per il pianeta e li hanno associati alla presenza, nei siti considerati, di una qualche struttura fortificata (come delle mura difensive) a loro coeva. L’obiettivo di questa analisi era individuare un legame tra l’occorrere di conflitti e il livello di disparità nella distribuzione delle risorse all’interno di una comunità (misurato applicando il coefficiente di Gini alle differenze di grandezza delle abitazioni presenti).
La scelta della grandezza delle case come unità di misura della disuguaglianza è dovuta al fatto che si tratta di “uno dei segni di diseguaglianza più visibili, durevoli e comuni, nonché trasversale alle culture”. Infatti “la dimensione della casa non può essere nascosta, a differenza di beni materiali trasportabili o di ricchezze immateriali come i diritti. L’abitazione ha un valore intrinseco come luogo di riparo e, a parità di altre condizioni, tale valore aumenta all’aumentare dello spazio disponibile per le persone e per i loro beni”.
Un ragionamento simile spiega anche la scelta delle fortificazioni come proxy per l’occorrenza dei conflitti (deflagrati o potenziali) in una società. Poiché non esiste, in archeologia, un indicatore universalmente riconosciuto per identificare i conflitti passati, si è scelta la presenza di fortificazioni perché, anche in questo caso, essa è “uno dei segnali più visibili di conflitto violento o del pericolo che questo si verifichi”.
Analizzando la correlazione tra queste due variabili, i ricercatori sono giunti a una scoperta sorprendente. I dati hanno in parte confermato entrambe le teorie avanzate in passato dagli scienziati: che la guerra aumenti le diseguaglianze e che le riduca. Ma la storia è più complessa di così, e le variabili da tenere in considerazione per spiegare questo risultato sono molteplici.
2. La guerra aumenta le diseguaglianze? Non sempre, non ovunque
Innanzitutto, è interessante notare che queste due proposte esplicative non sono contraddittorie: sono entrambe vere, ma in contesti diversi. Gli studiosi hanno osservato che, nel periodo più remoto in cui è stato possibile comparare i dati sulla grandezza delle residenze e la presenza di fortificazioni, cioè tra 10.000 e 6000 anni fa, la disparità residenziale rilevata nei siti fortificati non è molto maggiore che in quelli non fortificati, soprattutto nell’emisfero orientale. Al contrario, si è individuata una maggiore disparità residenziale nei siti fortificati – dove la comunità in questione ha dovuto affrontare una guerra – rispetto a quelli non fortificati soprattutto nelle regioni dell’Asia sud-occidentale e del sud-est del Nord America e in un’epoca più recente, tra 6250 e 4050 anni fa.
Per spiegare questa differenza geografica e, soprattutto, temporale, gli studiosi hanno aggiunto all’analisi alcune variabili. Nello specifico, si sono concentrati sulle modalità di produzione agricola – e in particolare sulla disponibilità o meno di territori da coltivare – e sulla prevalenza di forme di governo collettive o autoritarie. Con questi ulteriori livelli di stratificazione sono emersi risultati interessanti: il legame positivo tra conflitti e aumento della diseguaglianza si manifesta soprattutto in presenza di una conformazione politica tendente all’autocrazia, mentre la guerra diventa un fattore di equalizzazione in comunità con una forma di governo più collettiva.
Una possibile spiegazione di questa correlazione è che, nelle società più egualitarie, la grande iniquità nella distribuzione delle risorse economiche sia vista come uno svantaggio, perché si ritiene di dover affrontare il conflitto collettivamente. Quindi si tende, di fronte al pericolo, a unirsi ancor più di prima: questo, peraltro, avviene anche nelle comunità di diverse specie sociali non umane, che mostrano comportamenti altamente cooperativi soprattutto in momenti di grande difficoltà, come di fronte a periodi di avversità ambientali. Al contrario, in società a guida autoritaria, dove uno o pochi individui detengono il potere, il conflitto diviene un momento di polarizzazione delle diseguaglianze perché chi ha il potere può sfruttare più facilmente le circostanze a proprio favore, accumulando ricchezze a scapito del resto della comunità.
Un altro fattore che influisce su come la guerra possa modificare la distribuzione della ricchezza è la ridotta disponibilità di terre, che funge da fattore limitante per la produzione agricola, soprattutto a fronte di una popolazione in crescita. Anche in questo caso, i risultati suggeriscono che la relazione positiva tra guerra e diseguaglianza dipenda innanzitutto dalla distribuzione del potere: quando un bene essenziale come la terra diventa scarso, chi lo detiene ha un grande potere, e la guerra può esacerbare questa disparità, favorendo l’accentramento di un’abbondante quantità di beni essenziali (come la terra, appunto) sotto il controllo di pochi individui.
3. Dalla protezione della comunità alla protezione della proprietà
Gli autori propongono una spiegazione interessante per questo movimento verso una maggiore diseguaglianza economica in tempi più recenti: “Potrebbe essere cambiato il modo in cui le persone impiegavano le proprie ricchezze per proteggere le loro proprietà. Nonostante le fortificazioni siano in grado di proteggere sia le persone che i loro averi, esse potrebbero essere risultate di particolare interesse per chi aveva maggiori ricchezze da proteggere. A un certo punto, le famiglie più ricche potrebbero aver trovato il modo di usare la propria ricchezza per finanziare e rafforzare le fortificazioni, compensando la perdita della funzione collettiva di queste strutture con una dimostrazione pubblica di equità”. Perché tale modalità d’azione si affermasse e si perpetuasse a lungo, come oggi possiamo osservare, “questo potrebbe aver richiesto un mutamento ideologico fondamentale in cui si attribuiva maggior valore alla proprietà rispetto a (alcune) vite umane”.
4. Lezioni dal nostro passato
Le complesse interazioni tra questi fattori di natura sociale, economica e ambientale (le condizioni ambientali hanno sempre avuto un ruolo centrale nel plasmare la storia dell’umanità) suggeriscono che il sorgere e il consolidarsi delle diseguaglianze tra esseri umani sia dipeso, storicamente, da un’intricata rete di elementi che hanno interagito in modo complesso e dinamico, influenzandosi reciprocamente. È però istruttivo, anche per il nostro presente, constatare come forme di governo più autoritarie e un ineguale accesso a risorse essenziali – condizioni non ignote, nel mondo globalizzato del Ventunesimo secolo – rendano le guerre più dirompenti nell’approfondire il divario tra ricchi e poveri. È altrettanto degno di riflessione il fatto che le conseguenze distruttive delle guerre siano in qualche modo disinnescate in società con un assetto più “collettivista”, in cui i pericoli esterni sono affrontati in modo cooperativo, favorendo l’esistenza della comunità rispetto alla salvaguardia di beni o privilegi individuali.Guardare al lontano passato per comprendere le origini di fenomeni sociali ancora oggi pervasivi si rivela, con questo lavoro di ricerca, particolarmente educativo. Come ha spiegato, in un comunicato stampa, Mark McCoy, primo autore dell’articolo, “Questa ricerca getta luce sui fattori principali che contribuiscono al sorgere delle diseguaglianze, come il fatto che la terra sia una risorsa scarsa in una comunità. Lo studio mostra anche come alcune comunità siano state capaci di autogovernarsi in modo collettivo, riducendo le disparità interpersonali, e illustra la complessa relazione tra conflitti e diseguaglianze.” Una complessità che segna in modo trasversale tempi, luoghi e culture, e con cui ci confrontiamo ancora oggi.