La Nature Restoration Law propone di restaurare entro il 2050 il 90% degli habitat europei degradati. È un programma dall'ambizione straordinaria che ha incontrato molti ostacoli, ma la cui piena attuazione potrebbe fare la differenza per il nostro futuro.
Approvata al termine di un lungo e combattuto percorso, la Nature Restoration Law (la legge europea per il ripristino degli habitat naturali) è anche un segno di riconciliazione con gli ecosistemi e di una programmazione lungimirante. Ora bisogna attuarla, in un momento critico per le politiche ambientali.
1. Antropocene reale
Per comprendere la genesi e i significati di questo provvedimento, dal potenziale straordinario, è utile un passo indietro: quantomeno al maggio 2019, quando l’Ipbes, la piattaforma intergovernativa sui servizi ecosistemici, pubblicò il primo rapporto sullo stato globale della biodiversità. Il rapporto fotografava una crisi “senza precedenti”, dando l’idea di cosa sia realmente l’Antropocene: la quasi totale occupazione umana del pianeta. Il 66% degli habitat marini e il 75% di quelli terrestri sono stati alterati dall’azione antropica; un milione di specie animali e vegetali è a rischio di estinzione entro il 2050 ed un rischio ancora maggiore riguarda 500.000 di queste, definite da Ipbes dead species walking, le specie morte che camminano.
Com’è noto, il dead man walking è il condannato che percorre il breve tratto che separa la sua cella dalla stanza della morte. L’intento di Ipbes, con questa immagine cupa, era di evidenziare non solo la drammaticità della situazione, nel classico e a volte inevitabile messaggio di allarme, ma il poco tempo a disposizione per trovare un rimedio. C’è rimasto giusto un breve corridoio, quindici, vent’anni, che sono un periodo davvero esiguo di fronte alle cause di una minaccia di estinzione e alla complessità delle strategie necessarie ad evitarla. Il rapporto Ipbes aveva un ulteriore obiettivo primario: far comprendere che non si tratta di mere faccende tra scienziati, ma di un problema concreto per l’umanità. La biodiversità è essenziale per ’la vita umana e la sua qualità. Il materiale fornito dalla natura – cibo, acqua, aria, legname, risorse genetiche – è in gran parte insostituibile, così come prezioso è il contributo alla lotta al cambiamento climatico offerto, sotto forma di sequestro di carbonio, specialmente da foreste e zone umide. In gioco c’è la nostra stessa vita. Il messaggio finale dell’Ipbes è perentorio: per non essere schiacciati dall’Antropocene reale dobbiamo cambiare marcia, subito.
2. La natura nelle nostre vite
A inizio 2020, pochi mesi dopo l’insediamento, la prima Commissione von der Leyen raccolse l’appello dell’Ipbes e una lunga serie di allarmi analoghi, tra cui quelli specifici sulla crisi degli ecosistemi europei (più dell’80% versa in condizioni precarie) e presentò, nell’ambito del Green Deal, cioè il piano europeo per la transizione ecologica, la nuova Strategia sulla biodiversità al 2030. Intitolata con un eloquente “Bringing nature back into our lives”, Riportare la natura nelle nostre vite, la Strategia fu lanciata con un appoggio eccezionale dalla leadership comunitaria, a partire dalla stessa von der Leyen, che usò parole mai udite prima a quei livelli. Il succo fu che la biodiversità deve essere il centro dell’Europa di domani. Tutto deve ruotare intorno alla salute degli ecosistemi, da cui dipende la nostra stessa salute.
L’anno dopo, il 9 giugno 2021, il Parlamento europeo approvò con maggioranza schiacciante (515 sì, 90 no, 86 astenuti) la relazione a sostegno della Strategia e andò oltre, chiedendo che “gli obiettivi della Strategia, di ripristino, protezione e conservazione della natura, [venissero] resi vincolanti con una legge sulla biodiversità”. Insomma, non un semplice documento di indirizzo ma un regolamento europeo, con valore di legge. È molto importante evidenziare due elementi che si intrecciano intorno a questo punto: primo, la consapevolezza che le precedenti strategie europee avevano fallito soprattutto per via della loro debole ontologia normativa. Concepite come semplici linee guida, non vincolanti, erano state rimesse alla buona volontà degli Stati membri, restando così quasi del tutto inapplicate; secondo, con la trasformazione della Strategia sulla biodiversità, o almeno di parte di essa, in un atto stringente, si dava il senso della novità insita nella transizione ecologica e della sua intenzione di cambiamento sostanziale, piuttosto che di semplice ritocco.
E così, il 22 luglio 2022 la Commissione europea presentò la Nature Restoration Law, un regolamento (cioè una legge europea) con la finalità generale del “recupero a lungo termine e duraturo della biodiversità e della resilienza degli ecosistemi in tutte le zone terrestri e marine degli Stati membri”, e l’obiettivo di intervenire su zone umide, fiumi, ecosistemi marini, ambienti agricoli, foreste e ambiente urbano, in modo da restaurare almeno il 30% degli habitat degradati entro il 2030, il 60% entro il 2040 ed il 90% entro il 2050. Un programma dall’ambizione straordinaria.
È a questo punto che il vento politico cambia e l’accordo sulla legge, così come quello più generale sul Green Deal, si rompe.
3. Antiumanesimo
I grandi portatori di interessi economici, soprattutto l’agroindustria, accusano la legge di essere un freno alla crescita e un attentato all’economia europea. Il Partito Popolare Europeo le toglie il sostegno e, assieme ai gruppi sovranisti, la attacca duramente quale espressione di un “ambientalismo ideologico e radicale che non fa bene all’Europa”. Presto la questione trascende la politica, sulla base della seguente tesi: la Restoration Law, e in generale il Green Deal, promuove la causa di un mondo in cui l’uomo non è al centro della scena in favore di alberi, foreste, uccelli, insetti, paludi. Dietro la legge e gli esagerati allarmi ambientali, che vanno negati, c’è insomma una filosofia antiumanista, che va contrastata. Gran parte della protesta dei trattori, esplosa nella prima metà del 2024, segue questa stessa linea, scagliandosi contro il Green Deal e in particolare la Restoration Law all’insegna del “Sì al cibo, no alla natura e ai campi incolti”, in una contrapposizione – natura contro cibo – surreale ma ben congegnata.
Ciononostante, la legge continua il suo percorso e supera la lunga serie di voti del complicato iter legislativo comunitario. Poi, quando manca un solo passaggio, quasi una formalità – la pronuncia finale dei governi degli stati membri, attraverso il Consiglio europeo –, il presidente ungherese Viktor Orban annuncia che il suo paese voterà contro. La motivazione ricalca quella dell’Italia, anch’essa contraria: la legge è priva di copertura finanziaria e, soprattutto, è un provvedimento antiumanista. Con la defezione ungherese, la maggioranza necessaria affinché la legge passi, ovvero il voto favorevole di paesi che rappresentino almeno il 65% della popolazione europea, viene meno. Il rischio che la legge salti è altissimo.
Qui entra in scena Leonore Gewessler, la ministra dell’Ambiente austriaca. A poche ore dal voto decisivo, Gewessler dichiara il proprio sì alla legge, in dissenso con il proprio governo. Un atto di coraggio ma soprattutto di responsabilità, personale, civica, politica, alla quale la ministra non intende sottrarsi nonostante la rabbia del cancelliere austriaco Karl Nehammer. La mattina del 17 giugno 2024, 20 paesi su 27 votano a favore della Nature Restoration, a copertura del 66% della popolazione europea. Per un soffio, un 1% che fa tutta la differenza del mondo, la legge è salva.
4. Le mie nipoti
La motivazione con cui la ministra austriaca giustifica il suo voto è degna di attenzione: “Tra venti o trent’anni, quando parlerò con le mie nipoti e mostrerò loro la bellezza del nostro Paese e di questo continente, e loro mi chiederanno: ‘Cosa hai fatto quando era tutto ancora in gioco?’, io voglio poter dire: ‘Ho cercato di fare tutto il possibile’”. Sono dichiarazioni lontanissime dalla retorica politica classica, di frasi fatte e luoghi comuni. Gewessler ci porta in un altrove di pensiero che potrebbe persino apparire ingenuo (“le mie nipoti…”) rispetto al realismo dell’ortodossia politica. La ministra austriaca si preoccupa della sostenibilità, delle generazioni che verranno, dei valori che è necessario preservare per noi e loro. Insomma, di lunghe visioni.
In tal senso, il pensiero di Leonore Gewessler appare del tutto coerente con le caratteristiche stesse della Restoration Law, che rappresenta un’innovazione non solo materiale ma socioculturale. Con essa, in effetti, l’Unione europea si dà un orizzonte operativo di vasta durata (25 anni), contro il piccolo cabotaggio della programmazione politica ordinaria, e in un certo senso decide di cedere quote di sovranità alla natura, restituire alla natura parte dei suoi spazi, per ottenere in cambio sostenibilità di lungo termine e giustizia ambientale intergenerazionale.
Se attuata come si deve, la Restoration Law porterà benefici non solo all’arresto della spaventosa perdita di biodiversità, ma a molti altri ambiti di massimo interesse: le soluzioni nature based alla questione climatica, la buona conservazione dei servizi ecosistemici, la sicurezza del territorio rinaturalizzato, la qualità dell’agricoltura, il benessere delle persone grazie a città più verdi e più accoglienti. Solo un bias mentale può far leggere tutto questo come antiumanesimo: siamo, al contrario, nel pieno di una concezione neoumanistica di riconciliazione tra società umane e natura e di cammino verso un futuro migliore. Umanesimo ecologico, relazionale, in armonia con il pianeta.
5. Una cosa intelligente (che potremmo fare)
E oggi? Cosa succede oggi, a un anno dall’approvazione della legge? Mentre gli stati membri lavorano sui piani attuativi nazionali, da ultimare entro il 2026, l’Unione europea sembra aver perso l’entusiasmo di cinque anni fa e voltato le spalle alla transizione ecologica. Dell’ambizioso pacchetto naturalistico iniziale che comprendeva atti su foreste, cibo sano, riduzione di pesticidi, allevamenti intensivi e molto altro, la Restoration Law rischia di essere l’unico provvedimento a superare il varco. Non solo: il declassamento della protezione del lupo, gli attacchi alle Ong ambientaliste, l’idea di rivedere al ribasso le direttive Uccelli e Habitat, la penalizzazione dei programmi naturalistici nel nuovo budget (2028-2034) appena proposto dalla Commissione europea e altre iniziative analoghe danno il segno della china presa dall’Europa. La cosa non deve meravigliare troppo. Da un lato, l’Unione Europea continua a essere intrinsecamente divisa tra almeno due idee opposte di mondo e di futuro, una innovatrice e verde, l’altra conservatrice, sviluppista e fossile. D’altro canto, è la stessa questione ecologica – avendo scalato le agende della politica malgrado le resistenze della stessa politica – che genera la reazione. È lì, come una spina nel fianco, a ricordarci la necessità di prendere sul serio la natura e favorire finalmente la trasformazione di un sistema sociale che, oggettivamente, non regge più. Una trasformazione impegnativa e non indolore, certo, ma che è anche l’occasione di una rigenerazione benefica, degli ecosistemi, del territorio, delle pratiche, del pensiero e della stessa idea di Europa, che di rigenerazione ha molto bisogno.
Il finale del racconto non è ancora stato scritto ma una cosa intelligente sarebbe scriverlo in verde, insieme alla natura, a cominciare dalla piena attuazione della Restoration Law. Anzi, è la cosa più intelligente che potremmo fare.