Attivista ecologista brasiliano, il membro del direttivo della Global Sumud Flotilla è stato tra le ultime persone espulse da Israele. In un'intervista racconta i giorni di detenzione e l'attesa della Conferenza delle Parti di Belem.
Attenzione! Attenzione! Alle forze offensive israeliane, qui parla Thiago Ávila del direttivo della Global Sumud Flotilla. Siamo una missione umanitaria, non violenta, di solidarietà, che ha l’obiettivo di rompere l’assedio illegale imposto da Israele diciotto anni fa contro le persone palestinesi a Gaza e di creare un corridoio umanitario. Trasportiamo solo cibo, filtri per l’acqua, latte in polvere per i bambini che state affamando. Ripeto: state commettendo un genocidio e pulizia etnica da otto decadi contro il popolo palestinese e questo è contro il diritto internazionale. Siamo in acque internazionali, che non sono sotto la vostra giurisdizione. Stiamo navigando verso le acque territoriali palestinesi, che non sono sotto la vostra giurisdizione nonostante pensiate di poterle occupare. La più alta autorità giudiziaria al mondo, la Corte Internazionale di Giustizia, nel suo parere consultivo sul caso aperto dal Sud Africa contro di voi per il crimine di genocidio, ha stabilito chiaramente che non potete ostacolare alcuna missione umanitaria verso Gaza. Disattendiamo quindi la vostra richiesta perché è un tentativo di perpetuare il genocidio, l’occupazione, un sistema di apartheid e un’ideologia razzista e suprematista chiamata sionismo. Passo.
Con queste parole, pronunciate al buio, tutte d’un fiato, Thiago Ávila risponde via radio al messaggio dell’esercito israeliano, che intima la Global Sumud Flotilla di fermarsi e tornare indietro. Le ultime prima dell’abbordaggio della Alma, la nave principale, e di tutte le barche a vela della flotta.
Thiago Ávila è un attivista ecologista brasiliano. Trentanove anni, padre di una figlia di sei mesi, è fondatore del movimento Bem Viver ispirato alle filosofie indigene della Ande. Ávila ha partecipato a diverse missioni di solidarietà in contesti di crisi, come Cuba e il Libano. In qualità di coordinatore di Freedom Flotilla Brazil, ha preso parte per la prima volta a una missione verso Gaza a bordo della Madleen, la barca a vela partita da Catania a giugno 2025 che ospitava anche Greta Thunberg e l’europarlamentare Rima Hassan.
Thiago Ávila, che aveva già un enorme seguito sui social, è diventato la voce di riferimento della Flotilla solo dopo l’attacco alla nave Family nel porto di Tunisi l’8 settembre. Ávila, Thunberg e Hassan, visto il precedente del loro sequestro, detenzione ed espulsione da Israele a giugno, sono stati sottoposti a trattamenti ancor più disumani da parte della polizia carceraria israeliana rispetto agli altri partecipanti della Flotilla. Dopo l’intercettazione illegale in acque internazionali il primo ottobre, le 473 persone a bordo sono state costrette a rimanere distese a terra per ore.
Minacciate con cani e mitragliatori, bendate, con le braccia dietro la schiena o con fascette strettissime ai polsi, messe in ginocchio davanti al ministro israeliano Itamar Ben Gvir, fautore del peggioramento delle condizioni dei detenuti politici palestinesi, che a favore di telecamera diceva “questi sono i terroristi della Flotilla”. Gli attivisti sono poi stati svestiti, messi su pullman con l’aria condizionata al massimo e portati a sud, nella torrida prigione di Ktzi’ot. Il tutto senza acqua e senza un bagno – poi concesso, ma solo con la porta aperta. Thiago Ávila ha iniziato uno sciopero della fame e della sete finché non sono stati riconsegnati quanto meno i medicinali alle persone per cui erano indispensabili. È stata una delle ultime persone rilasciate ed espulse da Israele il 9 ottobre.
La mobilitazione attorno alla Flotilla, le manifestazioni in tutto il mondo, gli scioperi, i boicottaggi e i blocchi delle fabbriche di armi hanno creato le condizioni che hanno portato al cessate il fuoco. Non è stata una decisione individuale di Trump. Trump è stato sconfitto dalla maggioranza sociale del mondo, che è scesa in piazza contro i bombardamenti a Gaza.
Inizierei come sempre da Gaza. Qual è la tua valutazione della situazione attuale? Come stanno le persone con cui sei in contatto e che aspettavano l’arrivo della Sumud Flotilla?
La situazione a Gaza ora è critica. Molte persone aspettavano l’arrivo della Global Sumud Flotilla; non siamo arrivati fisicamente, con le barche, ma lo abbiamo fatto simbolicamente. Dai messaggi che ci hanno mandato si capiva che hanno sentito il nostro supporto, che non sono soli. La mobilitazione attorno alla Flotilla, le manifestazioni in tutto il mondo, gli scioperi, i boicottaggi e i blocchi delle fabbriche di armi hanno creato le condizioni che hanno portato al cessate il fuoco. Non è stata una decisione individuale di Trump. Trump è stato sconfitto dalla maggioranza sociale del mondo, che è scesa in piazza contro i bombardamenti a Gaza. Le persone palestinesi stanno dimostrando resistenza, volontà nel tornare a casa e perseveranza nel ricostruirla: in una parola, Sumud. Possono essere uccise ma non sconfitte da un’ideologia razzista e suprematista: ricercare la propria libertà è destino di tutti i popoli colonizzati. Ora dobbiamo continuare a mobilitarci per sostenere il cessate il fuoco – che Israele ha violato già cinquanta volte –, porre fine all’occupazione e all’apartheid e decolonizzare quella regione, così che le persone possano avere eguali diritti e vivere in pace indipendentemente dalla loro religione o etnia. Ci sono due modelli di società che si stanno scontrando, e Gaza è il luogo attorno a cui ruota tutto. Da una parte, un vecchio modello unipolare guidato da una potenza imperiale abituata a comandare incontrastata, gli Stati Uniti, fiancheggiata dai suoi alleati, tra cui Israele, e dall’altra parte il resto del mondo. Tutti devono sostenere il cessate il fuoco, perché se dipenderà esclusivamente degli Stati Uniti si tradurrà in una pace falsa per mantenere un sistema di dominazione, e ancor peggio se dipenderà da Israele, in cui la sopravvivenza del governo di estrema destra Netayahu-Smotrich-Ben Gvir dipende dall’escalation a Gaza e in Cisgiordania.
Qual è il tuo bilancio dell’esperienza e del risultato della Flotilla?
Le missioni delle Flotilla sono sempre state importanti. Non solo quest’ultima: dal 2006, l’anno in cui è stato imposto il blocco di Israele su Gaza, queste missioni hanno contribuito a portare le persone a porre domande giuste: perché lo stanno facendo i civili e non i governi? Perché portare cibo e aiuti con una missione umanitaria mette in pericolo la loro vita? Perché devono andarci via mare? Che ne è dei confini terrestri di Gaza? La ricerca di una risposta a queste domande permette di risalire all’origine del problema: al sionismo, al colonialismo, all’imperialismo, all’apartheid. Ciascuna delle 37 barche delle missioni negli anni della Freedom Flotilla, le 43 della Sumud Flotilla e le 10 dell’ultima iniziativa congiunta tra Thousand Madleens e la Handala hanno ispirato una mobilitazione globale per una vita dignitosa del popolo palestinese. Non siamo riusciti a rompere l’assedio questa volta ma sono sicuro che con la prossima ancor più grande missione ce la faremo.
Che trattamento ti hanno riservato le autorità israeliane durante questa tua seconda permanenza in carcere?
Molti di noi sono stati aggrediti fisicamente, minacciati dai cani, privati del sonno, presi di mira da laser e fucili, sottoposti a maltrattamenti psicologici di ogni genere, lasciati per ore in posizioni strazianti, caricati su autobus trasformati in carceri, caldissimi e soffocanti, tenuti sotto minacce tutto il tempo. Siccome sanno che sono tra gli organizzatori della missione, sono stato sottoposto a lunghi interrogatori con gli agenti dell’intelligence e soldati dell’esercito. Hanno minacciato la mia bambina, mi hanno sputato in faccia e mi hanno portato con i soldati a fare una “passeggiata” nel deserto mentre minacciavano di uccidermi. Denuncio tutto questo non per lamentarmi, ma perché il mondo sappia che, se lo fanno agli operatori umanitari, immaginate cosa fanno ai palestinesi. Ora ci sono oltre diecimila palestinesi nelle carceri israeliane, quattrocento dei quali sono bambini.
La lotta per la Palestina è connessa a quella ambientale? Qual è il tuo approccio come attivista ecologista?
Viviamo in una società che sfrutta, opprime e distrugge la natura in modo sistemico. Lo stesso sistema che abilita un genocidio in Palestina, permette anche un ecocidio sulla stessa Terra e un ecocidio nell’Amazzonia e nella savana brasiliana. A discapito di tutti gli altri, un minuscolo numero di persone trae profitto dalla distruzione – che si tratti del complesso militare, delle aziende fossili, dell’industria del mega-mining, dell’idea di una società di consumo che considera la natura come merchandising da cui estrarre profitto. Ovviamente la distruzione della Palestina è connessa alla distruzione del Pianeta – entrambe hanno origine nel sistema capitalistico. È fondamentale che le persone lo capiscano. A volte sembra impossibile ma possiamo sconfiggere questo regime di sfruttamento, oppressione e distruzione della natura. I benefici di vivere in una società giusta, equa, nella quale tutti abbiano gli stessi diritti, in cui viviamo in armonia con la natura, in cui costruiamo una pace vera e felicità è qualcosa che merita l’investimento di tutte le nostre energie.
Quest’anno il Brasile ospita l’attesa e discussa Cop30, che inizierà fra due settimane. Quali sono le tue aspettative?
Stiamo assistendo a una fase dell’emergenza climatica talmente avanzata che è necessario spingere per un urgente cambiamento sistemico. Sappiamo qual è il piano della lobby del fossile, delle grandi potenze economiche mondiali, degli Stati Uniti –- che sono il più grande emettitore storico. C’è però un problema da parte dei Paesi che si spendono per un mondo multipolare a comprendere la necessità di tagliare le emissioni e di cambiare il modo in cui interagiamo con la natura, di cui noi siamo solo una parte. Dobbiamo trovare un modo per vivere in armonia, ripensare cosa produciamo, per chi lo produciamo, come lo facciamo, chi ne beneficia. È quello che affrontiamo qui in Brasile attraverso l’ecosocialismo, che è la corrente politica a cui aderisco. Sappiamo che la partecipazione alla Cop30 sarà molto limitata e per questo motivo stiamo organizzando eventi paralleli, convinti che le vie d’uscita dalla crisi saranno indicate dal basso, non dai leader di un sistema corrotto. Le persone sono chiamate a cambiare la società; non possiamo esternalizzare questo compito. Il prossimo appuntamento per farlo è al People’s Summit di Belem.