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Goldy Ann Levy
La lunga strada per garantire i diritti alla natura

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natura politica

A distanza di tre anni il primo corpo idrico in Europa ad aver visto riconosciuti i propri diritti non sembra mostrare segni di miglioramento.

Mar Menor – letteralmente “piccolo mare” – ha più volte chiesto aiuto. Nel 2016, in alcuni punti l’acqua normalmente limpida di questa laguna nel sud della Spagna è diventata del colore di un tè verde non filtrato. Tre anni dopo, migliaia di pesci morti puntellavano con il bianco dei loro ventri la superficie di questi 135 chilometri quadrati d’acqua salata. Poi ancora nel 2021, le rive del “piccolo mare” si sono nuovamente riempite di pesci e altre creature in cerca di ossigeno.

In realtà è dagli anni Ottanta che questa laguna salata, situata nella regione spagnola della Murcia, mostra segni di degrado ambientale. Poi, nel 2022, una coalizione di ambientalisti, giuristi e abitanti del posto ha raccolto più di 640mila firme ed è riuscita a far passare una legge senza precedenti in Europa che riconosce a Mar Menor i propri diritti. 

Diritti in qualunque senso del termine: il diritto a vivere e prosperare, il diritto a essere protetto ma anche il diritto a guarire. La legge spagnola adesso riconosce formalmente la laguna come un’entità con personalità giuridica. Un passo avanti che si colloca all’interno di un movimento più ampio che si batte per vedere riconosciuti i “diritti alla natura” e considera il pianeta e tutti i suoi ecosistemi come esseri senzienti con diritti inalienabili.

L’iniziativa va dunque ad aggiungersi a una lista di casi di successo – per lo più in America latina, da dove vengo – e che in larga parte prendono le mosse dal rapporto che le popolazioni indigene hanno a lungo instaurato con il mondo naturale. Così, ora che abito a Madrid, decido di conoscere Mar Menor per capire se quello che gli è accaduto può servire da esempio per l’avanzamento dei diritti alla natura in Europa e nell’area del Mediterraneo.

Arrivo una domenica pomeriggio e Mar Menor mi accoglie con un’acqua limpida che mi ricorda i Caraibi. La veduta completa della costa, il tramonto e la familiare sensazione dell’acqua salata sui piedi. Guardandomi intorno poi noto un tovagliolo che galleggia, una medusa morta che pare un uovo fritto e una distesa infinita di edifici di cemento all’orizzonte: gli hotel e i blocchi di appartamenti di La Manga (la Manica). Eppure, sono in ammirazione.

“Mar Menor può servire da esempio per l’avanzamento dei diritti alla natura in Europa e nell’area del Mediterraneo?”

Mar Menor dista circa quattro ore di macchina da Madrid. Lungo la strada, ho continuato a immaginare che sarei entrata in una sorta di area “protetta”, inviolata, come quelle che sono abituata a vedere in una riserva naturale o nella giungla in Costa Rica, ma non è stato così. Campi di olivi, limoni, lattuga e pomodori continuavano a susseguirsi accanto a un paesaggio urbanizzato, fatto di case vacanze e hotel dai colori pastello.

La mattina dopo incontro Pedro Luengo, portavoce della confederazione di gruppi ambientalisti Ecologistas en Acción. Luengo è cresciuto a Murcia, la città più vicina a Mar Menor, e frequentava spesso la laguna da bambino. Nuotava nelle sue acque, mi racconta, e passava ore a osservare cavallucci marini, pesci e piccoli crostacei. Poi ha studiato biologia, abbracciato l’attivismo e nel 1998 si è unito a Ecologistas en Acción.

Luengo mi porta a fare un giro in auto intorno alla laguna. Il primo tratto consiste in 40 minuti su una strada che divide la scena in due: sulla destra, distese di agricoltura intensiva; sulla sinistra, più vicini a Mar Menor, grossi condomini. Guidiamo fino a La Manga, una striscia di terra lunga 21 chilometri un tempo fatta di dune, ora diventate alberghi.

“Questa zona ha un’identità forte”, dice Luengo. “È un posto molto speciale, unico se paragonato al resto della costa”.

Aggiunge che la laguna è cambiata radicalmente nel corso degli anni. “Quando il cambiamento è così repentino e drastico, per le persone del posto che hanno la mia età o qualche anno di più e che hanno conosciuto il mar Menor in un’altra epoca, fa male vederlo in questo stato”.

Quasi tre anni sono passati da quando sono stati riconosciuti i diritti di Mar Menor e non si vedono segnali convincenti di ripresa. “Molti pensavano che la legge sarebbe stata una panacea, che avrebbe risolto tutto in un secondo”, dice Luengo. “Ma ovviamente non è stato così. Il vero problema non è tanto la mancanza di leggi: è la mancanza di una loro applicazione, e questo dipende dagli interessi in campo”.

Poco dopo saliamo su El Carmolí, un rilievo di origine vulcanica che si affaccia sulla laguna. Da questo punto di osservazione il lago si mostra nella sua interezza: distese di paludi, saline e un orizzonte spezzettato in motivi geometrici da campi agricoli meticolosamente coltivati.

“Questi prodotti agricoli saranno venduti in Germania, Francia, Regno Unito”, dice Luengo visibilmente irritato. 

Torniamo in auto alla Rambla de Albujón, un corso d’acqua di 42 chilometri che raccoglie l’acqua che defluisce dai terreni intorno, prevalentemente usati per l’agricoltura intensiva e l’allevamento di suini. Ci fermiamo vicino a un ponte ricoperto di manifesti e graffiti con scritto “agro industria fuera” (“fuori l’agro-industria”). Ogni anno infatti la Rambla Albujón scarica tra i 5 e i 10 milioni di metri cubi d’acqua piena di pesticidi, idrocarburi, fertilizzanti e acque reflue dentro Mar Menor.

Mentre guardo l’acqua inquinata scorrere verso sud non riesco a fare a meno di pensare: come mai nonostante ci sia una legge che garantisce a Mar Menor il diritto a essere protetto questo succede ancora?

Secondo Eduardo Salazar, un avvocato che rappresenta Mar Menor, bisogna avere pazienza. “Dobbiamo implementare la tutela, il che richiede una regolamentazione che ne stabilisca il funzionamento. Poi, abbiamo bisogno di giudici che comprendano, rispettino e siano disposti ad applicare la legge”, dice.

Ci vorrà tempo, ma ci sono dei precedenti. “Sta succedendo in Ecuador, Bolivia, Spagna, India, Nuova Zelanda, Argentina, Stati Uniti, Canada”, afferma Carlos Andrés Baquero Díaz, avvocato e ricercatore presso il Programma di difesa dei diritti della Terra della facoltà di legge della New York University, un’organizzazione con cui collaboro e dove ho sentito per la prima volta il termine “diritti alla natura”. L’idea che la natura sia senziente e meritevole di diritti precede di gran lunga i nostri inquadramenti giuridici moderni. “È un concetto che molte popolazioni indigene hanno utilizzato, fatto proprio e applicato, indipendentemente che fosse riconosciuto o meno dalla legge”, aggiunge Baquero Díaz.

“Mentre guardo l’acqua inquinata scorrere verso sud non riesco a fare a meno di pensare: come mai nonostante ci sia una legge che garantisce a Mar Menor il diritto a essere protetto questo succede ancora?”

Sulla scia di Mar Menor, iniziative simili sono nate nell’Europa mediterranea, come nel caso dei fiumi Tet e Tavignanu in Francia, ma i progressi sono più lenti rispetto a quelli registrati nelle Americhe. Baquero Díaz attribuisce questo ritardo alle radici profonde dove affondano le fondamenta dei sistemi giuridici europei. “Penso che ci sia qualcosa del progetto coloniale europeo che è ancora vivo e che rende difficile questa trasformazione perché per fare questo passaggio è necessario mettere in discussione il proprio passato coloniale”, afferma. 

“Siamo stati noi i colonizzatori, siamo stati noi quelli che hanno stabilito che [le popolazioni indigene e la natura] non avessero personalità giuridica e che fossero invece i conquistatori ad avere dei diritti”, dice Teresa Vicente, professoressa di legge all’università di Murcia che ha avuto un ruolo centrale nell’approvazione della legge di iniziativa popolare sul mar Menor, tanto da essere insignita con quello che viene considerato il Nobel per l’ambiente, il Goldman Environmental Award. 

Vicente è convinta che i diritti alla natura siano la rivoluzione giuridica del secolo e che la prospettiva delle popolazioni indigene sia fondamentale per fare progressi in questo senso. Se infatti le società occidentali non hanno grandi narrative incentrate su come esseri umani e natura possano coesistere in armonia, aggiunge Baquero Díaz, le popolazioni indigene sono un esempio vivente di come questo sia possibile. 

Ripenso alle aspettative che avevo prima di venire qui: immaginavo di trovare una laguna incontaminata e invece ho trovato il contrario. Nonostante questo, Mar Menor ha chiesto aiuto e chi gli stava accanto ha risposto.

“Il diritto al ripristino ambientale non è più qualcosa che dipende dalla volontà di un ministero, ma è un diritto del mar Menor”, ribadisce Vicente. 

“In teoria non è una brutta cosa che un’area protetta abbia degli usi. L’importante è che siano compatibili”, dice Pedro Luengo. E forse è proprio a questo che dovremmo puntare: alla compatibilità.

Riconoscere i diritti di entità non umane, come laghi, fiumi e montagne, dovrebbe essere anche un’opportunità per dare vita a nuove narrazioni. Come possono le esigenze di Mar Menor coesistere con i bisogni e i diritti della sua gente?

Una volta salutato Pedro, guido verso nord fino a uno degli ultimi lembi incontaminati di dune. Al tramonto, mentre torno dalla spiaggia sulle rive del Mediterraneo, vedo delle persone radunarsi intorno a Mar Menor.  L’acqua riflette la luce del sole che cala, mentre i fenicotteri immergono la testa nell’acqua.

 Questo articolo è stato pubblicato in collaborazione con Magma Magazine

Goldy Ann Levy

Goldy Ann Levy è una giornalista freelance, produttrice audio e poetessa. È la produttrice principale di Las Cosmos (Shake It Easy Media) e sceneggiatrice di Crossing the River (NYU School of Law’s Earth Rights Advocacy e Cerosetenta). È la creatrice di Encuento: Espacio de Escritura Libre (Encuento: Spazio di Scrittura Libera) dove utilizza la sua esperienza in poesia e scrittura creativa per facilitare un incontro online per scrittori di tutti i livelli. In precedenza è stata editrice di 070 Podcasts, una piattaforma indipendente in Colombia. Con una formazione in comunicazione e letteratura presso l’Emerson College di Boston e un master in Giornalismo presso l’Universidad de los Andes in Colombia, il suo lavoro si concentra sui diritti della natura e sul femminismo. I suoi podcast sono stati presentati su Cerosetenta, Ithaca Horizon e La Liga Contra el Silencio, mentre i suoi articoli sono apparsi su Sembra Media, La República, La Revista de Costa Rica e Haaretz. Originaria della Costa Rica, Goldy ora vive a Madrid con suo marito e due cani.

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