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Danilo Zagaria
L’agricoltore e il lombrico fanno la democrazia?

L'agricoltore E Il Lombrico Fanno La Democrazia Cover Zagaria
politica Scienza

Prima che inventassimo l'aratro, i vermi avevano già rivoltato la terra del globo. Indice di salute del terreno, contribuiscono al ciclo del carbonio e stanno alla base di una comunità multispecie di cui facciamo parte anche noi. Ma la strada per il rispetto, per loro, è ancora lunga.

Se vi recate di mattina nel folto della foresta di Apalachicola, nella Florida settentrionale, potreste facilmente incontrare dei cacciatori di lombrichi al lavoro. Per quanto bizzarro possa sembrare, esistono i worm grunter professionisti che fanno uscire questi invertebrati dal terreno e guadagnano vendendoli alle aziende che producono esche per la pesca. Sebbene esistano ormai allevamenti di lombrichi in tutto il mondo, in alcuni luoghi questo antico mestiere resiste, così come fino a poco tempo fa resisteva il mistero che circonda questa pratica. Chi fa worm grunting si reca nella foresta, pianta un paletto di legno nel terreno e lo sfrega ripetutamente con un attrezzo di ferro simile a una grossa lima. Le vibrazioni prodotte dallo sfregamento fanno uscire in massa i lombrichi dal terreno. Fino a qualche tempo fa si pensava che ciò accadesse perché confondevano le vibrazioni prodotte dagli umani con il tamburellare della pioggia.

Persino due cacciatori professionisti come i coniugi Revell, assidui frequentatori della foresta di Apalachicola, erano convinti che fosse la paura dell’allagamento del terreno far fuggire i lombrichi. È stato il biologo Kenneth Catania, grazie a uno studio sul campo svolto assieme a Gary e Audrey Revell, a fare luce sul mistero. Riprendendo alcune osservazioni nientemeno che di Charles Darwin – raccolte nel suo ultimo e stupefacente lavoro di ricerca dedicato interamente ai lombrichi: The Formation of Vegetable Mould Through the Action of Worms, with Observations on their Habits (1881) – e dal padre dell’etologia Nikolaas Tinbergen, Catania ha scoperto che la fuga dal suolo non è dovuta alla paura della pioggia ma alla paura delle talpe.

Lo studio di Catania, pubblicato su PLOS ONE nel 2008, e ripreso nel suo libro Adattamenti meravigliosi (Bollati Boringhieri, 2021), è un raro esempio di ricerca dedicata interamente al mondo nascosto del sottosuolo, ancora poco studiato a livello globale. Si tratta a tutti gli effetti di un paradosso, dato che ciò che avviene lì, spesso ad opera dei lombrichi o di altri organismi appartenenti alla pedofauna (dai funghi agli artropodi, dai microrganismi ai mammiferi), è fondamentale per un gran numero di processi biologici, geologici e chimici. I lombrichi sono infatti considerati come ingegneri ecosistemici per via della loro capacità di plasmare il terreno in cui vivono con le loro attività metaboliche. Della loro rilevanza Darwin scriveva:

Quando contempliamo una grande distesa di erba, dovremmo ricordarci che la sua regolarità, che tanta parte ha nella sua bellezza, è principalmente dovuta al fatto che tutti i dislivelli sono stati smussati dai vermi. È straordinario pensare che tutto quanto il terriccio di superficie di un qualsiasi prato è passato, e passerà ancora, nel giro di pochi anni attraverso il corpo dei vermi. L’aratro è una delle più antiche e preziose invenzioni dell’uomo, ma prima che esistesse la terra veniva regolarmente arata, e continua a essere arata, dai vermi. […] C’è da dubitare che ci siano molti altri animali che hanno giocato un ruolo così importante nella storia del mondo come queste creature.

Oggi sappiamo che “l’aratura della terra” da parte dei lombrichi è un procedimento articolato e complesso, fondamentale per il processo di decomposizione della materia organica morta, per il ciclo dei nutrienti come azoto e fosforo e addirittura per la regolazione climatica, dato che il loro costante lavorio migliora la capacità di alcuni tipi di suolo di sequestrare anidride carbonica dall’atmosfera. Per via di tutte queste attività, la presenza dei lombrichi nel terreno è anche un indice di buona salute dello stesso, un indicatore da non sottovalutare nel caso dei suoli che destiniamo all’agricoltura. 

Una ricerca pubblicata nel 2023 sulla rivista Nature Communications sottolinea l’importanza dei lombrichi per la produzione mondiale di cibo. Si tratta della prima stima di questo tipo calcolata a livello mondiale, e i risultati sono davvero sorprendenti. È stato stimato che la presenza dei lombrichi nei terreni vale il 7% della produzione mondiale dei raccolti, fra cui quelli di riso, grano e mais. La cifra, in tonnellate, arriva a 140 milioni, un valore che fa dei lombrichi il quarto produttore mondiale. Se il loro impatto è meno rilevante per quanto riguarda le leguminose – per via del fatto che queste piante sono già capaci di accaparrarsi i nutrienti grazie alle simbiosi con i batteri del terreno –, il loro lavoro metabolico è determinante in quei contesti in cui i suoli sono poveri di nutrienti e soggetti a siccità. Anche se a prima vista queste potrebbero sembrare condizioni inadatte ad animali come i lombrichi, essi sono comunque presenti nel suolo e contribuiscono a renderlo più adatto alle coltivazioni. Lo studio sottolinea quindi come la presenza di questi invertebrati sia fondamentale in luoghi come l’Africa sub-sahariana, l’America Latina e i Caraibi. 

Di fronte a questi numeri, viene facile pensare di risolvere numerosi problemi aumentando la quantità di lombrichi presenti nei suoli, soprattutto per i più poveri. Gli autori dello studio mettono in guardia da soluzioni di questo tipo, in quanto potrebbero scombussolare le dinamiche già presenti nei terreni e risultare, infine, più dannose che benefiche. Tuttavia, insistono sull’importanza della pedofauna e sul fatto che dovremmo studiarla in modo più approfondito. Chiudono poi la loro pubblicazione con un appello:

Suggeriamo di investire nella promozione di pratiche di gestione agro-ecologica che migliorino intere comunità biologiche presenti nel suolo, compresi i lombrichi, in modo da supportare un’ampia gamma di servizi ecosistemici che contribuiscono alla sostenibilità e alla resilienza a lungo termine dell’agricoltura.     

Dietro alla terminologia tecnico-scientifica (la gestione agro-ecologica, i servizi ecosistemici) in questa conclusione si intuisce un messaggio degno di nota: è necessario sostenere le comunità biologiche che vivono nel sottosuolo, in particolare i lombrichi. Ma come possiamo occuparci della sorte di lombrichi e api, polpi e coralli, se già facciamo fatica a estendere alcuni diritti ad animali come cani e gatti, scimmie, cavalli e mammiferi marini?

In altre parole: possiamo effettivamente discutere di diritti, di politica e comunità interspecifiche tirando in ballo animali come i lombrichi, che in genere causano ribrezzo e che catturiamo o alleviamo per farne delle esche viventi? Noi esseri umani siamo più propensi a vivere in compagnia di animali a noi più vicini, che percepiamo spesso come bisognosi di cure e di attenzioni (i cosiddetti “comportamenti epimeletici”, che Homo sapiens è così bravo ad attuare). Tutto è ben più difficile quando di fronte a noi abbiamo animali che possono apparire ai più come repellenti, viscidi e sporchi, abitanti di antri bui e potenzialmente pericolosi per la nostra salute.

Si è posta queste domande anche la scrittrice, filosofa e artista olandese Eva Meijer. Il suo ultimo libro, Il soldato era un delfino (nottetempo, 2025), si concentra sul ruolo politico degli animali, inteso come lo sforzo che oggi, attraverso quelli che vengono definiti “animal studies” e la ricerca scientifica, si tenta di attuare per allargare la sfera dei diritti anche agli animali non umani. Meijer si concentra sugli animali che restano fuori da questo tipo di discorsi per via del fatto che non sappiamo ancora molto sul loro grado di senzienza, la loro capacità di percepire il mondo e sé stessi. A complicare le cose c’è poi il modo in cui possiamo relazionarci con essi: è facile pensare di poter stabilire una relazione con un gorilla o con un cane, mentre appare assai più strano pensare di farlo con un lombrico o un’ape. Eppure, per l’autrice questi non sono scogli insormontabili: in fondo condividiamo con loro molto, e spesso – come nel caso degli effetti della crisi climatica – ci ritroviamo a essere alleati (e vittime) su un mondo che cambia a gran velocità.

“Come possiamo occuparci della sorte di lombrichi e api, polpi e coralli, se già facciamo fatica a estendere alcuni diritti ad animali come cani e gatti, scimmie, cavalli e mammiferi marini?”

Secondo Meijer, i punti di partenza per instaurare una convivenza umanità-lombrichi sono molti e tutti partono dalla filosofia. Parla di Ralph Acampora e di Donna Haraway, che hanno entrambi predicato il rispetto e la curiosità da parte nostra nei confronti dell’animale non umano, con l’obiettivo di fondare delle comunità politiche. In questo caso, l’agricoltore e il lombrico farebbero parte di una comunità unica, estesa, connessa a doppio filo da diverse relazioni e che può far valere le proprie istanze in un’arena democratica. Viene anche citato il lavoro di Donaldson e Kymlicka, autori di un celebre studio  sui diritti animali intitolato Zoopolis: A Political Theory of Animal Rights (2013). Secondo questo approccio, i lombrichi fanno parte di quel gruppo di animali che non vivendo alle dipendenze degli esseri umani potrebbe essere a tutti gli effetti considerato parte di una comunità (la pedofauna) sovrana sul proprio territorio. Secondo questa prospettiva, organismi come i lombrichi avrebbero almeno il diritto a un proprio territorio, che noi umani non avremmo quindi la facoltà di inquinare o di trasformare come ci pare e piace senza tenere conto delle comunità che lo abitano e che, come abbiamo visto, lo trasformano profondamente.

Oggi, per fortuna, stiamo cominciando almeno a conoscerli meglio. Nel 2021 è stato pubblicato su Scientific Data il primo database mondiale dedicato interamente a questi animali, ricavato dalle ricerche sul suolo effettuate in 10.840 siti, con 184 specie censite e 60 Paesi coinvolti. Dati del genere possono essere utili per comprendere la distribuzione di questi invertebrati, lo stato di salute delle specie studiate e gli effetti su tali comunità di pressioni ambientali causate dalla crisi climatica o dall’inquinamento antropico. Possono quindi essere un primo passo nella definizione delle comunità interspecifiche di cui parlano i filosofi che si occupano della “questione animale” e che Meijer passa in rassegna. Il suo libro, in cui la scienza non è centrale ma svolge un lavoro di notevole importanza nel definire alcuni aspetti cruciali per il discorso politico sui diritti animali, si chiude con un appello all’interdisciplinarietà, troppo spesso vittima della iper-specializzazione della ricerca e di una scienza sempre più tecnica e meno “culturale”.

Inoltre è importante indagare anche i legami tra ricerca scientifica e pratica politica. Le ricerche su linguaggi, culture, moralità e altri aspetti della vita degli animali non umani possono aiutarci a osservarli meglio e a interagire con loro in modo più efficace. Per ridefinire e consolidare il loro posto nella società, leggi e istituzioni politiche sono fondamentali. La filosofia politica può offrire strumenti cruciali per esplorare come le interazioni con gli animali possano tradursi nelle prassi e nelle istituzioni politiche esistenti.

In fondo, la stessa storia dello studio dei lombrichi e della loro importanza per i suoli è una miscela eterogenea di studi scientifici classici (da Darwin a Tinbergen), tradizioni popolari (il worm grunting), ricerche ecologiche moderne e speculazioni filosofico-politiche. Un perfetto esempio di ciò che Donna Haraway chiama “storie multispecie”.

Danilo Zagaria

Danilo Zagaria è biologo, divulgatore scientifico e redattore editoriale. Scrive di libri, scienza e animali su diverse testate, fra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera». Il suo sito personale è La Linea Laterale. Nel 2020 ha fondato la rivista letteral-scientifica «Axolotl». Con add editore ha pubblicato In alto mare. Paperelle, ecologia, Antropocene, finalista dell’edizione 2023 del Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica, e Il groviglio verde. Abitare le foreste dal Mesozoico alla fantascienza.

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