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Lorenzo Colantoni
Le vette scarnificate delle Apuane

Le Vette Scarnificate Delle Apuane Cover
natura politica storia

Nella zona di Massa Carrara le Alpi portano le ferite di un estrattivismo inaugurato nel dopoguerra, e poi sempre più aggressivo. Un’area ricchissima di biodiversità in pericolo e con il tasso di disoccupazione più alto del Centro-Nord ancora sconta il prezzo del marmo.

Sotto la cima del monte Altissimo, nelle Alpi Apuane, c’è un picco da cui in una giornata tersa si vede un quarto d’Italia: Portovenere e la Liguria, l’isola d’Elba, perfino il dito della Corsica. Qui, in cima al Picco di Falcovaia, circondati dalle montagne che il resto del continente chiama il giardino d’Europa, pare di stare nei posti in galleria di un teatro il cui palcoscenico è la nostra penisola.

Il picco però in realtà non c’è più: di Falcovaia rimane solo uno scheletro scarnificato. La punta è stata completamente demolita, mentre il crinale della montagna è stato scavato e terrazzato per espandere la produzione nella cava delle Cervaiole, una delle centinaia (tra attive e dismesse) presenti sul territorio delle Apuane. 

La Cava Delle Cervaiole, Su Quello Che Un Tempo Era Il Picco Di Falcovaia, Vicino Al Monte Altissimo.

La cava delle Cervaiole, su quello che un tempo era il picco di Falcovaia, vicino al Monte Altissimo.

Le cave qui ci sono sempre state: alcune addirittura risalgono ai tempi dei Romani, altre erano luoghi spesso frequentati da Michelangelo e altri artisti rinascimentali. Gli ultimi trent’anni però hanno visto un aumento rapido e insostenibile della produzione, che sta aumentando la pressione non solo sull’ambiente, ma anche sull’economia e sulla società: la provincia di Massa-Carrara non affronta solo la contaminazione dovuta agli scarti del marmo e le ferite lasciate dall’estrazione, ma è anche quella con il tasso di disoccupazione più alto di tutto il centro-nord. 

I cambiamenti nell’estrazione del marmo delle Apuane iniziano soprattutto nel secondo dopoguerra, con la progressiva industrializzazione di un processo in molti casi di grande scala ma ancora artigianale, ma la vera rivoluzione arriva negli anni Novanta: i diamanti sintetici sempre più economici permettono l’uso sempre più diffuso di filo diamantato prima e di seghe diamantate dopo. I nuovi sistemi permettono di accelerare la produzione in maniera esponenziale rispetto al passato: dal milione di tonnellate degli anni ‘80 si arriva in meno di due decenni al picco di cinque milioni di tonnellate estratte annualmente nei primi anni del Duemila. 143 torri di Pisa scavate ogni anno, cui si aggiunge una quantità dieci volte più grande di terra che deve essere movimentata per arrivare al marmo. 

La marmettola, il fango prodotto dalla polvere di marmo, è la causa principale della contaminazione dovuta all’estrazione. Quando finisce nei torrenti e nei fiumi ne cementifica il fondo e altera il pH, con un forte impatto sulla flora e la fauna di corsi d’acqua fondamentali per la biodiversità di tutto il Paese.

“Quando ero ragazza qui c’era ancora la montagna”, dice Ada Macchiarini, vice presidente del CAI di Massa e attivista molto coinvolta nel dibattito sull’estrazione – il CAI è una delle associazioni più attive, insieme al Coordinamento Ambientalista Apuoversiliese. Ada indica quello che rimane del picco di Falcovaia e mostra i confini ristretti della cava che originariamente si trovava qui. “Ma tutto questo non ha avuto conseguenze solo sul paesaggio”, aggiunge.

Ada Macchiarini, Vice Presidente Del Cai Di Massa, Presso La Cava Fondone.

Ada Macchiarini, vice presidente del Cai di Massa, presso la cava Fondone.

L’accelerazione straordinaria della produzione del marmo ha infatti avuto conseguenze ambientali, economiche e sociali. Il tema ambientale è quello più rilevante, ed è evidente su tutto il territorio; lungo la provinciale che porta a Falcovaia i crinali di montagne come il Sagro o il Sella sono costellate di cave nuove e antiche, grandi e piccole. Qui il bianco candido del marmo si alterna alle strisciate nere causate dall’acqua e dall’ossidazione dei minerali. Ancora più evidenti però sono forse i ravaneti, mucchi di materiali di scarto che coprono intere sezioni dei crinali e su cui non cresce nulla. Andando verso la cava di Fondone, che è chiusa ormai da sei anni perché l’estrazione non era più conveniente a livello economico, si incontra il greto di quello che sembra un fiume in secca, ma che è di un bianco brillante e innaturale a causa degli scarti della produzione.

La Fine Del Tunnel Della Cava Fondone, Con I Segni Delle Ultime Attività Di Scavo.

La fine del tunnel della cava Fondone, con i segni selle ultime attività di scavo.

Il tunnel abbandonato è ancora ricoperto di marmettola, il fango prodotto dalla polvere di marmo e che è la causa principale della contaminazione dovuta all’estrazione. Quando finisce nei torrenti e nei fiumi ne cementifica il fondo e altera il pH, con un forte impatto sulla flora e la fauna di corsi d’acqua fondamentali per la biodiversità di tutto il Paese – le Apuane sono uno degli hotspot più importanti in Italia, e ospitano 141 specie a rischio di estinzione. La marmettola però si accumula anche nelle falde acquifere in maniera sostanziale e, secondo uno studio di CNR, Università di Firenze e dell’Aquila del 2019, potrebbe impattare anche sulla capacità di trattenere l’acqua.

“Il ciclo dell’acqua è già ampiamente danneggiato dalle attività di scavo”, dice Nicola Cavazzuti, consigliere del CAI e anche lui impegnato nella questione delle cave. Nicola insiste su quanto la contaminazione delle sorgenti sia frequente: il paese di Forno rimase senz’acqua potabile per cinque giorni nel novembre 2022 a seguito di un’impennata improvvisa della produzione. Vicino alla sorgente del Cartaro (una delle più importanti nelle quattro province intorno alle Apuane) la presenza di una cava costringe a imponenti attività di depurazione sia dalla marmettola che da lubrificanti e altri inquinanti, i cui costi sono stimati in 350mila euro all’anno – tutti sostenuti da Gaia, il gestore idrico della Toscana.

La Vista Sulla Costa Toscana Dalla Cava Delle Cervaiole.

La vista sulla costa toscana dalla cava delle Cervaiole.

Un’estrazione così massiccia sta però anche incrinando il delicato equilibrio strutturale di questa zona carsica, e si vede bene sempre nella cava di Fondone, dove da un buco mal rattoppato con una lamiera sul soffitto della cava grondano costantemente litri e litri di acqua. “Noi del CAI vediamo sempre più sorgenti che si stanno seccando, e alluvioni sempre più devastanti, ma era prevedibile: abbiamo rotto tubature vecchie di milioni di anni”, dice Nicola.

Tutto questo oltretutto non porta grandi benefici economici. La competizione della produzione domestica cinese e la diminuzione della domanda statunitense hanno portato a un declino delle vendite, riducendo l’estrazione a quattro milioni di tonnellate attuali. Di questi in realtà il grosso è rappresentato non dai blocchi di marmo, che sono circa un quarto del totale, ma dai prodotti di scarto, che coprono più di metà dell’estrazione e vengono impiegati nella produzione di carbonato di calcio, il vero business delle Apuane, i cui guadagni solo in piccola parte vanno allo Stato: se molte cave sono in concessione, circa il 30% di quelle a Carrara sfrutta un editto del 1751 per vantare un diritto di proprietà sui terreni dove si estrae e pagare un canone ribassato.

In tutto il bacino ci sono meno di mille persone impiegate dalle cave e il quadro economico è ulteriormente aggravato da infiltrazioni storiche di criminalità organizzata e da una percentuale significativa di marmo venduta in nero.

La stessa cava di Falcovaia, ad esempio, pagherà centomila euro all’anno per i prossimi dieci anni per estrarre una quantità che probabilmente renderà almeno cinque miliardi di euro. Anche i posti di lavoro non sono aumentati – anzi, sono diminuiti. Dal 1994 al 2020 c’è stata una diminuzione del 30% delle persone impiegate nelle cave a causa del processo di meccanizzazione, ma una riduzione ancora maggiore è avvenuta nei laboratori, perché la lavorazione si è spostata nel Sudest Asiatico e nei Paesi arabi, dove la manodopera è più economica e i macchinari ormai al livello di quelli italiani. “In tutto il bacino ci sono meno di mille persone impiegate dalle cave”, dice Nicola, sottolineando come il quadro economico sia ulteriormente aggravato da infiltrazioni storiche di criminalità organizzata e da una percentuale significativa di marmo venduta in nero (secondo Nicola pari addirittura a quanto commerciato regolarmente).

Considerando anche la proprietà spesso straniera di molte aziende che gestiscono le cave (famosa l’acquisizione del 50% di Marmi Carrara da parte della famiglia Bin Laden nel 2014), pare che l’oro bianco delle Apuane lasci solo briciole sul territorio.

Vista Sui Gradoni Della Cava Delle Cervaiole.

Vista sui gradoni della cava delle Cervaiole.

“Il marmo è parte del nostro territorio e della nostra storia, ma c’è anche altro”, dice Gioia Giusti, la direttrice di Musica sulle Apuane, il festival diffuso che si tiene da quasi quindici anni sul territorio. Organizza spettacoli di musica classica, teatro, mostre e dibattiti nel teatro naturale delle montagne – sui picchi, ma perfino nelle cave dismesse – e fa parte di un movimento che da anni cerca di attirare attenzione sulla questione ambientale del marmo e di ridare vita a una delle aree più preziose – e più fragili – di tutto il Paese. Non è da sola: condivide questo obiettivo con persone come Alberto Grossi, regista e scrittore che da anni lavora sulla questione delle Apuane, o degli arrampicatori, dei fotografi e dei filmmaker di Carie, il progetto multimediale che usa la scalata per raccontare la situazione sul territorio. 

“L’unica soluzione per fermare il disastro è bloccare l’estrazione”, aveva detto Nicola, in conclusione. “Non improvvisamente, non necessariamente del tutto, ma bisogna iniziare subito. Prima che sia troppo tardi.” Il mix di cultura, sport, escursionismo e turismo sostenibile proposto da Gioia, dal CAI di Massa e da tanti altri potrebbe essere l’alternativa per un estrattivismo ormai in declino, ma servirà un’attenzione istituzionale in un contesto in cui le cave ancora dominano la politica locale – la Regione Toscana nel 2024 ha proposto un aumento del 5% della produzione, in contrasto con lo stesso Piano regionale cave approvato nel 2020. Di fronte a una situazione sempre più insostenibile bisognerà agire in fretta, per evitare di superare un punto di non ritorno in luoghi che non possono essere ripristinati, perché l’estrazione lascia ferite che non si rimarginano. Un cambiamento di rotta necessario perché del giardino d’Europa non rimangano solo briciole e polvere.

Tutte le fotografie sono state realizzate da Lorenzo Colantoni.

Lorenzo Colantoni

Lorenzo Colantoni è giornalista e ricercatore ambientale, con esperienze sul campo in Africa Sub Sahariana, America Latina, Sudest Asiatico, Ucraina e Artico. Specializzato in crimini ambientali e impatto della crisi climatica, è responsabile di ricerca dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) e consulente di agenzie ONU come UNODC, UNEP e UNICRI. Colantoni è anche regista di documentari e autore di sette libri; l’ultimo, Lungo la Corrente, è stato pubblicato da Laterza nel 2024.

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