Dopo essere stata a lungo un fondale esotico per storie stereotipate, l'Amazzonia è diventata la protagonista di film girati da chi la vive e non la osserva semplicemente dall'esterno.
Se volete parlare dell’Amazzonia, ascoltateci. Abbiamo cose incredibili da raccontare.
Attribuita ad Angela Mendes, figlia dell’attivista Chico Mendes assassinato per difendere la foresta e i suoi abitanti, la citazione è ormai uno slogan identitario. Adottata dall’insieme dei popoli della foresta fino a diventare bandiera di un intero movimento, afferma che il racconto dell’Amazzonia deve nascere da chi la vive, non da chi la osserva da fuori o è qui solo di passaggio.
Poche settimane fa l’ho sentita pronunciare sul palco del Teatro Amazonas, a Manaus, durante la premiazione del film vincitore della più importante rassegna di cinema dell’Amazzonia, il festival “Sguardo del Nord” (Olhar do Norte). Il teatro era gremito: platea, palchi, gallerie, tutto pieno. All’ingresso abbiamo atteso l’apertura della sessione serale in una lunga fila ordinata nella più bella piazza dell’Amazzonia. Circondata da edifici ottocenteschi color pastello e lastricata da un mosaico ondulato in bianco e nero che evoca l’incontro delle acque del Rio delle Amazzoni con il Rio Negro, piazza São Sebastião, per tutti o largo, è un salotto urbano sempre molto frequentato. Di giorno la città sfrutta l’ombra dei suoi grandi alberi mentre di sera concerti, bar e caffè animano l’atmosfera.
Il Teatro Amazonas è un’icona dell’epoca d’oro vissuta dalla capitale quando, tra fine Ottocento e inizio Novecento, Manaus divenne il più ricco centro urbano dell’America latina grazie al commercio della gomma, prima che avvenisse il primo e non ultimo atto di bio-pirateria della storia amazzonica: il trasporto da parte degli inglesi di semi e piante di caucciù nei loro territori in Asia per avviare le piantagioni che segnarono la fine del mercato brasiliano e l’inizio della decadenza, ancora oggi visibile quasi ovunque nella città. Compendio di grandi teatri europei, somiglia un po’ alla Scala di Milano per i legni pregiati e i velluti rossi, un po’ all’Opéra di Parigi per la ricchezza decorativa e i lampadari monumentali – qui in cristallo di Murano – e vanta un’eccellente acustica paragonabile al Teatro Massimo di Palermo. Dopo decenni di abbandono, fu restaurato nel 1990 e oggi accoglie concerti, balletti, produzioni locali, un festival di opera lirica e, per l’appunto, uno di cinema. Molti spettacoli sono a ingresso gratuito o ridotto per i residenti e diverse iniziative pubbliche lo rendono un importante polo culturale, accessibile a tutti. Non un dettaglio per Manaus, la maggiore tra le città amazzoniche, che ospita due milioni di persone di cui più del 50% nelle sue favelas e periferie. Arte e cultura non possono avere un prezzo per trovare spazio nella foresta urbana.
Dal 17 al 21 settembre 2025, dal mattino fino a sera, un pubblico di tutte le età ha dunque affollato il Teatro Amazonas, ha assistito a proiezioni, partecipato a dibattiti, parlato di cinema e votato i film preferiti. Alla sua settima edizione, con oltre ottocento film iscritti, Sguardo del Nord ha ospitato cortometraggi provenienti dal nord del Paese e lungometraggi invitati da tutto il Brasile e si è consolidato come una delle principali vetrine del cinema prodotto in Amazzonia.
Ha inaugurato la manifestazione il lungometraggio fuori concorso L’agente segreto, miglior regia al 78° Festival di Cannes, in lizza per la candidatura all’Oscar come miglior film straniero per il Brasile – sarà nelle sale italiane da gennaio 2026. Nel film, ambientato durante gli ultimi anni della dittatura militare, un professore universitario – interpretato da Wagner Moura, miglior attore a Cannes – fugge da un passato violento e misterioso e lascia San Paolo per Recife in cerca di pace, ma si rende presto conto che la città non è il rifugio che cerca.
Enquanto o Céu Não Me Espera (“Mentre il cielo non mi aspetta”) della regista amazzonense Christiane Garcia ha dato risalto al primo giorno di proiezioni. Presentato in anteprima al 57° Festival del Cinema di Brasilia, il film ha ricevuto il plauso di critica e pubblico. Proiettato anche al Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latinoamericano dell’Avana e al Capri Hollywood Festival, il lungometraggio è in arrivo in Italia per Agenda Brasil, il principale festival di cinema brasiliano nello stivale. Racconta la storia di Vicente, un ribeirinho (rivierasco) che lotta per sopravvivere con la famiglia durante un’inondazione che allaga la sua palafitta, una realtà frequente per molti abitanti dei fiumi in Amazzonia. Ho chiesto il perché di tanto successo a Marco Palazzini, critico cinematografico del festival italiano: “L’opera racconta l’universo fluviale amazzonico, dominato dall’acqua, descritta come minacciosa e inevitabile. Il duello fisico e simbolico uomo–natura porta un messaggio di accettazione, di resa alle forze dell’ambiente e della storia. È un ritratto molto potente di un’Amazzonia molto vera”. Il film solleva forti critiche al patriarcato, alla pressione delle chiese evangeliche e ai rapporti di potere che schiacciano i più fragili. “Sì, è anche un film politico, nonostante usi pochissimi dialoghi e un linguaggio più elegiaco che narrativo. La fotografia ricercata rafforza il senso di malinconia: i toni dominanti del verde e del grigio evocano tristezza, fatica e disillusione. Un film da vedere, le nostre proiezioni sono in calendario il 31 ottobre all’Anteo di Milano e l’11 novembre alla Casa del Cinema a Roma”.
I cortometraggi in concorso al festival Sguardo del Nord sono arrivati al Teatro Amazonas da tutti gli angoli dell’Amazzonia brasiliana ed esplorano realtà e generi diversi, dai documentari alla fantascienza, dall’horror alla commedia e all’animazione.
Da Roraima, ultimo stato brasiliano prima del Venezuela, sono arrivate storie di immigrazione come Llaneros em Boa Vista del regista Fernando Millán e di riscatto della tradizione come Entre as Nuvens di Alex Pizano. Entrambi hanno ricevuto una Menzione d’onore.
Un divertentissimo Americana di Agarb Braga affronta la questione di genere con allegria e ha vinto i premi per il Miglior trucco e Miglior costume. Nel cortometraggio cinque amiche vengono arrestate dopo una rissa scatenata da un tradimento. Alla stazione di polizia però, durante le loro deposizioni, vengono a galla segreti che rivelano verità inaspettate e riconfermano i legami di amicizia.
La platea è stata fragorosa per A Bicicleta Amarela (“La bicicletta gialla”), che giocava in casa con la regia di Zeudi Souza e un cast manauara. In bianco e nero per metà, il film ci riporta all’unico momento della storia in cui la raccolta della gomma riprese con forza in Amazzonia: durante la Seconda guerra mondiale quando, per necessità dell’industria bellica, il governo prese a reclutare, anche con la forza, i “soldati della gomma”, obbligandoli alla raccolta. Il protagonista del corto riesce a fuggire dal lavoro forzato e a mettere in salvo i due figli grazie a una vecchia bicicletta fuori uso che tinge il film di colori quando riesce ad aggiustarla.
“I cortometraggi in concorso al festival Sguardo del Nord sono arrivati al Teatro Amazonas da tutti gli angoli dell’Amazzonia brasiliana ed esplorano realtà e generi diversi, dai documentari alla fantascienza, dall’horror alla commedia e all’animazione”.
Daniela Coimbra ha una cascata di capelli ricci e 39 anni, tutti vissuti a Manaus. Ha lavorato nella produzione del cortometraggio Mata Gato (Assassino di gatti), un horror ambientato nella periferia della città e presentato al festival in anteprima. “La mia funzione principale è stata di assistente alla direzione artistica di Villy Gouveia – anche lei amazzonense – ma in realtà ho ricoperto diversi ruoli: costumista, truccatrice, effetti speciali. Il nostro è un cinema a budget ridotto, noi lo chiamiamo cinema di guerriglia. Impariamo a fare un po’ di tutto, accumuliamo funzioni. In altre produzioni sono già stata attrice, addetta al casting, assistente alla fotografia.”
Daniela ha due figli, il primo lo ha cresciuto da sola e ha 12 anni, il secondo di appena 6 mesi sorride tra le braccia del papà, indigeno Wapichana arrivato a Manaus dalla Guyana in cerca di opportunità (anche lui ha aiutato nella produzione). Mi racconta che il figlio maggiore quando ha visto il film lo ha definito “orribile” e lei ha riso soddisfatta. “È quello che vuoi sentirti dire quando fai un horror”. Dopo averlo visto sono stata d’accordo con il ragazzo. È cinema gore, mi spiega, uno dei sottogeneri più estremi dell’horror, pensato per offrire esperienze scioccanti e un forte impatto emotivo. Nel corto, l’unico protagonista umano colleziona annunci di gatti smarriti, ne tappezza le pareti del suo lurido monolocale di periferia e li uccide con gusto macabro quando li trova. Finché lo spirito dei gatti uccisi si ribella e, dopo aver tormentato a lungo l’uomo malvagio, si vendica. “È un tema che ci sta molto a cuore, siamo un gruppo di amanti dei gatti e volevamo denunciare il serio problema del randagismo a Manaus, che ha numeri preoccupanti: si stima che più di 400mila animali, tra cani e gatti, siano stati abbandonati solo nel 2021. Molti sono malati e trasmettono infezioni agli uomini, André Cunha, il nostro regista, ha contratto la sporotricosi durante le riprese. Il film è una finestra sull’Amazzonia urbana, sulla nostra vita reale. È ora di abbandonare la narrativa coloniale, che ci ha sempre raccontati con folclore. Sono stati sempre gli altri a parlare di noi, ora vogliamo farci sentire”. E finalmente è possibile, grazie anche a recenti incentivi del governo che stanno offrendo nuove possibilità all’intero settore. In cambio di finanziamenti, i cineasti devono impegnarsi anche a offrire formazione, il gruppo di Daniela per esempio ha realizzato un workshop aperto al pubblico sugli effetti speciali, con ben trenta partecipanti. È un movimento che cresce, e rivendica protagonismo.
Di fatto, con l’invenzione della macchina per la produzione di immagini in movimento nel 1896 in Francia, l’Amazzonia iniziò a ricevere visite finalizzate a mostrare al pubblico europeo le persone e i paesaggi già dipinti da viaggiatori e scienziati e poi ritratti attraverso la fotografia, adesso in movimento. Secondo il dossier Cinema no Amazonas nei primi decenni del XX secolo, la regione fu visitata da numerose compagnie alla ricerca di scene della giungla e della vita quotidiana nelle città amazzoniche. Inizialmente orientati più al documentario che alla finzione, i registi producevano film di taglio propagandistico, un riuscito rapporto tra turismo e immagine, un cinema quasi sempre fantastico, a volte etnografico. Il racconto dominante finiva però per nascondere piuttosto che rivelare la realtà amazzonica. In breve, negli studi nordamericani, la regione diventò sfondo per storie di mostri, di antiche civiltà inventate, di cacce pericolose, formiche, ragni, anaconda e piranha giganti, indios cannibali e cacciatori di teste, creando i miti più selvaggi e infondati.
Forse anche per questo la giuria di Sguardo del Nord ha pluripremiato Boiuna , cortometraggio che ha ricevuto i premi per Miglior film, Miglior suono, Miglior fotografia, Miglior recitazione (a una giovane attrice esordiente), oltre al Premio Itaú e a una Menzione d’onore dalla giuria giovani. Diretto da Adriana de Faria, amazzonense come tutta la produzione e le attrici – tutte donne –, il film racconta il ritorno nella foresta di una madre con la figlia adolescente che per la prima volta incontra la vita lungo i fiumi, con i misteri e le persone che la abitano.
“Mara, quando entri nella foresta devi chiedere permesso” spiega la madre alla figlia.
“Permesso?”
“Sì, figlia. Perché nella foresta tutto ha un proprietario. L’acqua ha un proprietario. Il bosco ha un proprietario.”
Ambientato nella foresta densa, tra i fiumi, i ruscelli e gli animali che la abitano, il film porta un messaggio di rispetto per il mondo degli encantados, entità che vivono negli elementi naturali, nelle piante, negli animali, nei fiumi, laghi, rocce. Agiscono come protettori della foresta, sono considerati guardiani e le loro storie tramandano di generazione in generazione il legame con la natura. Boiuna è l’essere encantado dei fiumi, un anaconda, un serpente gigantesco che abita le profondità dei corsi d’acqua, solchi che ha creato al suo passaggio. Boiuna può trasformare, attrarre e ipnotizzare le persone con i suoi occhi luminosi. “Per noi non è folclore” ha detto la regista durante la cerimonia di premiazione. “Gli encantados sono reali, sono la nostra spiritualità. Il Brasile non conosce il suo Nord, per questo voi dovete guardare in alto. Per accogliere e celebrare il cinema amazzonico.” Nel corto la regista riesce a intrecciare il dramma dell’ingresso nell’adolescenza con la violenza di genere, l’alleanza femminile, la foresta e i suoi incantesimi. La giovanissima attrice Jhannyfer Santos ha dichiarato: “È stato un onore dare vita al personaggio di Mara, un’adolescente che mi somiglia in tutto e per tutto. Partecipare a questo film è stato un mix di emozioni. Ho scoperto talenti e capacità che non avrei mai immaginato di avere”.
Negli ultimi anni, il cinema brasiliano ha vissuto un’importante rinascita, ottenendo riconoscimenti nei più prestigiosi festival mondiali, tra cui Venezia, Cannes, Locarno e Berlino, oltre all’Oscar per miglior film straniero nel 2025. Ma quello amazzonico? Regina Nadaes Marques, carioca trapiantata a Milano, dirige Agenda Brasil – dal 30 ottobre al 12 novembre a Milano, Roma e Torino – e di Amazzonia ne sa. “Il tema è sempre più presente nel cinema contemporaneo e sta conquistando spazi crescenti nelle produzioni cinematografiche del Brasile, che oggi arrivano ai festival e ai mercati internazionali non più con l’impronta del classico action movie, come lotta tra il bene il male o come semplice denuncia ambientale, ma con storie umane, temi sociali e universali.” Chiedo alcuni esempi. “Ce ne sono in abbondanza. Produzioni come la serie documentale Guerreiros da Floresta mettono in risalto le sfide ambientali che minacciano il bioma e i rischi per il clima globale. La serie di finzione Aruanas, che ha avuto grande successo nazionale, segue le lotte dei popoli della foresta contro la devastazione e la criminalità. Ma è un cinema che celebra anche la cultura indigena e la spiritualità, come accade con il cartone animato Ainbo. Recentemente due film importanti sono stati realizzati da registi brasiliani. Manas (2024) di Marianna Brennand, ambientato nel delta del Rio delle Amazzoni, è il risultato di una ricerca durata dieci anni sul complesso e delicato tema dello sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti. Il lungometraggio ha debuttato in anteprima mondiale alla Mostra del cinema di Venezia 2024 dove è stata la prima opera brasiliana a ricevere il Director’s Award, seguito poi da altri venti premi nazionali e internazionali, confermandosi come una delle opere più rilevanti del recente cinema brasiliano.
“Negli studi nordamericani, l’Amazzonia diventò sfondo per storie di mostri, di antiche civiltà inventate, di cacce pericolose, formiche, ragni, anaconda e piranha giganti, indios cannibali e cacciatori di teste, creando i miti più selvaggi e infondati”.
O Último Azul (2025), diretto da Gabriel Mascaro, racconta la storia di Tereza, settantasettenne inserita in un progetto governativo che prevede colonie per anziani, pensate per garantire loro una fine serena. Pochi giorni prima della partenza, però, Tereza decide di inseguire un sogno personale e intraprende un viaggio lungo il Rio delle Amazzoni. Presentato in anteprima mondiale alla 75ª Berlinale, il film ha conquistato l’Orso d’argento e sarà presto nelle sale italiane con il titolo Sentiero azzurro”.
Parallelamente, aumenta la produzione di opere realizzata dagli abitanti stessi dell’Amazzonia. In particolare il cinema indigeno rappresenta oggi uno strumento culturale e sociale di resistenza per i popoli originari. Attraverso il linguaggio cinematografico i registi indigeni raccontano la propria identità, la propria visione del mondo, la cosmologia e le tradizioni ancestrali, affrontando al tempo stesso la difesa dei territori e dei diritti.
Era il 1986 quando Video nas Aldeias (Video nei villaggi), oggi riferimento istituzionale per il cinema indigeno, muoveva i primi passi. Su iniziativa di Vincent Carrelli, documentarista e studioso di questioni indigene, il progetto iniziò portando videocamere nei villaggi per filmare, e mostrare alle comunità stesse i filmati realizzati, promuovendo così l’incontro tra gli indigeni e la loro immagine. L’idea sperimentale voleva permettere ai nativi di rappresentare sé stessi anziché essere rappresentati da altri, rompendo stereotipi e visioni esterne, e allo stesso tempo rispondere alla loro richiesta di registrare cerimoniali, produrre immagini di altri popoli, iniziare i giovani all’uso della cinepresa. Nove anni dopo, il progetto iniziò a formare registi indigeni nei villaggi. Oggi divenuto una ONG, Vídeo nas Aldeias ha realizzato più di 127 workshop, 8000 ore di registrazioni e video con più di 31 popolazioni indigene. Alcuni di questi documentari sono visibili in streaming sui canali Youtube e Vimeo dell’organizzazione o sulla piattaforma Itaú Cultural Play, che offre una ricca raccolta di produzioni audiovisive brasiliane. Molti cineasti indigeni si formano grazie all’organizzazione, alcune sue produzioni entrano in circuiti di festival, musei, mostre d’arte, amplificando voci che resistono all’invisibilità e alla cancellazione a cui sono stati sottoposti fin dalla colonizzazione europea.
“I festival sono i principali spazi di visibilità” continua Regina Marques. “Permettono di mostrare questi film a un pubblico ampio, di favorire lo scambio tra autori, studiosi e spettatori, e di creare nuove opportunità di distribuzione e sostegno economico. Anche le nuove piattaforme digitali hanno rafforzato la diffusione e il riconoscimento di un cinema che unisce espressione artistica e impegno politico. Si tratta di una preziosa pluralità di voci e di narrazioni”.
“Abbiamo urgente bisogno di formazione”. Daniela indossa una maglia rosso sangue con il disegno di un gatto nero e la scritta Mata Gato con il font horror dai tratti distorti e irregolari. “Chi vive a Manaus non ha molta scelta, esiste un solo corso di produzione audiovisiva all’università statale, quella federale ne ha annunciato uno nel 2023 che non è mai partito. E spostarsi per studio in un’altra città non è un’opzione possibile per la maggior parte di noi”. Non resta che iniziare partecipando a collettivi locali, scuole indipendenti e festival regionali, candidandosi a bandi di cultura e cercando formazione online. Un lungo percorso che addiziona valore assoluto ai prodotti finali.
Il bello è che il cinema amazzonico non è più soltanto oggetto ma soggetto e racconta sé stesso con un linguaggio che nasce dentro la foresta, lungo i fiumi e negli spazi urbani. Sfida stereotipi, reinventa narrazioni e restituisce centralità ai suoi personaggi, ora anche autori.
In copertina: frame da Boiuna di Adriana de Faria (2025, Água de Rio Filmes)