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Giorgio Brizio
Prima li hanno derisi, poi hanno vinto

Prima Li Hanno Ignorati, Poi Hanno Vinto Mandamano Attivisti Sito
clima politica

Intervista a Phoebe Plummer, l'attivista che ha imbrattato i "Girasoli" di Van Gogh, che racconta come il movimento Just Stop Oil ha raggiunto il suo obiettivo.

Dopo aver speso 200 giorni in carcere, a metà luglio 2024 gli e le attiviste Lucia Whittaker-De-Abreu (34), Cressida Gethin (22), Louise Lancaster (58), Daniel Shaw (38) e Roger Hallam (58) sono state condannate a quattro anni di reclusione per “cospirazione al disturbo della quiete pubblica”. Cioè per aver partecipato a una chiamata Zoom che avrebbe portato a dei blocchi del traffico su uno snodo autostradale londinese nel novembre 2022.

La condanna più pesante è stata inflitta a Roger Hallam, che a quell’azione non era nemmeno fisicamente presente. Hallam, agricoltore gallese, ha sicuramente un posto nell’Olimpo dell’attivismo per il clima. Nel 2018 ha fondato Extinction Rebellion (XR), dal quale è stato allontanato per le sue posizioni ritenute estreme, e nel 2022 Just Stop Oil, omologo britannico di Ultima Generazione. Ultima Generazione era infatti una campagna di XR, che da un lato è divenuta sempre più autonoma e dall’altro è stata disconosciuta dal resto del movimento, diventando indipendente. Pur essendo alcune pratiche di Just Stop Oil – i blocchi stradali generalizzati, l’uso di droni per bloccare lo scalo passeggeri di Heathrow, l’imbrattamento di patrimoni dell’umanità come Stonehenge – non condivise da molti gruppi ambientalisti, queste cinque condanne rappresentano un attacco all’intero movimento per il clima.

A Hallam è stato impedito di testimoniare di fronte alla giuria sul rischio di estinzione causato dall’uso dei combustibili fossili. Coloro che si sono presentati davanti al tribunale sono stati messi in stato di fermo; tutti tranne un attivista che portava con sé un cartello polemicamente bianco. Come tutto questo sia “ragionevole, proporzionato o serva a legittimare uno scopo pubblico è al di là della comprensione” aveva detto Michel Forst, relatore inviato dalle Nazioni Unite per verificare l’inasprimento delle leggi sui difensori per il clima. “Vista la gravità della situazione, esorto il nuovo governo britannico, con assoluta urgenza e senza indugio, a prendere tutte le misure necessarie per garantire che le pene siano ridotte in linea con gli obblighi del Regno Unito ai sensi della Convenzione di Aarhus”, aveva scritto Forst.

Hallam si trova tuttora in prigione e avevamo programmato con lui un’intervista, ma dalla scorsa settimana gli è stata anche tolta la possibilità di effettuare chiamate dal carcere.

Abbiamo dunque deciso di intervistare una persona che è divenuta un punto di riferimento di Just Stop Oil e del colore arancione che sin dall’inizio ha contraddistinto il movimento. Il volto di Phoebe Plummer ha fatto il giro del mondo per il lancio – che non ha causato danni – della zuppa di pomodoro sui Girasoli di Van Gogh.

Prima di Just Stop Oil avevi fatto parte di altre realtà di attivismo?

No, direi che sono consapevole della portata della crisi climatica dal 2019. Ironicamente quell’anno ero rimasta bloccata nel traffico durante le proteste di Extinction Rebellion. Essendo giovane – immagino che per te sia lo stesso – non c’è stato un momento in cui ho scoperto la crisi climatica. Il riscaldamento globale è un qualcosa di cui si è sempre parlato, ma in un modo in cui non sembrava dovessimo preoccuparcene: gli adulti se ne stanno occupando, è tutto sotto controllo. Pensavo si trattasse di eliminare le cannucce di plastica per salvare le tartarughe. Non avevo affatto capito che fossero a rischio tutti i sistemi che tengono le società vive e funzionanti. Per questo, nel 2019, quando vidi Extinction Rebellion, mi chiesi come mai le persone bloccassero il traffico e si facessero arrestare. Quando sono andata a casa ho deciso di leggere il riassunto dell’ultimo report dell’IPCC e ho pensato: “Cazzo!”. Mi sono sentita come se il mondo stesse collassando attorno a me: si trattava di una minaccia alla vita e di un livello di sofferenza e ingiustizia a una scala incomprensibile. Ma a quel punto mi sono comportata come fanno molte persone: ho elencato le buone ragioni per non iniziare una resistenza più significativa. Pensavo di poter avere la normale vita di una persona giovane, andare a scuola, all’università, avere una carriera e una famiglia. Così ho fatto tutte quelle cose carine che ci dicevano di fare: sono diventata vegana, ho smesso di volare e di acquistare oggetti di prima mano, sono andata alle marce autorizzate, ho firmato le petizioni e per tre anni ho visto, da una parte, tutto questo non avere effetti e, dall’altra, ingiustizie sempre più intollerabili. Fino a un punto di non sopportazione e nell’agosto 2022 ho pensato che dovessi fare qualcosa di significativo.

Poco prima, nell’aprile del 2022, Hallam e altri avevano fondato Just Stop Oil. C’è stato un evento che ti ha fatto pensare “loro stanno facendo qualcosa di davvero concreto, dovrei farne parte”?

È buffo, ma non avevo quasi mai visto Just Stop Oil sui media prima di iniziare a farne parte. Non sono neanche andata a un talk o qualcosa del genere. Penso che avessi semplicemente vissuto a lungo con la sensazione che fosse la cosa giusta da fare per innescare un cambiamento sociale. Ho realizzato che la vita che stavo vivendo non sarebbe stata possibile senza le persone che avevano fatto resistenza civile nonviolenta prima di me. Cercando online ho trovato Just Stop Oil.

Dici che non avevi visto molto Just Stop Oil sui media, e in qualche modo la tua partecipazione ha fatto sì che questa cosa cambiasse.

Penso ci sia un cambiamento di prospettiva quando vieni coinvolta nella disobbedienza civile nonviolenta. Molte persone guardano la società e pensano “non stiamo facendo le cose nel modo giusto. C’è troppa ingiustizia. Non sono d’accordo”. Molte di loro però si sentono inermi, incapaci di cambiare il sistema. Un volta che vieni coinvolta nella resistenza devi avere un cambio di mentalità che ti porta a dire “no, io posso fare qualcosa, io ho potere in quanto persona ordinaria”. E una volta che questo è successo ho pensato che fosse la cosa più importante che potessi fare. 

Così mi sono segnata in una lista di persone disponibili a fare una “azione culturale”, che è il modo in cui definiamo gli eventi culturali dirompenti. Qualcuno mi ha chiesto se mi andasse di farlo. Era un’azione pensata per essere appetibile per i media, ma nessuno si aspettava che avrebbe avuto questa eco. Tre ore dopo alla stazione di polizia ho pensato “wow, è stato un po’ più intenso di quanto immaginassi”.

Cos’è accaduto dopo?

L’azione dei Girasoli è abbastanza rappresentativa dell’evoluzione della repressione nel Regno Unito. Durante la riunione con gli avvocati, dopo aver accettato di fare questa cosa, ipotizzavamo che il caso sarebbe finito davanti a un tribunale minore e che non avrebbe comportato una detenzione. Ci ha messo due anni per arrivare a processo e a sentenza, e in quei due anni è passato da un qualcosa per cui non ti aspetteresti fare neanche un giorno di carcere a una condanna nei miei confronti a due anni di reclusione. 

Sono stata in prigione tre volte. La prima volta un mese on remand (senza alcuna condanna) per un’azione che ha bloccato per quattro giorni un’autostrada. La seconda due settimane e mezza per una marcia lenta di venti minuti in centro a Londra. La terza sette mesi per i Girasoli. Sono uscita prima della fine della sentenza ma ho tutt’ora un coprifuoco (Phoebe solleva la gamba e indica un bracciale elettronico): devo essere a casa dalle 7 di sera alle 7 di mattina ogni giorno.

Precedentemente, quando facevamo marce lente, la maggior parte delle persone non veniva arrestata e coloro che lo erano affrontavano implicazioni minori. Poi il governo ha approvato un nuovo pacchetto legislativo sulla protesta chiamato Public Order Act nel 2023, che ha introdotto la nuova legge Section 7 sulla “interferenza con infrastrutture di interesse nazionale”. È una legge scritta in modo vago appositamente per essere usata in un ampio spettro di situazioni e per abbassare il livello delle azioni possibili. Per fare le stesse cose per cui ricevevamo accuse minori in precedenza adesso rischiamo sentenze pesanti in alte corti. Una cosa interessante sul Public Order Act è che è stato proposto da un think tank chiamato Policy Exchange, come dichiarato dallo stesso Rishi Sunak, e tra i suoi maggiori finanziatori c’è la compagnia fossile Exxon Mobile. Non proprio una coincidenza che si siano spesi per una legge che reprime l’attivismo climatico. 

Dentro e fuori il movimento per il clima, indipendentemente da quanto fossero d’accordo con voi, le persone hanno riconosciuto un notevole coraggio nelle vostre azioni. Tu come ti sei sentita a farle?

Posso riconoscere che alcune siano state oggettivamente coraggiose, e in generale molti considererebbero la mia vita molto stressante: relazionarsi con i media, affrontare i processi, andare in prigione. C’è stato un periodo qui nel Regno Unito in cui la polizia ti poteva prendere senza particolare motivo. Uscivi di casa, non facevi niente di illegale e venivi fermato, oppure potevano perquisirti casa mettendola sottosopra, è successo a tante case di attivisti. Vivere con processi, carcere e tutte queste incertezze erano sicuramente motivo di stress, ma davvero non mi sono mai sentita più felice di fare tutto ciò. Ho provato immensa gioia nel far parte della resistenza, nel sentirmi in linea come i miei princìpi morali, nel sapere che stai facendo qualcosa di attivo contro cose che sai essere sbagliate. Penso sia un’esperienza veramente gioiosa nonostante tutte le avversità. Con la comunità che Just Stop Oil ha costruito e i legami che sono riuscita a creare è stato un piacere e un onore.

Nel libro di XR, Questa non è un’esercitazione, ci sono i racconti di persone di ogni tipo e ceto che sono finite in carcere. Com’è stato per te? 

Sono fortunata perché evidentemente sembro reagire bene alla prigione. Il carcere obiettivamente non è un bel posto in cui essere: sei regolarmente deumanizzata. Ti viene dato un numero e sei considerata più come quel numero che come un essere umano. Essere rimossi forzatamente dalla propria vita e da coloro che ami può essere molto doloroso. Per me la cosa peggiore da vedere è stato il livello di dolore inflitto ad altri detenuti ogni giorno. Una totale mancanza di cura e una violenza sistematica quotidiana, anche verso persone che non dovrebbero essere in carcere.

Dall’altro lato, ho avuto un enorme supporto da amici e famiglia e in generale da tutto il movimento per il clima dietro di me. C’è stato anche qualcosa dell’essere detenuta che mi è davvero piaciuto, come la pausa dall’intensità del mondo all’esterno, in cui non avevo tempo di leggere e fare molte cose. Chiamo la prigione la “miglior porta d’uscita dall’attivismo”: ero molto vicina al burnout prima di andare in prigione e questa l’ha evitato. 

Ci sono anche molti attivisti pro Palestina in carcere al momento e quindi si è formata una bellissima comunità radicale. Ho stretto amicizie incredibili, sia con loro che con altri detenuti che altrimenti non avrei incontrato nella vita normale.

Quanti attivisti per il clima sono in carcere al momento?

L’anno scorso moltissime persone sono andate in prigione. Quella che ha riguardato i cinque è stata la più lunga condanna ad attivisti nonviolenti che abbiamo mai visto nel Regno Unito. Dopo di essa, molte persone sono state spedite in carcere per la “campagna sull’aeroporto”. Penso che quest’ultimo caso sia molto interessante perché c’erano azioni simili in Italia, in Germania, in Portogallo e il Regno Unito è stato l’unico Paese in cui degli attivisti sono finiti in carcere. Dopo il rilascio di Daniel Knorr la settimana scorsa, per fortuna al momento abbiamo solo tre persone in prigione come Just Stop Oil. Due sono i co-fondatori Indigo Rumbelow e Roger Hallam. Il terzo è Sam Griffiths, che è in prigione in Scozia per un’azione fatta con un gruppo chiamato This is Rigged. Nelle ultime sentenze sorprendentemente nessuno è stato mandato in carcere, inclusa me, che pensavo che ci sarei finita tre settimane fa mentre la mia pena è stata sospesa. Sembra che quest’anno ci mandino in prigione molto meno dello scorso.

Perché secondo te?

Non so se abbia a che fare col fatto che Just Stop Oil ha raggiunto il suo obiettivo principale e quindi le corti sentono meno la necessità della deterrenza, o se sia perché lo Stato ha visto che c’è stato un passo indietro rispetto a queste sentenze. Ed è strano perché in qualche modo le condanne erano qualcosa che cercavamo di ottenere nella strategia di Just Stop Oil: volevamo provocare una risposta dalla mano pesante dalle autorità così da ottenere supporto popolare. Lo stesso forse sta succedendo con questa nuova legge in Italia (il nuovo decreto sicurezza del governo Meloni, nda): c’è una forza dell’opinione pubblica contro di essa. Penso che nel Regno Unito, soprattutto nella sentenza dei cinque ma anche in quella dei Girasoli, abbiamo visto una grande risposta pubblica di persone che precedentemente non avrebbero mai sostenuto Just Stop Oil.

Non pensi invece che la minore repressione sia dovuta al nuovo governo?

No, non lo penso. Keir Starmer era un avvocato per i diritti umani ed è triste, guardandolo ora come primo ministro, non vedere più quel senso di giustizia sociale che immagino avesse. Credo che sarebbe un interessante caso di studio su come il potere corrompe le persone. Se questo governo volesse diminuire la repressione, ritirerebbe queste leggi liberticide e direbbe pubblicamente che non vuole alimentare una situazione in cui la democrazia è così in pericolo e in cui le persone vengono arrestate durante le manifestazioni, che della democrazia dovrebbero essere l’essenza.

Non penso dunque che abbia a che fare col nuovo governo, ma con un orizzonte politico in cui Just Stop Oil, che è considerata l’ala radicale del movimento per il clima, non ha in programma azioni.

Just Stop Oil, nato dopo Fridays For Future ed Extinction Rebellion, è la terza testa del movimento per il clima. Quale pensi sia il suo ruolo all’interno di esso?

Ho sempre visto Just Stop Oil come l’ala radicale – o terza testa come la definisci tu – del movimento ambientale. Abbiamo anche gruppi moderati nel Regno Unito, come Extinction Rebellion, Greenpeace, Friends of the Earth. Ho sempre pensato che Just Stop Oil non avrebbe fatto mobilitazioni di massa come XR, che non avremmo avuto migliaia e migliaia di persone in strada con noi. Il ruolo di Just Stop Oil era quello di spostare la conversazione pubblica facendo azioni climatiche più radicali, come bloccare la più grande autostrada del Paese per quattro giorni. Questo ha forse normalizzato azioni più moderate. Uno studio di YouGov, uscito dopo la grande azione dell’autostrada, ha mostrato che c’erano sette milioni e mezzo di persone in più che supportavano Friends of the Earth, un gruppo per il clima più moderato.

Per me è sempre stato questo il ruolo dell’ala radicale: spostare più in là la finestra di Overton e quello che è considerato accettabile. La gran parte delle persone non penserà “wow, fantastico, verrò a bloccare l’autostrada e finirò in prigione” ma “mmh, magari mi iscriverò a Greenpeace”, “magari inizierò a scrivere al mio parlamentare”.

Adesso però Just Stop Oil ha annunciato la fine della sua campagna. Credo che un’azione non sia conclusa finché non finisce il suo iter legale e molti attivisti ancora aspettano una sentenza, ma non ci saranno nuove azioni. Penso che questa sia la giusta decisione ma che lasci un po’ scoperta l’ala che in questi anni ha spinto più in là la finestra di Overton.

Questa scelta è dovuta a un insostenibile livello di repressione o al raggiungimento di un obiettivo?

Il clima non si è aggiustato, ovviamente, ma Just Stop Oil era nata come campagna con un singolo obiettivo: bloccare ogni nuova concessione ai combustibili fossili nel Regno Unito, e questo obiettivo è stato raggiunto. Fa parte del programma dei laburisti che con il nuovo governo sono al potere e si tratta sicuramente di un grande cambiamento. È un po’ una vittoria a metà perché i conservatori hanno concesso oltre cento licenze, di cui moltissime prima di andarsene, e i laburisti non le hanno ritirate, ma penso sia incredibile quello che Just Stop Oil è riuscita a fare.

Negli ultimi tre anni ho visto quanto è stato grande lo spostamento nella conversazione pubblica e nel racconto dei media sulla crisi climatica. Siamo ancora lontani da come dovrebbe essere ma ho visto un notevole mutamento nella consapevolezza della situazione. Tre anni fa la concessione di licenze per il fossile era un vago e oscuro processo che non faceva affatto parte del dibattito. Just Stop Oil l’ha portato al centro della discussione.

Pensi che nel Regno Unito e in altri Paesi questi movimenti più moderati e meglio visti dalla società siano all’altezza del loro ruolo?

I gruppi moderati hanno un ruolo molto importante in quella che chiamiamo l’ecologia del cambiamento. La vasta maggioranza delle persone, anche se avesse a cuore il tema della crisi climatica, non sarebbe disposta a fare azioni che potrebbero implicare il carcere. I motivi per cui mi sono messa nella condizione di rischiarlo così tante volte sono tre: perché lo ritengo una parte necessaria della strategia, perché so che posso gestirlo mentalmente e perché non rischio di perdere un posto fisso, una carriera, dei beni.

I segmenti moderati offrono uno spazio a persone che non faranno mai azioni radicali. Visto però quello che stiamo rischiando con la crisi climatica, penso che ognuno debba riflettere su quanto in più potrebbe fare. Penso che se siamo sempre comodi nella nostra resistenza quotidiana probabilmente è perché non ci stiamo spingendo abbastanza in là. Per alcune persone spingersi in là potrebbe anche solo voler dire partecipare a una manifestazione legale a cui non pensavano di andare, per me è rischiare di andare a lungo in prigione. Siamo in un momento in cui dobbiamo tutti pensare se possiamo fare di più. 

Recentemente in Italia Ultima Generazione ha lanciato una campagna legata al cibo. C’è una strategia comune tra le realtà della rete A22?

Non avrei dato la mia vita per Just Stop Oil, lasciando l’Università e andando tre volte in prigione, se avessi pensato che non ci fosse un beneficio strategico. Parzialmente quello che mi spinge è che “è la cosa giusta da fare” ma non penso si guadagni niente dall’essere riottosi, bisogna essere strategicamente riottosi. Sono molto allineata con le scelte della rete A22, a partire da quella della non violenza. Le campagne hanno un periodo di vita, lo stiamo vedendo anche in Italia. Penso sia difficile ma necessario essere in grado di riconoscere quando una di queste ha raggiunto l’obiettivo e che quindi deve finire. Just Stop Oil è stata una campagna, ma c’è un intero movimento per il clima. Uno dei più grandi obiettivi raggiunti, che non arriva sui titoli dei giornali, è la bellissima comunità che siamo riusciti a creare. Le persone che ne hanno fatto parte continueranno la resistenza in altri modi.

Il motivo per cui mi sono unita a Just Stop Oil non ha così tanto a che fare con il clima o le licenze dei combustibili fossili, ma con il fatto che c’è così tanta sofferenza nel mondo e che buona parte di essa viene inflitta senza motivo. Sento di dover fare qualcosa. Non so come si configurerà in futuro ma so che non posso tornare indietro a una vita in cui vedi le ingiustizie e non agisci per contrastarle. 

L’ultima volta che sono venuto a Londra era per seguire The Big One di XR, che si è tenuto mentre il parlamento approvava il piano per deportare persone migranti in Rwanda. Se penso a questo o al Public Order Act che ha sicuramente ispirato il decreto sicurezza, mi sembra che le cose nel Regno Unito arrivino prima e poi influenzino gli altri Paesi, sicuramente l’Italia. Pensi che il movimento per il clima debba battersi su temi più ampi?

Se Just Stop Oil ha spostato la finestra di Overton in un senso, probabilmente le politiche di estrema destra che abbiamo visto negli ultimi anni nel Regno Unito l’hanno mossa nell’altro. L’attuale governo di centro-sinistra ha poca sinistra, tanto centro e probabilmente anche diverse politiche sociali di destra. C’è uno spostamento generale della politica verso destra e penso che il movimento per il clima abbia un ruolo importante da giocare in questo senso.

La crisi climatica deriva da un piccolo gruppo di ricchi individui che prendono decisioni che condannano tutti noi. Allo stesso modo molte altre ingiustizie provengono da élite milionarie che dispongono di uno sproporzionato potere e causano uno sproporzionato livello di sofferenze.

Il movimento per il clima, e l’intera resistenza, è costituito da persone normali che assumono un’agency e contrastano queste élite, che sono spesso legate al settore fossile o a quello delle armi. È una dinamica che vale per la Palestina, per l’ascesa dell’estrema destra, per la violazione dei diritti delle persone migranti. Il tutto è ascrivibile al potere che si trova nelle mani sbagliate, che è lontano dalle persone.

Nel Regno Unito, come in nessun altro Paese europeo, gli attivisti per il clima sono finiti in carcere, dove hanno trovato militanti pro Palestina, persone migranti considerate irregolari in un’intersezionalità che – in questo momento distopico – sembra abbia più possibilità di riunirsi in prigione che nelle piazze. 

Just Stop Oil ha utilizzato metodi discutibili, ma ha raggiunto il suo obiettivo (“la nostra richiesta di interrompere nuove estrazioni di petrolio e gas è oggi una politica del governo”) ed esaurito la sua funzione, ricordando che i movimenti non devono per forza essere eterni.

Prima li hanno ignorati, poi li hanno derisi. E poi, ad alto costo, hanno vinto. E se sei un attivista, non è poco.

Giorgio Brizio

Giorgio Brizio, 23 anni, è un attivista che si occupa di clima e migrazioni. È autore di Non siamo tutti sulla stessa barca (Slow Food Editore, 2021) e curatore di Per molti anni da domani – ventisette attivisti europei scrivono di clima, pace e diritti (Bollati Boringhieri, 2024).

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