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Martina Merletti
Una parabola per pagani

Una Parabola Per Pagani Cover Merletti
letteratura Scienza

Una conversazione sulla scienza, la scrittura e il loro disperato tentativo di dare senso alla vita e al mondo con Lulu Miller, autrice del best seller "I pesci non esistono".

Il 15 agosto del 2021 un amico mi trascinò a una festa a diverse ore di macchina dall’epicentro della mia sofferenza. Non avevo voglia di parlare, mangiavo a fatica ed ero confusa. Odiavo che le persone mi chiedessero chi fossi o di cosa mi occupassi, ma avevo anche poca forza di volontà, così, tra un bicchiere e l’altro mi ritrovai nel giardino di una casa che non conoscevo a raccontare i miei recenti terremoti esistenziali a una sconosciuta. Ero impegnata nel giro di presentazioni del mio primo romanzo mentre la donna che amavo e con cui condividevo la vita da più di sei anni aveva detto di non avermi mai amata. Da fuori sembravo sulla cresta dell’onda, dentro mi stavo perdendo. A dispetto di due lauree scientifiche, la scrittura, che per decenni aveva costituito un gesto privato e antichissimo, era diventata pubblica, impastoiandosi di ansie da prestazione e sindrome dell’impostore. Di lì a poco, grata, meravigliata e confusa, avrei dormito nelle camere d’albergo di mezza Italia per presentare un libro dedicato alla stessa persona che stava portando via le sue cose da una casa che avevamo arredato insieme e nella quale, alla fine di tutto, sarei tornata da sola. 

Sovrastando la musica e senza scomporsi davanti alla mia mancanza di orientamento, la sconosciuta tirò fuori dallo zaino il libro che stava leggendo. A suo dire era esattamente ciò di cui avevo bisogno. Si intitolava I pesci non esistono

A quattro anni distanza quella stessa copia sgualcita se ne sta appoggiata sulla mia scrivania, mentre aspetto che chi lo ha scritto si connetta a un link Zoom a sei ore di fuso orario da me. 

“Hi, do you hear me?”, la voce di Lulu Miller arriva da una stanza illuminata di Chicago, dove si versa il primo caffè della giornata e sorride. Sulla sponda occidentale del lago Michigan sono le dieci; a Trieste, nel salotto dove la sua immagine luccica sullo schermo del mio computer, tra poco calerà il sole.

Lulu Miller ha scoperto che i pesci non esistono dodici anni fa, nell’inverno del 2013. “Vivevo a Chicago con la mia amica Heather e stavo iniziando a fare delle ricerche su uno scienziato di cui avevo sentito parlare anni prima. Era un periodo liminare e mi sentivo molto anonima. In tutta onestà, mi stavo nascondendo”. Le ricerche di cui parla sono quelle che in otto anni hanno dato forma al libro a cui per mesi mi sono aggrappata come a una boa di salvataggio, un best seller statunitense tradotto in Italia da Luca Fusari per add editore, un libro che Lulu Miller non aveva in programma di scrivere. “Ero convinta di star scrivendo un saggio di un paio di pagine, una cosa che avrebbe potuto intitolarsi Un uomo contro il caos”.

L’uomo in questione è David Starr Jordan, uno dei più importanti tassonomisti degli ultimi due secoli. “Ero alla disperata ricerca di senso, ero convinta che mettermi sulle tracce di qualcuno che aveva dedicato tutta la vita a mettere ordine nel mondo che lo circondava potesse aiutarmi a capire cosa mi stava sfuggendo”.

Jordan nasce nel 1851 nello stato di New York e fin da piccolo è ossessionato dal dare un nome alle cose; prima le stelle, poi le strade del paese dove abita, le piante che incontra mentre va a scuola e, infine, i pesci. A ventidue anni inizia a pescare e a descrivere migliaia di nuove specie. Per ciascuna immagina un nome che incide su etichette di stagno che immerge, insieme ai rispettivi esemplari, in vasetti di vetro pieni di alcol etilico. Un mattino di primavera del 1906, però, un terremoto distrugge la sua collezione. “Centinaia di vasi caddero e si sbriciolarono”, scrive Miller. “Gli esemplari di pesce rimasero mutilati da vetri rotti e scaffali crollati. L’odore di alcol etilico impestava l’aria, ma la cosa peggiore accadde ai nomi. Le etichette che con tanto scrupolo aveva attribuito erano sparpagliate a caso per terra. In una tremenda Genesi al contrario, migliaia di pesci catalogati con grande dedizione erano tornati a essere un ammasso di materia sconosciuta”. Si tratta di trent’anni di lavoro, ma Jordan non si scompone. Prende ago e filo e rimette insieme i pezzi dei pesci che riesce a riconoscere, poi acchiappa le etichette di stagno e questa volta le cuce direttamente sul corpo degli animali.

“Dagli anni Ottanta, la scienza che ricostruisce le parentele tra gli esseri viventi ha decretato che i pesci così come li intendiamo noi – buttando insieme orate, squali, dipnoi e salmoni – non esistono”.

Questo è l’uomo che con ostinazione si oppone al caos. Il caos, invece, è quello di cui Lulu Miller si sente in balia. È una sensazione di insicurezza e mancanza di speranza dalla quale non riesce a uscire. Ci è ripiombata alla fine di una relazione importante, ma è una morsa che conosce da molto più tempo. A sette anni, in vacanza con la sua famiglia a Wellfleet, nel Massachusetts, lei e suo padre stanno osservando gli acquitrini dietro casa quando Lulu gli chiede: “Che senso ha la vita?”. “Nessuno”, risponde lui allegro. È un professore universitario di biochimica impaziente di condividere con la figlia quanto minuscola sia la vita degli esseri umani a confronto del cosmo. Possiamo vivere la vita che vogliamo perché nulla è poi così importante, siamo insignificanti e per questo liberi. Lui è raggiante, ma per Miller quella rivelazione ha l’effetto opposto. Il sospetto che si annidava dentro di lei monta fino a divorarle il respiro: che senso ha tutto questo allora? A che pro andare a scuola, avere degli obiettivi?

Nove anni più tardi queste domande hanno ormai fagocitato tutti gli orizzonti. Lulu ha sedici anni  quando, l’8 aprile del 1999, scrive sul suo diario: “Non vedo luccicare niente”. Il giorno successivo va al supermercato e compra dei sonniferi. Si risveglia in ospedale, dove continua a pensare alla morte, questa volta sotto forma di una pistola.

Mettersi sulle tracce di David Starr Jordan, della sua caparbietà, della sua cieca fiducia dell’ordine contro il caos, per Miller è un modo di allontanare il pensiero della pistola. In una città dove non conosce nessuno, è buio e fa freddo, si chiude a casa della sua amica Heather a leggere e rileggere l’autobiografia dell’uomo che ha sfidato il caos, che ha ricucito i pezzi di ciò che era andato in frantumi. Acquista libri e prende appunti, fruga tra le pagine in cerca di soluzioni, appigli e, più di tutto, ordine; qualcosa che le dia una forma. Per capire meglio come funziona questa faccenda della tassonomia, dare un nome alle cose e studiare chi è parente di chi nel grande albero della vita, si procura il libro della biologa Carol Yoon, Naming nature. È lì che scopre che, dagli anni Ottanta, la scienza che ricostruisce le parentele tra gli esseri viventi ha decretato che i pesci così come li intendiamo noi – buttando insieme orate, squali, dipnoi e salmoni – non esistono.

“Ricordo di aver provato dei brividi e di aver pensato che, anche se non lo capivo fino in fondo, c’era qualcosa di fondamentale nel modo in cui l’ordine che cercava Jordan si scontrava con l’affermazione di Yoon: cercare di comprendere e ordinare i pesci aveva portato alla loro stessa scomparsa. Stavo anche iniziando a scorgere delle ombre nella storia personale di Jordan, non ero ancora arrivata a scoprire che aveva sostenuto teorie eugenetiche, ma intuivo che quella che doveva essere una strada luminosa, una rinascita, si stava trasformando in un vortice tenebroso. In quel momento mi sono detta che ogni tanto a noi atei capita una parabola, e quando succede dobbiamo raccontarla. Quando ho capito che non sarebbe più stato un saggio di sole due pagine ho pensato di intitolare il libro I pesci non esistono: una parabola per i pagani.  Sapevo che avrei dovuto lavorare di più per capire a fondo la parte scientifica, ma anche cosa mi interessasse così tanto di tutta questa vicenda. Per quanto possa farci paura, la verità è che non esiste un senso universale, immutabile, valido una volta per tutte; questo cercava di raccontarmi la storia di David Starr Jordan, ma ancora non lo sapevo. Ho passato giorni a disegnare e ridisegnare l’albero della vita cercando di capire cosa significasse che i pesci non esistono, come fosse possibile.”


Sullo schermo del pc una notifica mi informa che Lulu ha appena mandato una mail. Ha come oggetto Sketch, è senza testo e contiene solo un allegato. È un albero filogenetico disegnato da lei, tenuto su da una puntina bianca e macchiato di caffè.

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La aprirò più tardi, quando sarà buio. Sarà come guardare dentro il cuore di qualcosa che per me è stato un talismano, una bussola che mi ha guidato in una città diversa da quella in cui sono nata per provare a capire come la scienza e la narrativa si barcamenino nel tentare di ricostruire il senso in un mondo che per molti sta cadendo a pezzi.

Non penso sia un caso che I pesci non esistono sia diventato un romanzo, e non un saggio di due pagine da intitolare Un uomo contro il caos, quando le cose hanno iniziato a complicarsi. C’era bisogno di più spazio per capire perché i pesci non esistono, indagare le zone d’ombra di Jordan ma soprattutto venire a capo del fatto che non è così semplice, che non si vince contro il caos. Ed è nella letteratura, più che nella saggistica, che c’è modo di fare tutto questo. Si tratta di spazi e tempi che hanno assunto un’entità molto concreta nella vita di Lulu Miller:

“È stato proprio scrivendo, studiando e poi vivendo, lasciando da parte questo libro per quattro anni e riprendendolo dopo aver vissuto, che tutto ha acquisito un senso. Ho passato tanto tempo a pensare a quest’uomo che cercava di evitare il caos ordinando i pesci senza rendermi conto che scartabellando negli archivi, tra i paper scientifici, intervistando persone, stavo facendo la stessa identica cosa che aveva fatto lui. Ho compassione per questo impulso, sia il mio che quello di Jordan, ma non possiamo ridurre tutto al cercare risposte univoche e immutabili”. In un’intervista congiunta con il padre per The Scientist Social Club, Lulu parla di quanto fosse convinta che la scienza fosse l’unico posto dove cercare verità immutabili e di quanto tempo le ci sia voluto per abbandonare questa certezza senza perdere fiducia nel processo scientifico o abbandonarsi alla mancanza di senso. “Alla fine del libro parlo del principio del tarassaco. A seconda di chi lo guarda il tarassaco può essere molte cose diverse: una comune erbaccia o una macchia di colore in un prato, un farmaco per l’erborista, un pigmento per il pittore o un nutrimento per una farfalla. Sono dovuta andare a fondo nella classificazione, nel tentativo di mettere ordine, per capire che non ne esiste uno fisso, che intestardirsi con un’unica gerarchia o chiave di lettura vuol dire farsi sfuggire il quadro generale o, per dirla come la direbbe Darwin, il meccanismo stesso della vita”. 

Oggi Lulu Miller è sposata con Grace, insieme hanno tre figli e il pensiero della pistola è quasi scomparso. Dedica la sua vita a raccontare storie di scienza ed esseri umani, e lo fa principalmente in radio. Ho ascoltato il suo intervento per la Stichting Verhalende Journalistiek – una fondazione che si occupa di giornalismo narrativo in Olanda –, e so che bilanciare il rapporto tra realtà e racconto non è sempre stato facile per lei. Le chiedo in che rapporti stanno nella sua pratica quotidiana il dato naturale – scientifico – e l’esigenza narrativa. “Non penso che la narrativa abbia sempre bisogno della scienza”, mi risponde dopo una pausa. All’inizio della nostra conversazione abbiamo parlato di quanto la ricerca documentale abbia giocato un ruolo fondamentale nella scrittura dei nostri rispettivi libri e in quella pausa sento la paura che entrambe abbiamo di perderci senza un dato a farci da sponda. “Ma credo che spesso abbia le potenzialità per renderla migliore. Gran parte del lavoro di qualsiasi tipo di narrazione è cercare di riformulare il mondo, di mostrarlo, capirlo, indagarlo. Sono tutte attività che la scienza sta facendo in modo rigoroso, per cui penso che inserire trame scientifiche o personaggi scientifici in un racconto costituisca un modo interessante di immergersi in profondità nel mondo. La scienza spesso ha anche una grande forza metaforica. Per una delle mie trasmissioni radio ho intervistato un’astrofisica che stava attraversando un grosso periodo di difficoltà e mi ha raccontato che pensare che il suo lavoro consisteva letteralmente nel cercare la luce in un ammasso di buio l’ha molto aiutata. Il mondo naturale è pieno di queste metafore”.

“Accade qualcosa di meraviglioso quando riusciamo a parlare della scienza come una storia comprensibile anche a chi la scienza non la fa; è un atto che crea dei ponti, che aiuta le persone a capire quanto la scienza sia viva e presente nella loro vita di tutti i giorni”.

Sappiamo entrambe, però, che in questo potere metaforico risiede più di una minaccia. “Penso che raccontare storie possa essere pericoloso, che assomigli troppo a trovare una morale, qualcosa di definitivo e ordinato. E anche questo dovrebbe insegnarci la scienza: la conoscenza è provvisoria, parziale, in costante divenire”. I pesci non esistono in effetti racchiude alcune delle innumerevoli prove di quanto la conoscenza scientifica sia storicamente collocata e ricca di pregiudizi. Un lavoro letterario come questo aiuta a mettere in luce quanto la scienza sia impastata di umanità, senza per questo invalidarla. A volte, però, è difficile non cedere alla tentazione di semplificare, mi fa notare Miller: “So che cercare un finale sorprendente o significativo può distorcere la verità e non credo sia una buona cosa usare le storie per nascondere la complessità. Perciò ho un rapporto molto tumultuoso con la narrativa, la adoro ma sono anche diffidente nei confronti dell’impulso che ho dentro di me di trovare un finale, una parabola che mi soddisfi. Accade qualcosa di meraviglioso quando riusciamo a parlare della scienza come una storia comprensibile anche a chi la scienza non la fa; è un atto che crea dei ponti, che aiuta le persone a capire quanto la scienza sia viva e presente nella loro vita di tutti i giorni, però voglio sempre assicurarmi di non star raccontando storie a spese della verità, scientifica o umana che sia. Non credo che si possa farlo alla perfezione, ma è una delle mie battaglie principali. Le storie sono uno strumento potente, quindi, come ogni strumento o arma, come facciamo a non abusarne?”

A questo proposito chiedo a Lulu Miller che storia  racconterebbe  ai suoi figli se oggi le chiedessero che senso ha la vita. “Gli direi di chiedere alla loro altra mamma”, mi risponde, poi scoppia a ridere, e aggiunge: “In realtà è successa una cosa simile qualche giorno fa: io e Grace stavamo mettendo a dormire i bambini, e il più grande, che ora ha sei anni, mi ha chiesto cosa succede quando si muore. Ora, io credo che quando si muore si ritorni al nulla, solo che non potevo dirglielo e allo stesso tempo non volevo mentire. Dato che a Grace piace credere nel paradiso – non so se ci crede davvero, ma dice che preferisce correre il rischio – le ho rimbalzato la domanda. Lei ha risposto che è una di quelle cose che non sappiamo, perché una volta morto nessuno torna indietro per raccontarlo, perciò le persone si fanno tante idee diverse di cosa succede dopo. Lei, ad esempio, pensa che ci sia il paradiso. Allora nostro figlio ha chiesto com’è questo paradiso e Grace ha detto che è diverso per ognuno, che lei lo immagina popolato di tutte le sue amiche. A quel punto nostro figlio ha detto: ‘Oh, il mio sarebbe pieno di cobra che mi ascoltano’; e il più piccolo ha aggiunto: ‘Il mio sarebbe pieno di Acchiappafantasmi’. Quindi per adesso l’ho scampata, ma quando mi chiederanno qual è il senso della vita potrei dire loro che alla fine è essere gentili con gli altri e imparare a guardare le cose da tante prospettive diverse, perché puoi cambiare la realtà quando lo fai.”

Le sue parole vanno in risonanza con quelle dello scrittore Ocean Vuong quando, intervistato da Oprah Winfrey, parla della gentilezza come la sua personale stella polare: se vivi nel mondo con la consapevolezza che devi tutto ciò che hai a ciò che ti circonda – le persone, l’ambiente – questo cambia tutto.

Sto cercando di chiudere questo pezzo quando una notifica dell’app di astrologia che la mia amica Sara mi ha scaricato illumina lo schermo del cellulare. You are a constellation of everyone you have met, dice il mio oroscopo giornaliero. A differenza di Grace io non mi arrischio a credere nel paradiso, ma continuo a pensare che ci sia qualcosa di trascendentale nelle coincidenze che ogni tanto la vita ci fa rotolare tra i piedi. Penso alla costellazione di persone che mi accompagna da anni, e a quella più recente che sto costruendo a quasi seicento chilometri da casa. Alle parole della mia psicoterapeuta quando dice che ciò che dà maggiormente senso alla mia vita sono le relazioni che costruisco con le altre persone. Al fatto che uno dei nodi della rete che in quest’ultimo anno mi ha aiutata a non scivolare nella mancanza di senso è nato quando ho scorto nella libreria di una persona di sette anni meno di me la costa azzurrina di I pesci non esistono

“Per scrivere questo libro”, conclude Lulu Miller, “ho incontrato delle persone che in nome della scienza sono state torturate in modi inimmaginabili. Alcune di loro, soprattutto donne emarginate, senza nessun potere né qualcuno che potesse venire loro in aiuto, hanno condiviso con me i loro ricordi, le loro sofferenze, i salotti dove giorno per giorno portano avanti le loro vite e trovano un senso. Se sono sopravvissute spesso è grazie a una singola altra persona, alle relazioni che hanno costruito. Rispetto alle stelle, all’universo, l’esistenza di quelle persone è irrilevante, ma per loro racchiude tutto il senso del mondo. Quindi sì, è questo che direi ai miei figli: essere gentili con sé stessi e con gli altri, questo è il senso. Siamo qui solo per poco tempo, quindi conta davvero come trattiamo le persone”.

E sì, quando a noi pagani capita una parabola, è importante provare a raccontarla.

Martina Merletti

Martina Merletti è scienziata naturale, agronoma e scrittrice. Si occupa di comunicazione della scienza, editoria scolastica e collabora con diverse riviste. Il suo romanzo d’esordio è Ciò che nel silenzio non tace (Einaudi, 2021).

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