Articolo
Danilo Zagaria
Anche le orche hanno i loro strumenti quotidiani

Anche Le Orche Hanno I Loro Strumenti Quotidiani Cover Zagaria
biologia etologia mare orche

Le orche sono tra i cetacei più esibiti nei delfinari, eppure ne sappiamo poco. Le abbiamo viste attaccare barche in viaggio o nuotare con salmoni in testa. Ma la profondità e la ricchezza delle loro competenze sono ancora da osservare.

Non smettono di stupire. Due articoli, pubblicati lo scorso giugno, hanno descritto alcuni comportamenti adottati da esemplari di Orcinus orca che hanno sorpreso, ancora una volta, gli etologi che studiano questi e altri cetacei marini. La prima ricerca, uscita su Current Biology, è forse la più sorprendente: riguarda la fabbricazione e l’utilizzo ripetuto di uno strumento per la toelettatura reciproca fra alcuni esemplari di orca nel Mare dei Salish, al largo delle coste occidentali del Canada. La seconda, pubblicata sulla rivista Oceans, è l’analisi di un comportamento che in precedenza era stato osservato soltanto in cattività: il mordicchiamento della lingua fra individui, documentato in un gruppo dei fiordi norvegesi.

Gli esperti di orche e gli etologi marini sanno bene che da questi animali possiamo aspettarci davvero di tutto, dato che nel corso degli anni hanno più volte dimostrato di essere animali dalla spiccata intelligenza e da una vita in comunità matrilineari ed estremamente complesse (dette “pod”), ricchissime dal punto di vista delle interazioni sociali e dei comportamenti di gruppo. L’etologo Carl Safina, che alle orche ha dedicato l’ultima parte del suo libro Al di là delle parole (Adelphi, 2018), ne descrive così la vita in mare:

È il tiranno dei mari. Ed è vivo, oggi. Da qualche parte, là fuori, proprio adesso, nuotano creature che si procurano di che vivere con mascelle impressionanti e file di pugnali spessi come un pollice. Oggi temute perfino dai cetacei più grandi, le orche esercitano un potere senza rivali da quando – sessantacinque milioni di anni fa – i dinosauri esalarono l’ultimo respiro. D’altra parte, il suo lato più sensibile e delicato fa dell’orca un cacciatore con tratti di complessità che T. rex non avrebbe mai potuto neanche sperare di emulare: sono creature intelligenti, materne, longeve, cooperative, molto sociali e consacrate alla famiglia. Come noi, sono mammiferi che producono latte e hanno sangue caldo, con personalità non troppo diverse dalle nostre. Solo… molto più grosse.

Il fatto che vivano in mare ci ha impedito finora di conoscerle a fondo. Alcuni aspetti della loro vita sociale e del modo in cui percepiscono il mondo attraverso l’ecolocalizzazione non ci sono ancora ben chiari. Tuttavia, sappiamo da tempo che vivono in pod estremamente caratterizzati e che sebbene la specie ufficialmente sia una sola, Orcinus orca appunto, ci sono all’incirca otto “tipi” di orche differenti nei mari del mondo. Si distinguono per la dieta e per i dialetti vocali con cui cementano gruppi e famiglie. La differenza più nota è fra le orche cosiddette “transienti” e quelle “residenti”, osservabile nei pod che vivono lungo la costa del Pacifico che va dall’Alaska alla California.

Le transienti sono orche discrete e tendenzialmente silenziose che vivono più al largo e si nutrono di mammiferi marini, mentre le residenti che incrociano sottocosta sono in genere più inclini alla vocalizzazione e cacciano salmoni. A prescindere dal tipo di orca, si tratta di predatori apicali, al vertice di quella che un tempo veniva chiamata “catena alimentare”. Mangiano letteralmente di tutto: foche, trichechi, leoni marini, pinguini, uccelli, squali e altri cetacei. La loro abilità nella caccia di gruppo e la loro capacità di sopraffare qualsiasi specie marina oggi esistente (compresi grandi squali bianchi e perfino balene) ha contribuito a creare il mito dell’orca assassina (in inglese le orche sono anche chiamate killer whale).

Gli studi recentemente pubblicati mostrano, però, che le orche non sono soltanto cacciatrici di straordinaria bravura. La loro vita sociale – caratterizzata da rapporti molto stretti e assai duraturi fra i familiari presenti in un pod – è anche ricca di interazioni complesse fra gli esemplari, che non conosciamo ancora a fondo. Fino ad ora infatti la fabbricazione e l’utilizzo di strumenti sono stati osservati raramente in ambiente marino, mentre sono noti in diverse specie terrestri, dai primati agli elefanti. Nel caso in questione, alcune orche del Mare dei Salish, appartenenti a pod ben noti e studiati da decenni, sono state osservate strappare del kelp (in questo caso un’alga chiamata Nereocystis luetkeana), modellare lo stelo per ottenere uno strumento simile a un bastone flessibile e poi utilizzarlo a coppie, ponendolo fra i due corpi intenti a sfregarsi.

L’operazione è stata chiamata allokelping, ed è stato suggerito dagli studiosi essere la variante di coppia di un comportamento già osservato in precedenza, anche in altri cetacei (capodogli, megattere, beluga), noto come kelping. Si tratta di una procedura per mantenere sana la pelle, che gli animali effettuano strusciandosi contro le alghe e, a volte, drappeggiandosele sul corpo o sul capo. Nel caso dell’allokelping, viene suggerito nell’articolo, le orche non soltanto curano la propria igiene corporea ma al tempo stesso rinsaldano i legami sociali con il resto del pod.

Alcune orche del Mare dei Salish, appartenenti a pod ben noti e studiati da decenni, sono state osservate strappare del kelp, modellare lo stelo per ottenere uno strumento simile a un bastone flessibile e poi utilizzarlo a coppie, ponendolo fra i due corpi intenti a sfregarsi.

Invece, nel caso delle orche norvegesi sorprese a mordicchiarsi la lingua, i motivi sono meno chiari. Il mordicchiamento della lingua fra esemplari diversi era già stato inserito in una lista di comportamenti adottati dalle orche in uno studio seminale redatto nel 1978. Soltanto nel 2019, però, era stato descritto nel dettaglio sulla base di osservazioni su esemplari in cattività. Il video su cui si basa l’articolo pubblicato mostra due esemplari posti uno di fronte all’altro mentre si mordicchiano gentilmente la lingua in diverse sessioni di breve durata. Si tratta di un documento molto importante per lo studio delle interazioni sociali nelle orche, perché conferma che tale comportamento è molto probabilmente diffuso da tempo in questi animali ed è condiviso da orche che vivono in aree diverse (quelle osservate in cattività provenivano da altri luoghi). Sul motivo che spinge questi animali a mordicchiarsi la lingua, gli scienziati sono ancora dubbiosi. È probabile che si tratti di un comportamento che serve a saldare i rapporti fra esemplari, in particolare fra quelli che non sono ancora giunti alla maturità sessuale e gli adulti. 

Questi nuovi studi, pur essendo già sorprendenti, possono essere utili anche per ragionare su altri aspetti. Il primo riguarda la ricerca. L’allokelping è stato osservato grazie all’utilizzo di un drone, capace di seguire i pod di orche meglio di quanto potrebbe mai fare qualsiasi team di scienziati a bordo di un gommone o di una barca. Il video del mordicchiamento, invece, è stato registrato da alcuni snorkelisti amatoriali nel fiordo di Kvænangen. La conoscenza etologica avanza quindi grazie alla tecnologia e alla citizen science, mostrando come una disciplina possa evolvere e ottenere testimonianze di alto valore scientifico utilizzando binari finora poco esplorati. 

Il secondo aspetto riguarda invece il rapporto fra orche ed esseri umani. Le ricerche appena descritte mostrano come questi animali abitino il mondo in modo straordinariamente vario e creativo. Fanno parte di gruppi numerosi all’interno dei quali hanno luogo interazioni fra individui che spesso hanno dell’incredibile. Eppure, oggi nel mondo ci sono ancora 54 orche in cattività. Ben 22 di queste sono state catturate in mare, mentre 32 sono nate in vasca. In totale, almeno 166 sono state trasferite in acquari e delfinari dal 1961 in poi, senza contare quelle che sono state uccise durante le operazioni di caccia e trasferimento. Si tratta in effetti, insieme a tursiopi e beluga, della specie più esibita e trattenuta in cattività fra tutti i cetacei. Ma a quale prezzo?

In un articolo pubblicato nel 2020 sul Journal of Veterinary Behavior, un gruppo di ricercatori ha tentato di definire quali sono gli stress sofferti da un animale simile all’interno della vasca di un delfinario. Il primo è quello dovuto all’isolamento e alla mancanza di attività di gruppo, come la caccia; il secondo è sensoriale, dovuto alla carenza di stimoli offerti da una vasca di cemento di ridotte dimensioni; poi lo stress dovuto allo scarso controllo che hanno sull’ambiente circostante e sulle attività svolte; infine, si annoiano a morte, cosa da non sottovalutare. Tutto questo, suggeriscono gli autori, si traduce in una mortalità elevata, sia per i cuccioli nati in cattività, sia per gli adulti che da anni vivono in vasca. L’ambiente confinato in cui sono costrette non è adatto ad animali caratterizzati da una tale complessità cognitiva, psicologica e comportamentale.

Non è forse un caso che gli unici attacchi fatali contro esseri umani siano avvenuti nell’ambito dei delfinari. L’orca Tilikum, un maschio protagonista del documentario di grande successo Blackfish (che ha contribuito fortemente alla sensibilizzazione presso il grande pubblico del malessere provato da questi animali in condizioni di cattività), uccise tre persone nelle due strutture in cui fu confinata, il Sealand of the Pacific (Canada) e il SeaWorld di Orlando (Stati Uniti). Allo stato brado, invece, le “assassine” dei mari, che divorano l’appetitoso fegato degli squali e cacciano leoni marini fin sulla battigia delle spiagge cilene, non attaccano mai gli esseri umani. Gli incidenti in natura sono rarissimi, accidentali e mal documentati, e non è noto alcun attacco fatale. Il già citato etologo Carl Safina lo definisce un grande interrogativo scientifico:

[Non è] strano che le orche non abbiano mai capovolto un kayak, mai ripulito una barca a remi dal suo carico umano, mai divorato una persona? È forse il più grande mistero comportamentale esistente sul nostro misterioso pianeta.

Da qualche anno, al largo di Gibilterra, un pod di orche attacca alcuni yacht e barche da diporto che incrociano in quelle acque. Non sappiamo ancora bene che cosa le abbia spinte a queste azioni: se si tratti di gioco, di episodi dovuti alle ferite causate dalle numerose barche che affollano quel tratto di mare, oppure allo stress generato dalla competizione con i pescatori umani. Il naturalista Roberto Inchingolo, nel suo libro La vendetta delle orche, chiosa così sugli attacchi avvenuti in quelle acque:

Sono animali longevi e molto socievoli, con una comunicazione tramite versi e fischi a ultrasuoni così complessa da essersi diversificata in veri e propri dialetti locali, usata per salutarsi, stringere rapporti e organizzare le attività di gruppo. Niente esclude che le orche di Gibilterra abbiano coniato un proprio verso corrispondente alla frase “andiamo a sfasciare quella barca”.

Il rapporto fra esseri umani e orche pare essere giunto a un punto di svolta. È come se questi maestosi animali ci avessero lanciato una sfida, una specie di test. Riusciremo a conoscerli meglio, a comprenderne i segreti, rinunciando al contempo alla cattura, all’allevamento in cattività e al loro utilizzo per i nostri fini ricreativi? Alcuni Paesi, come il Canada nel 2019, hanno messo al bando la cattura dei cetacei per qualsiasi fine, con l’intento di proteggere i pod che vivono nelle loro acque. Alcuni celebri parchi, come la catena SeaWorld, hanno annunciato (ormai alcuni anni fa) che intendono mettere fine agli spettacoli di orche. Altri, invece, stanno chiudendo, come il Marineland di Antibes, nel sud della Francia. Incerta è la sorte delle due orche e dei dodici tursiopi rimasti nel parco dallo scorso gennaio, quando il parco ha chiuso i battenti.

Le immagini riprese dai droni dall’associazione TideBreakers mostrano i cetacei in vasche invase dalle alghe e in evidente stato di abbandono. La vicenda ha rianimato la discussione sulla cattività e sulla necessità di bandire riproduzione e allevamento, con l’obiettivo di porre fine, col tempo, alla presenza di questi animali negli acquari. Per quelli nati in cattività o che hanno passato troppo tempo in vasca, infatti, il reinserimento in natura è molto difficile. Lo ha dimostrato il caso dell’orca Keiko, star del film Free Willy, mai davvero andato a buon fine: l’orca rimase per anni vicino alla costa norvegese dove era stata liberata, e non reimparò mai a cacciare da sola, cercando fino alla fine il contatto e l’assistenza degli esseri umani.

Nel frattempo, le orche continuano a stupirci, come quando lo scorso anno alcuni esemplari al largo delle coste statunitensi dello stato di Washington hanno ripreso a esporre sulle loro teste in emersione i corpi di alcuni salmoni morti. Non glielo vedevamo fare dagli anni ‘80. Il motivo? Forse è un segnale per il pod di abbondanza di prede in una zona, ma come in molti altri casi che le riguardano: non ne siamo ancora del tutto certi.

Danilo Zagaria

Danilo Zagaria è biologo, divulgatore scientifico e redattore editoriale. Scrive di libri, scienza e animali su diverse testate, fra cui «La Lettura» del «Corriere della Sera». Il suo sito personale è La Linea Laterale. Nel 2020 ha fondato la rivista letteral-scientifica «Axolotl». Con add editore ha pubblicato In alto mare. Paperelle, ecologia, Antropocene, finalista dell’edizione 2023 del Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica, e Il groviglio verde. Abitare le foreste dal Mesozoico alla fantascienza.

Contenuti Correlati