Pierre Gascar, scrittore francese dimenticato, ha narrato la sparizione di questi organismi antichi e resistenti come il presagio di un futuro apocalittico: quello in cui viviamo.
Nel 1972 lo scrittore francese Pierre Gascar, pseudonimo di Pierre Fournier (1916-1997) pubblica con Gallimard un libro inclassificabile, Le présage. Protagonisti sono i licheni, o meglio la loro progressiva scomparsa in diverse aree del mondo, naturali e urbanizzate, Italia inclusa. Di cosa i licheni sono il presagio? Di un futuro apocalittico, è la risposta dell’autore. Io ne aggiungerò più in là un’altra.
Gascar giunge alla sua conclusione girando il mondo in qualità di accompagnatore delle campagne sanitarie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dall’Africa orientale all’Asia, dalla lebbra in Thailandia al paludismo in Etiopia, dal vaiolo in Malesia alla peste in India. I capitoli di Le présage sono ritmati da questi viaggi. Ma se Voyage chez les vivants (1958) ne offriva un reportage, qui il suo sguardo – attento ai luoghi e ai suoi abitanti non diversamente da un antropologo – cade sulla vegetazione e, in particolare, sui licheni, sentinelle d’allarme dei cambiamenti climatici in corso.
È il caso del primo viaggio nella Dauria, nella Siberia orientale, nelle regioni subartiche dell’Unione sovietica, in Mongolia e in Manciuria, in parte attraversate con la Transiberiana. Un Nord quasi deserto dove anche il tempo, assieme al paesaggio, sembra congelarsi o bagnarsi nell’eternità. Gascar visita le foreste boreali della taiga e le tundre dove i nomadi allevano le renne, ghiotte del lichene Cladonia rangiferina. Tuttavia da alcuni anni i licheni si rarefanno; che sia a rischio la civiltà della renna e, per esteso, la nostra stessa sopravvivenza, visto che i licheni hanno la proprietà di fissare la radioattività presente nell’atmosfera, alta in queste zone a causa dei test nucleari all’aria aperta e dell’attività industriale?
“La scomparsa dei licheni assumeva il carattere fantasmagorico dei segni, dei presagi e faceva sì che, nella notte polare, si diffondesse qualcosa di simile a un’apparizione” e, continua altrove,“i licheni resistono al freddo, alla rarefazione dell’ossigeno (si trovano fino a seimila metri d’altitudine), al caldo estremo e alla mancanza d’acqua (tornano a vivere diversi mesi dopo un essiccamento completo), ma muoiono oggi al centro di Parigi, Londra, New York, Tokyo e persino Venezia, dove tuttavia erbe e alberi, sensibili agli estremi climatici, continuano bene o male a crescere”.
Gascar trae conclusioni simili ovunque vada: a Roma, dove bisogna salire sulla Cupola di San Pietro per trovare dei licheni, come scriveva Camillo Sbarbaro; nel Gujarat, che ha dato i natali a Gandhi, afflitto dall’erosione e dalla siccità; in Tailandia dove ai licheni sono riconosciute proprietà terapeutiche; a Parigi e Manhattan dove sono scomparsi a causa dell’urbanizzazione, dell’industrializzazione e dell’inquinamento. Lo stesso accade nella laguna veneta, dove Gascar rileva la scomparsa degli uccelli a Chioggia, l’inquinamento a Fusina vicino Marghera, la proliferazione di piccioni infestanti e la frequenza dell’acqua alta. Un fenomeno, quest’ultimo, che lo scrittore attribuisce, poeticamente, all’architettura: così tante sono le scale nei canali che, c’era da aspettarselo, prima o poi l’acqua avrebbe ceduto alla tentazione di salire i gradini!
“Di cosa i licheni sono il presagio? Di un futuro apocalittico, è la risposta dell’autore. Io ne aggiungerò più in là un’altra”.
Sul bordo dell’acqua e sulle barene della laguna Gascar osserva patine e muschi che si rivelano essere licheni (xanthoria parietina, xanthoria aureola e candelaria). Li rinviene inoltre sulle pietre dei murazzi, sui tronchi degli alberi nelle isole e persino sulle cornici e sulle superfici dei dipinti e dei murali nelle chiese più umide, o sulle statue corrose dall’umidità e da altri inquinanti atmosferici come gli acidi solforici.
Di ritorno a casa nello Giura – la regione rurale dove si trasferisce all’epoca con la moglie, all’interno delle mura storiche dell’abbazia di Baume-les-Messieurs –, passa il tempo a erborare e raccogliere licheni sulle cortecce degli alberi. Solo qui intuisce di “spacciare per curiosità scientifica quello che non era altro che un ripiegamento su me stesso, voglio dire sulla parte più arcaica del mio essere”. Una confessione che ritroveremo in chiusura.
Le présage costituisce una svolta nella carriera di Gascar e nel suo approccio alla letteratura. Testimone privilegiato della sua epoca per la sua doppia attività letteraria e giornalistica, prende coscienza dei suoi limiti in quanto romanziere. Gli fa difetto l’invenzione per scrivere romanzi ma eccelle nell’arte della descrizione; decide così di lasciar stare il romanzo e di adottare il genere del récit ovvero del resoconto o di una narrazione più libera, con incisi saggistici, a tratti autobiografici. Nello stesso periodo matura l’interesse per l’ecologia, e la tendenza romantica del passato lascia spazio a un approccio più sociale, che gli permette di cogliere le trasformazioni del mondo naturale – regni vegetale e animale in primis – ovunque si trovi.
La ricerca d’esattezza e le preoccupazioni ecologiche convergono nell’interesse per le scienze naturali a partire dalla botanica (la sua collezione di licheni è oggi conservata presso la biblioteca di Besançon). Non si tratta di un’erudizione enciclopedica fine a se stessa ma di un modo di comporre diversamente il mondo, al punto da abbandonare un libro sul suo giardino intitolato De l’abax au zygopétale, carico di descrizioni entomologiche e botaniche, troppo circoscritto e di breve gittata.
Nel corso degli anni Settanta e Ottanta pubblica, tra gli altri, L’homme et l’animal (1974), Les Sources (1975), Le Règne végétal (1981), Pour le dire avec des fleurs (1988), opere per cui viene spesso paragonato a Jean-Marie Gustave Le Clézio o Jean-Loup Trassard, scrittori segnati da una comunione quasi sensuale con la natura. Senza dimenticare che Gascar, conoscendo sin dall’infanzia la vita rurale, non cade nella trappola di credere a una natura idilliaca e edenica. Cresciuto nell’indigenza, non può aderire all’idea di Rousseau secondo cui, in una sorta di redenzione laica, il contatto con la natura – inclusi gli amati licheni – procuri felicità ai poveri.
“Gascar non si accorge che la vita gli gioca un tiro mancino e che il suo destino sarà lo stesso dei suoi licheni: scomparire”.
Di cosa i licheni sono il presagio, ci chiedevamo prima, ed è giunta l’ora di passare alla seconda risposta, più imprevedibile. Le présage esce in Francia in un momento propizio, a ridosso dei primi movimenti antinucleare a Fessenheim e di disobbedienza civile a Larzac mentre, sul crepuscolo dei Trenta gloriosi (1945-75) e con la crisi energetica, il Paese si mobilita per espandere a dismisura il suo parco nucleare. Il 1972 è inoltre un annus mirabilis per la presa di coscienza collettiva della crisi ecologica, se pensiamo alla prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente a Stoccolma e alla pubblicazione del Rapporto sui limiti dello sviluppo (Rapporto Meadows) del Club di Roma.
Eppure, malgrado Le présage risuoni con l’attualità più bruciante di allora, Gascar non si accorge che la vita gli gioca un tiro mancino e che il suo destino sarà lo stesso dei suoi licheni: scomparire. Lentamente e progressivamente. Il periodo più fertile della sua produzione letteraria che inizia con Le présage coincide con la sua marginalizzazione dalla scena culturale francese, fino all’attuale oblio.
Prix Goncourt nel 1953 per Les Bêtes e Le temps des morts, Grand prix de littérature de l’Académie française nel 1969, amico di Roger Caillois (ritratto in Portraits et souvenirs), Gascar finirà per eclissarsi dalla scena culturale. Neanche l’attuale moda per il vivente ne ha mutato le sorti: della cinquantina di opere che ci ha lasciato, solo Le présage è disponibile nella prestigiosa collezione Imaginaire di Gallimard.
È in anticipo sulla generazione che, negli anni Ottanta e Novanta in Francia, prenderà a cuore la questione della protezione di specie animali a rischio d’estinzione. Una generazione che lo ignora, forse a causa dei toni moderati, lontani da quelli militanti, o del gusto per il ragionamento sottile e le sfumature, lontani dai diktat dell’epoca. È in anticipo anche sulla generazione del Nouveau Roman, con cui condivide la volontà di rompere con il passato.

Lichene (Xanthoria parietina) sull’isola di Porquerolles, foto dell’autore
Sconosciuto in Italia, viene dimenticato in Francia. Gli unici a occuparsi di lui in questi anni sono, oltre a Vincent Zonca che gli dedica alcune pagine in Lichens. Pour une résistance minimale (Éditions Le Pommier/Humensis 2021), Pierre Schoentjes (Écrire la nature, imaginer l’écologie. Pour Pierre Gascar, Librairie Droz 2021) e Sara Buekens (Émergence d’une littérature environnementale, Librairie Droz, 2020), entrambi dell’università di Gand. Bisogna insomma spingersi nelle Fiandre, ai margini della francofonia. E questo malgrado Gascar sia “l’unico grande prosatore del secolo che possa vantare l’ecologia, che ancora lo ignora” secondo André Bernold.
Diventare licheni: un destino che ha colpito altri “licheni umani” appassionati di vita vegetale come Camillo Sbarbaro o Maria Cengia Sambo (1888-1939). Diverse le ragioni: a Sambo venne rifiutata la cattedra di Lichenologia da un mondo accademico dominato dagli uomini; Sbarbaro invece, elegge Spoturno a specola privata, praticando pervicacemente l’isolamento pur dialogando con i lichenologi ai quattro angoli del mondo.
“Il più grande raccoglitore di licheni umani”, lo definiva Giorgio Caproni in riferimento ai reietti della città descritti da Sbarbaro, “che condividono con l’artista la medesima attitudine a rasentare l’esistenza, a viverla da una prospettiva marginale” (Lavinia Spalanca). Non sorprende di ritrovare, in Le présage, una decina di pagine intense dedicate a Sbarbaro, un poeta, scrive Gascar, che aspirava a devenir un homme-lichen. Che si riferisse anche a se stesso? Resta il fatto che oggi, in una prospettiva eco-critica, non possiamo fare a meno di questi uomini-licheni.