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Elisa Palazzi
Facciamo pagare le aziende responsabili delle ondate di calore

Facciamo Pagare Le Aziende Responsabili Delle Ondate Di Calore Cover Palazzi

La scienza ha classificato le compagnie più inquinanti responsabili dei picchi di caldo e quantificato l'impatto di ognuna. Questa lista nera sarà uno strumento utile in tribunale per le cause legate al cambiamento climatico.

A settembre 2025,  la rivista Nature ha pubblicato un articolo importante che analizza quanto le ondate di calore, come manifestazione estrema del riscaldamento globale, siano attribuibili alle emissioni di gas serra di origine antropica non in modo generico, ma precisamente all’attività delle aziende produttrici di combustibili fossili e dell’industria del cemento. 

La ricerca scientifica ha ampiamente dimostrato che “riscaldamento globale” significa non soltanto aumento delle temperature medie ma anche della frequenza e intensità delle ondate di calore (spesso concomitanti ad altri eventi estremi come siccità), fenomeno iniziato già negli anni Cinquanta. Inoltre, è stato dimostrato che ogni ulteriore aumento di mezzo grado della temperatura media globale da oggi comporterà un incremento significativo nell’intensità, frequenza e durata delle ondate di calore, così definite sul sito dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale: “Un periodo in cui si accumula un eccesso di calore locale per una sequenza di giorni e notti insolitamente caldi”. Da queste poche parole si capisce subito che la temperatura minima (di notte) è tanto importante quanto la massima poiché, se le notti sono insolitamente calde, le temperature più elevate vengono raggiunte prima durante la giornata e persistono più a lungo. 

La ricerca su Nature, guidata dal Politecnico di Zurigo, mostra che il cambiamento climatico di origine antropica ha reso 213 violente ondate di calore registrate tra il 2000 e il 2023 più probabili e intense rispetto a quanto sarebbero state in un clima preindustriale. Nello studio vengono utilizzati approcci e metodi della “scienza dell’attribuzione” degli eventi meteorologici estremi, un ramo della scienza del clima che stabilisce il ruolo che il riscaldamento causato dall’uomo ha giocato nella probabilità di occorrenza e nell’intensità di specifici eventi estremi. Gli autori hanno trovato che le ondate di calore registrate tra il 2000 e il 2009 sono state in media venti volte più probabili e più calde di 1.4 °C rispetto al periodo preindustriale.

Nel periodo 2010-2019 i numeri sono ancora più alti: circa duecento volte più probabili e più calde di 1.7 °C. Il 25% circa, ossia 55, degli eventi di caldo estremo registrati negli ultimi vent’anni sarebbe stato praticamente impossibile senza il cambiamento climatico di origine antropica – la stima è che la probabilità di occorrenza nel mondo preindustriale sarebbe stata diecimila volte più bassa. 

Ma non è tutto: la ricerca dà sostanza a quel “di origine antropica” sottolineando il contributo reale di ciascuno dei produttori di combustibili fossili e cemento presi in esame, in tutto 180, in termini sia di emissioni dirette sia di quelle rilasciate dall’uso dei combustibili fossili da loro prodotti. Nero su bianco, lo studio stabilisce una responsabilità diretta, un nesso causale inequivocabile, tra i carbon majors (l’insieme delle aziende del fossile e del cemento) e le ondate di calore. Secondo gli autori dell’articolo, i combustibili fossili prodotti da queste compagnie rappresentano il 60% di tutte le emissioni di CO₂ di origine antropica tra il 1850 e il 2023, e quelle emissioni hanno contribuito a circa la metà di quel +1.7 °C nell’intensità delle ondate di calore osservato tra il 2010 e il 2019 rispetto all’era preindustriale.

Le 14 aziende più grandi hanno contribuito, da sole, quanto tutte le altre 166, più piccole, messe insieme. Ma anche l’azienda più piccola ha un peso, una responsabilità, dato che ha reso possibili 16 ondate di calore che, in un clima preindustriale, non ci sarebbero state. In Italia, le emissioni del principale carbon major, Eni, risultano sufficienti ad aver reso possibili 50 ondate negli ultimi vent’anni, tra cui quelle storiche dell’estate del 2003 e del 2019.

La mortalità legata al caldo è stata una delle principali preoccupazioni in Europa negli ultimi due decenni, soprattutto dopo i 70.000 decessi in eccesso registrati nei mesi di giugno, luglio, agosto e settembre 2003.

Questo importante studio di attribuzione costruisce una base scientifica solida nelle controversie legali sul clima (la famosa climate litigation). Comunità e stati che hanno subìto danni o vittime per effetto di ondate di calore hanno ora un supporto scientifico in più da portare nelle aule di tribunale. Ciò ha ancora più rilevanza se si pensa a quanto i fenomeni estremi peggiorino le condizioni di salute delle persone, in particolare degli anziani o di chi presenta vulnerabilità pregresse. 

La mortalità legata al caldo è stata una delle principali preoccupazioni in Europa negli ultimi due decenni, soprattutto dopo i 70.000 decessi in eccesso registrati nei mesi di giugno, luglio, agosto e settembre 2003. Anche l’estate del 2022 è stata una caldissima in Europa, con più di 60.000 decessi. Uno dei primi casi, se non il primo, di climate litigation in cui si sostiene che una morte sia avvenuta direttamente per un’ondata di calore è quello di una donna canadese deceduta alla fine di giugno 2021 durante un’ondata senza precedenti che colpì la regione del Pacifico nord-occidentale del Canada e degli Stati Uniti.

A distanza di quattro anni la figlia della vittima ha fatto causa a diverse grandi compagnie petrolifere, sostenendo che le loro emissioni hanno amplificato l’ondata di calore che ha causato la morte della madre. Uno studio di attribuzione del 2022 ha analizzato quella straordinaria ondata di calore evidenziando che quel genere di evento sarebbe stato almeno 150 volte meno probabile senza il cambiamento climatico di origine antropica. 

Poi, una ricerca uscita nel luglio 2025 ha reso il nesso tra ondate di calore e mortalità ancora più evidente. Anche in questo caso si tratta di uno studio di attribuzione – “attribuzione rapida” per essere precisi – così definita perché ha analizzato i dati sull’ondata di calore che ha investito l’Europa nei dieci giorni immediatamente precedenti l’uscita dello studio, tra il 23 giugno e il 2 luglio. Forse ricorderete, si tratta dell’ondata di calore che ha portato a limitazioni delle ore di lavoro all’aperto in Italia, alla chiusura di oltre 1300 scuole in Francia, alla chiusura di un reattore nucleare in Svizzera e che ha contribuito alla propagazione di incendi in Grecia, Spagna e Turchia.

Lo studio, di cui è stato anche pubblicato un aggiornamento a fine estate a completamento dei risultati preliminari di luglio, afferma che l’ondata di calore europea di fine giugno (in cui si sono registrati aumenti di temperatura fino a 4 °C in varie città prese in esame) ha quasi triplicato il numero di decessi legati al caldo estremo. L’analisi è stata effettuata su 854 città europee: il cambiamento climatico dovuto alla combustione dei combustibili fossili è stato responsabile di 317 decessi in eccesso dovuti al caldo  ecce a Milano, 286 a Barcellona, 235 a Parigi, 171 a Londra, 164 a Roma, 108 a Madrid, 96 ad Atene, 47 a Budapest, 31 a Zagabria, 21 a Francoforte, 21 a Lisbona e 6 a Sassari. Gli over 65 hanno rappresentato l’88% dei decessi, a conferma del fatto che coloro che tendono a una salute più cagionevole sono più a rischio di morte prematura durante le ondate di calore. Lo studio ha riguardato città che rappresentano circa il 30% della popolazione europea, il che significa che il bilancio reale delle vittime da caldo è molto più alto. 

Per proteggere davvero le persone, sono necessarie strategie a lungo termine che lavorino alla riduzione dell’effetto “isola di calore urbano” che amplifica ancora di più le temperature registrate durante le ondate di caldo, come l’espansione degli spazi verdi.

In Europa qualche passo è stato fatto nello sviluppo di piani d’azione mirati a mitigare il caldo, da intraprendere prima e durante le ondate di calore. Tuttavia, per proteggere davvero le persone, sono necessarie strategie a lungo termine che lavorino alla riduzione dell’effetto “isola di calore urbano” che amplifica ancora di più le temperature registrate durante le ondate di caldo, come l’espansione degli spazi verdi, oltre a misure a breve termine come l’istituzione di sistemi di supporto per le popolazioni vulnerabili.

Nelle aree urbane, dove le superfici vegetate vengono progressivamente sostituite da suoli cementati e impermeabili, i parchi da quartieri edificati e strade, e dove si sommano anche le costanti emissioni di calore generate dai gas di scarico dei veicoli, dagli impianti di riscaldamento e climatizzazione, e da altre attività antropiche, le temperature possono essere significativamente più alte che nelle adiacenti aree rurali. A Milano, ad esempio, l’intensità dell’isola di calore urbana, negli ultimi 15 anni è stata in media di circa +3.5 °C, ma è arrivata a superare i 4.5°C in annate particolarmente calde, come il 2021 e il 2022. 

Ovviamente sono necessarie, ancora più a monte, azioni di mitigazione delle emissioni di gas serra dei carbon majors. Finché il mondo non smetterà di bruciare il petrolio, il gas e il carbone e non raggiungerà emissioni nette pari a zero grazie a una transizione energetica equa, le temperature continueranno a salire e i futuri bilanci delle vittime saranno sempre più sanguinosi.

Elisa Palazzi

Elisa Palazzi è professoressa associata all’Università di Torino dove insegna Fisica del Clima. Studia il clima e i suoi cambiamenti nelle regioni di montagna, sentinelle del cambiamento climatico. È autrice, insieme a Federico Taddia, del libro Perchè la Terra ha la febbre?, Editoriale Scienza (2019) e del podcast “Bello Mondo” da cui è nato il libro Bello Mondo. Clima, attivismo e futuri possibili: un libro per capire quello che gli altri non vogliono capire (Mondadori, 2023). Con Sara Moraca ha scritto Siamo tutti Greta. Le voci inascoltate del cambiamento climatico (Ed. Dedalo 2022). Dal 2022, con l’associazione CentroScienza di Torino, cura il festival “Un grado e mezzo”.