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Elisa Palazzi
I ghiacciai sono una specie in via d’estinzione

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clima natura Scienza

Entro il 2100 più della metà della massa glaciale alpina potrebbe scomparire. I funerali per la criosfera si moltiplicano in tanti angoli del mondo, con conseguenze gravi per il clima.

Il 18 agosto 2019, sulle pendici del vulcano Islandese Ok, è stata affissa una targa per commemorare la scomparsa di Okjökull, morto all’età di circa 700 anni. Okjökull era un ghiacciaio, ma nel 2019 ne era rimasta solo una piccola chiazza, il 7% dell’estensione che aveva cento anni prima. La targa reca inciso un breve testo, una “Lettera al futuro” a firma dello scrittore islandese Andri Snaer Magnason e rivolta a chi verrà dopo di noi: 

Ok è il primo ghiacciaio islandese a perdere il suo status di ghiacciaio. Nei prossimi duecento anni, si prevede che tutti i nostri ghiacciai seguiranno lo stesso destino. Questo monumento è stato realizzato per riconoscere che sappiamo cosa sta accadendo e cosa deve essere fatto. 

Solo voi sapete se ci siamo riusciti.

Agosto 2019, 415 ppm CO2

Quello per Okjökull fu il primo di una lunga serie di funerali per i ghiacciai celebrati nello stesso anno: il 22 settembre fu la volta del ghiacciaio Pizol in Svizzera, tra il 26 e il 28 settembre quella del Monviso, del Montasio, del ghiacciaio del Lys, e poi dello Stelvio e della Marmolada. Non si trattava, né si tratta, di ghiacciai delle Alpi già del tutto scomparsi, ma molto sofferenti, e quelle celebrazioni hanno voluto rappresentare un monito, un segnale prima che sia troppo tardi, un fermarsi per riflettere su quanto sta accadendo e su cosa è in nostro potere fare prima che sia troppo tardi.

Anche il 2025 è un anno in cui fermarci a riflettere per agire. È stato proclamato Anno Internazionale per la Conservazione dei Ghiacciai dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, su proposta della Repubblica del Tagikistan e con il sostegno di numerosi altri Paesi. Si sente l’esigenza di riconoscere il ruolo fondamentale che i ghiacciai svolgono per il clima, gli ecosistemi e la vita, e di agire per contrastare le cause che stanno portando al degrado di tutta la criosfera. La criosfera è l’insieme delle zone del pianeta in cui l’acqua è presente allo stato solido e non include solo i ghiacciai ma anche la neve stagionale, le calotte glaciali e il permafrost. Non a caso, questo anno internazionale apre il decennio 2025-2034 che è stato designato Decennio di Azione per le Scienze della Criosfera, con l’obiettivo di promuovere la cooperazione internazionale nella ricerca scientifica e nel monitoraggio degli ambienti montani e polari. Climatologi e glaciologi stanno potenziando i programmi di misurazione, raccolta dati e ricerca, avvalendosi di strumenti fondamentali come il World Glacier Monitoring Service e il programma Copernicus che fornisce, tra le altre cose, un’analisi dettagliata degli indicatori che definiscono lo stato di salute dei ghiacciai di tutto il pianeta, come l’estensione della loro superficie e del volume, lo spessore, il bilancio di massa (ovvero la massa al netto di accumulo e perdita di ghiaccio nel corso di un anno), solo per citare alcuni esempi. 

Ma un ghiacciaio, esattamente, cos’è? I ghiacciai si formano nelle aree in cui la neve si accumula durante la stagione fredda e umida e non fonde completamente nel corso della stagione calda e secca. Con il passare degli anni – dalle decine alle centinaia, secondo la zona geografica –, la neve va incontro a un graduale aumento di densità – diventa più compatta (cioè con meno aria all’interno) – trasformandosi prima in “firn” (o nevato) e poi in vero e proprio ghiaccio di ghiacciaio: un processo di trasformazione chiamato “metamorfismo della neve”. In montagna, questo processo avviene nella cosiddetta “zona di accumulo” del ghiacciaio, dove a fine estate resta parte della neve caduta nel corso dell’inverno precedente. È da qui che il ghiaccio comincia lentamente a scorrere verso la “zona di ablazione”, dove la neve invernale sparisce a causa del caldo estivo. Un ghiacciaio sano si riconosce da questo suo essere in continuo movimento, da questo suo scorrere, come un lento fiume di ghiaccio, dalla zona di accumulo verso quella di ablazione, spinto dal proprio peso. Il passaggio tra queste due zone è segnato da una linea immaginaria chiamata “linea di equilibrio del ghiacciaio”, in corrispondenza della quale la quantità di ghiaccio che si accumula è pari a quella che fonde, dando luogo a un bilancio tra guadagno e perdita pari a zero. 

“Da oggi al 2100 potrebbe scomparire, rispettivamente, il 69%, l’81% o il 92% dei ghiacciai alpini oggi presenti”.

L’altitudine della linea di equilibrio dipende strettamente da parametri climatici, in particolar modo dalle temperature estive e dalle precipitazioni invernali. Se nevica molto nel corso dell’inverno e le temperature estive sono miti, la zona di accumulo si espande ad altitudini inferiori e la linea di equilibrio si trova a quote relativamente basse. Se, al contrario, nevica meno nel corso dell’inverno e le estati sono più calde, la linea di equilibrio migra verso altitudini più elevate, riducendo l’area in cui il ghiaccio vecchio può essere rimpiazzato da ghiaccio giovane. In questo caso, il ghiacciaio si riduce. In tal senso, la posizione della linea di equilibrio è un indicatore di come sta un ghiacciaio. Uno studio del 2020 ha predetto l’evoluzione della linea di equilibrio dei ghiacciai delle Alpi fino al 2100, in diversi scenari futuri di emissione di gas serra antropici. Nel più ottimistico degli scenari ci si aspetta che la linea di equilibrio salirà di circa 100 metri, nello scenario intermedio di 300 e in quello a più alte emissioni di 700, rispetto ai valori odierni. Questi dati significano che da oggi al 2100 potrebbe scomparire, rispettivamente, il 69%, l’81% o il 92% dei ghiacciai alpini oggi presenti.

Tuttavia, non è solo il futuro dei ghiacciai a preoccupare. È stata scattata una fotografia della situazione delle Alpi tra fine agosto e metà settembre 2024, quando si è svolta la quinta edizione della Carovana dei ghiacciai. Si tratta di una campagna internazionale di Legambiente in collaborazione con CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) Italia e il Comitato Glaciologico Italiano, un viaggio attraverso la montagna di alta quota per misurare e raccontare lo stato dei ghiacciai delle Alpi tra Francia, Valle D’Aosta, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia-Slovenia e Veneto. L’ultima tappa della Carovana 2024 si è svolta sulla Marmolada, il più grande ghiacciaio delle Dolomiti, che dalla fine dell’Ottocento è arretrato di 1200 metri, ha perso più dell’80% della sua area e più del 94% del suo volume. Per comprendere meglio l’entità di questi numeri, basti pensare che solo negli ultimi cinque anni la Marmolada ha perso una superficie pari a circa cento campi da calcio. Si stima che a questo ritmo il ghiacciaio non esisterà più entro il 2040, lasciando al suo posto una roccia levigata e nuovi ecosistemi che prenderanno vita col tempo. Un ghiacciaio muore prima di scomparire del tutto. Muore quando si rimpicciolisce abbastanza da non avere più peso per scorrere. Okjökull, il ghiacciaio Islandese di cui si è celebrato il funerale nel 2019, era stato ufficialmente dichiarato morto già nel 2014, quando si era talmente assottigliato da essere ormai immobile.

Le zone ghiacciate e innevate del pianeta svolgono un ruolo fondamentale per la regolazione del clima. Anche  per questo dovremmo fermarci un attimo a immaginare come sarebbe un mondo senza ghiacciai. Grazie al loro colore bianco, il ghiaccio e la neve riflettono la luce del sole, in questo modo il suolo non la assorbe e non si scalda eccessivamente. La criosfera agisce come un termostato per il nostro pianeta. Oltre a questo, i ghiacciai sono una riserva strategica di acqua dolce: per questo sono spesso chiamati “torri d’acqua” per le regioni di pianura. Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, circa il 70% dell’acqua dolce sulla Terra esiste sotto forma di neve o ghiaccio, mentre dai ghiacciai dipendono l’approvvigionamento di acqua potabile per due miliardi di persone e i due terzi dell’agricoltura irrigua mondiale. I ghiacciai sono anche memoria del clima del passato.  Le carote di ghiaccio estratte dalle calotte glaciali permettono di ricostruire il clima fino a centinaia di migliaia di anni fa. Nell’ambito del progetto Beyond EPICA-oldest Ice, in Antartide, è stato raggiunto il ghiaccio più antico mai estratto finora: risale a 1,5 milioni di anni fa e aprirà una finestra per comprendere meccanismi del clima profondo, come la transizione del Pleistocene medio (tra 1,2 milioni e 700.000 anni fa) in cui i cicli glaciali-interglaciali sono passati da una ciclicità di 40.000 a una di 100.000 anni. 

“Solo negli ultimi cinque anni la Marmolada ha perso una superficie pari a circa cento campi da calcio. Si stima che a questo ritmo il ghiacciaio non esisterà più entro il 2040”.

La trasformazione cui sta andando incontro la criosfera incide profondamente sul clima della Terra e sul ciclo dell’acqua. La diminuzione delle aree glacializzate, conseguenza dell’aumento della temperatura, comporta un abbassamento dell’albedo – la capacità di una superficie di riflettere la luce del sole – il che dà luogo a un circolo vizioso che amplifica il riscaldamento iniziale. La modifica del ciclo dell’acqua comporta la variazione nella disponibilità e nella stagionalità della fusione di neve e ghiaccio, altera la ricarica delle falde acquifere, modifica il livello medio del mare. In molte regioni aride o semiaride, la riduzione delle risorse idriche può intensificare conflitti e migrazioni. Inoltre, la fusione dei ghiacciai e lo scongelamento del permafrost in alta quota aggravano pericoli esistenti, modificando la frequenza, la posizione e la pericolosità di eventi come frane, alluvioni e crolli di rocce o di seracchi.

Mai come in questo periodo storico i dati raccolti, i risultati degli studi, i modelli di previsione della dinamica dei ghiacciai ci permettono di produrre delle stime sul futuro dei ghiacciai e della criosfera, e stanno lanciando un forte richiamo all’azione.

foto in copertina di Elena Sbordoni

Elisa Palazzi

Elisa Palazzi è professoressa associata all’Università di Torino dove insegna Fisica del Clima. Studia il clima e i suoi cambiamenti nelle regioni di montagna, sentinelle del cambiamento climatico. È autrice, insieme a Federico Taddia, del libro Perchè la Terra ha la febbre?, Editoriale Scienza (2019) e del podcast “Bello Mondo” da cui è nato il libro Bello Mondo. Clima, attivismo e futuri possibili: un libro per capire quello che gli altri non vogliono capire (Mondadori, 2023). Con Sara Moraca ha scritto Siamo tutti Greta. Le voci inascoltate del cambiamento climatico (Ed. Dedalo 2022). Dal 2022, con l’associazione CentroScienza di Torino, cura il festival “Un grado e mezzo”.

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