Articolo
Riccardo Venturi
La meraviglia di quel che cresce nonostante tutto

La Meraviglia Di Quel Che Cresce Nonostante Tutto Cover Venturi
arte botanica

La railway ecology studia come i viventi resistono negli spazi ferroviari. Ernesto Schick ne è stato un pioniere inconsapevole, con un erbario che è una testimonianza poetica della rivincita della natura sull'uomo.

Assistente ai cantieri autostradali e fitospedizioniere, cioè addetto al trasporto delle piante vive, Ernesto Schick (1925-1991) non crede ai suoi occhi. Alla stazione internazionale dei treni di Chiasso segue i tentativi delle Ferrovie Federali Svizzere di sradicare le erbacce che crescono sui binari. Nel 1976 impiegano oltre 300 kg di diserbanti chimici diluiti in 60.000 litri d’acqua, cosparsi in oltre 66 giornate di lavoro da una apposita squadra. Tuttavia, malgrado i tentativi di espungere ogni dimensione vegetale, alcune piante pioniere – o, come le chiama Schick, le piante pilota – spuntano fuori lungo l’infrastruttura ferroviaria.

La stazione di smistamento di Chiasso è il risultato di dieci anni (1957-1967) di lavori intensi di cementificazione che hanno trasformato una conca paludosa e argillosa in uno snodo economico in cui transitano merci  da ogni angolo d’Europa. “Vidi trasformare quella vasta zona in una grigia landa lunare, priva d’ogni forma di vita vegetale o animale, saccheggiata dalle ruspe, dalle scavatrici, dagli apripista e dalle trivelle, prosciugata dalle pompe, cementata dalle betoniere, scossa dai vibratori, assordata dalle seghe circolari”. Sembrava che questo suolo, bonificato, prosciugato, contaminato da metalli pesanti, senza humus, fosse troppo ostile per qualsiasi forma di vita. Quando ecco che, sulla massicciata, sul colaticcio, sul sedime ferroviario, sui cordoli dei marciapiedi, sulle traversine, sui terreni sassosi, su fossi, scarpate e terrapieni, fa capolino il vegetale. Come ginestre che, stanche di crescere sui deserti e sui “campi cosparsi / Di ceneri infeconde, e ricoperti / Dell’impietrata lava” (Leopardi, La ginestra), eleggono a nuovo domicilio le stazioni ferroviarie. 

Davanti a tale inverdimento Schick non vede il fallimento della politica ma la proliferazione del vivente – un tema che non suscitava allora alcun interesse. Schick comincia a osservare metodicamente le piante della stazione, a raccoglierle, a disegnarle, a classificarle. Si affeziona a quelle che, come la buddleja, crescono “soprattutto nelle zone abbandonate, cave di sabbia e pietre, su depositi di inerti e detriti di demolizioni, su scarpate denudate da allargamenti stradali. Insomma, dappertutto dove l’uomo ha devastato il regno vegetale”, al fine di “cicatrizzare le ferite inferte al paesaggio”. 

Chissà se Schick intuisce che tale attività lo occuperà per una decina d’anni fino al 1980, quando pubblica Flora ferroviaria. Ovvero la rivincita della natura sull’uomo. Osservazioni botaniche sull’area della stazione internazionale di Chiasso 1969-1978 (Credito Svizzero di Chiasso). Aggiornato e arricchito nel 2010 dalle edizioni Florette (Simonetta Candolfi e Nicoletta De Carli), è giunto alla quinta ristampa con Humboldt Books, uscita pochi mesi fa in occasione del centenario dalla nascita di Schick. Curato nei minimi dettagli, grazie alla veste grafica dello Studio CCRZ di Balerna, il volume ha il formato di un carnet tascabile, la copertina grigio opaco, un’impaginazione movimentata che alterna testi e immagini, un inserto di fotografie in carta lucida.

“Ma come crescono queste piante clandestine e parassitarie, piante non volute e non amate, che nessuno ha piantato e nessuno innaffia? Dal passaggio e dalla sosta di treni merci carichi di cereali e semenze; dalle operazioni di smistamento che inavvertitamente disperdono sul suolo semi spesso provenienti da altri continenti; dallo scossone di un treno merci di passaggio che lancia in aria nutrimenti”.

Un libro polifonico dove si combinano diversi registri: quello scientifico, con la nomenclatura botanica e un indice delle piante realizzati da Nicola Schoenenberger; quello poetico, con Collage delle piante pilota (raccolta in Folla sommersa, 2004) di Fabio Pusterla, cresciuto a Chiasso proprio nel corso dei lavori della nuova stazione; quello biografico, grazie alla penna vivace di Graziano Papa; quello topografico, con una mappa pieghevole della stazione di Chiasso; quello visivo con la riproduzione dei disegni e delle tavole di Schick.

In questa stazione sono state censite 763 piante, cioè un quarto della flora svizzera, alcune, precisa Schoenenberger, considerate estinte nella Svizzera italiana o mai segnalate in Ticino. Ma come crescono queste piante clandestine e parassitarie, piante non volute e non amate, che nessuno ha piantato e nessuno innaffia? Da dove vengono questi modelli di resilienza vegetale che sconvolgono l’uso figurato del verbo vegetare? Dal passaggio e dalla sosta di treni merci carichi di cereali e semenze; dalle operazioni di smistamento che inavvertitamente disperdono sul suolo semi spesso provenienti da altri continenti; dallo scossone di un treno merci di passaggio che lancia in aria nutrimenti. La rete ferroviaria è un corridoio biologico dove proliferano piante non autoctone e termofile (amanti del caldo).

È raro che un libro – la sua lettura ma anche il semplice fatto di averlo con sé, di sfogliarlo e aprirlo a caso – produca gioia. È il caso di Flora ferroviaria. Lo capisco interessandomi alla Railway ecology, un campo di studi poco noto, emerso intorno alla metà degli anni Novanta, vicino alla geografia botanica, attento alla vita selvatica che cresce spontanea lungo i binari ferroviari. La ferrovia diventa un habitat che facilita lo sviluppo e il mantenimento della biodiversità e della wildlife. Qual è l’impatto delle infrastrutture lineari sul biotopo e come mitigare gli effetti negativi causati dalla proliferazione di piante invasive? Come evitare le collisioni dei treni in corsa con orsi, elefanti e altri mammiferi?

In un volume del 2017 – tra i primissimi a fare il punto sulla railway ecology – vengono avanzate diverse risposte. Un approccio pragmatico per affrontare l’impatto delle ferrovie su fauna e flora selvatiche, per mantenere la biodiversità e monitorare l’impatto delle nostre attività. Un tentativo di studiare le specie clandestine del sistema ferroviario, finora neglette rispetto a quelle del mondo marittimo come il plancton nelle acque di zavorra delle navi, o a quelle del mondo terrestre come i semi sulle ruote delle automobili.

Interna Venturi

da “Flora ferroviaria” di Ernesto Schick, per gentile concessione di Humboldt Books

Lungi dall’essere un caso isolato, quello di Schick risuona con una serie di tentativi simili, localizzati ai margini dell’Europa, dalla Slovacchia alla Finlandia. Ad esempio, tra il 1960 e il 1963, Åke Niemi, botanico dell’università di Helsinki, elegge a suo terrain il tratto ferroviario tra Esbo e Ingå, a sud-ovest di Helsinki, prima che comincino i lavori di ristrutturazione. La ferrovia è il rifugio di molti vegetali, come quelli delle praterie scandinave in via di scomparsa, e di piante selvatiche, più fertili laddove le rotaie s’inoltrano nella foresta.

La ferrovia costituisce un ambiente a sé, con un tipo specifico di vegetazione difficile da definire, né naturale né artificiale, a volte legato alle vicende umane. Per restare alla Finlandia, è il caso della penisola di Porkkala, le cui stazioni si riempiono di piante vascolari non-native provenienti dall’Est durante la guerra d’inverno (1939-40), quando la zona è occupata dall’Unione Sovietica. Nel 1944, in linea con l’aria dei tempi, il botanico finlandese Panu Mannerkorpi le chiama piante “polemocore” (da polemos, guerra e chore, dispersione).

L’articolo di Niemi è seguito da lunghe liste quantitative e catalogazioni. A scorrerle l’impressione è che si tratti di un tentativo ossessivo, dove il perseguimento del più alto grado di scientificità sfiora il nonsense. Lo sguardo lenticolare riverso a terra è applicato a un tratto esiguo di ferrovia. Restituire un archivio esaustivo delle specie vagabonde e clandestine è un compito interminabile, da reiterare regolarmente, perché questi paesaggi – invasivi quanto mutevoli – cambiano alla velocità di un treno in corsa. E nel mondo ci sono circa un milione di chilometri di rete ferroviaria!

Perché, allora, Flora ferroviaria suscita tanto entusiasmo in una nuova generazione di lettori? Perché lo sguardo di Schick è poetico. Se i gesti, l’analisi, le operazioni sono gli stessi della Railway ecology, Schick dialoga con la tradizione degli erbari e delle scienze naturali, segnata da figure di appassionati più che di specialisti. Con una formazione in agraria, Schick non è un botanico o un agronomo di professione; la catalogazione è per lui uno strumento espressivo anziché classificatorio, quasi ludico a giudicare dalla mano felice dei duemila disegni che ci restano. Che con Schick le piante clandestine trovino, come suggerisce Marco Belpoliti nel recente Nord Nord (Einaudi, 2025), il proprio Linneo?

Flora ferroviaria si può leggere come un’introduzione alle piante cosiddette emerobiche, che crescono ovvero in ambienti antropizzati, disturbati e mutevoli, secondo l’indice di emerobia stabilito nel 1990 da Ingo Kowarik, che segna il grado di adattamento al disturbo antropico di un ecosistema, da 1 (per le piante in alta montagna) a 9 (per quelle nelle ferrovie, nelle discariche, tra le macerie, ai bordi delle autostrade).

“Che con Schick le piante clandestine trovino il proprio Linneo?”

Ma alcuni atlanti della flora elvetica erano già disponibili nel 1970 in francese (Thommen) e nel 1973 in tedesco (Binz-Becherer), consultati da Schick nel corso delle sue scorribande ferroviarie, armato giusto di un coltello dalle venti lame; non si trattava certo di realizzarne un’appendice ferroviaria.

Quello di Schick è un paziente esercizio dello sguardo che oggi risuona con le arti visive, come i suoi disegni esposti in Hämatli & Patriæ al Museion di Bolzano (2017-2018); il murale Bardana Ferroviaria (2023) realizzato da Mona Caron sulla parete di un palazzo di Chiasso; i percorsi poetico-filosofici a Chiasso in compagnia di poeti (Pusterla e Alberto Nessi), filosofi (Mosé Cometta), la fitoterapista e botanica Antonella Borsari in occasione del centenario dalla nascita di Schick.

Flora ferroviaria è anche un diario di viaggio, ma di un viaggio che non conosce il brivido della lontananza e di paesaggi esotici, ma il fascino discreto del quotidiano – discreto ma inesauribile.

Che sia l’autobiografia mascherata di un personaggio schivo? Che Schick parli di flora per non parlare di sé, celando la sua persona dietro all’esattezza del metodo? È l’ipotesi dello scrittore Giorgio Vasta: “Flora ferroviaria è da un lato l’autobiografia indiretta, per via floreale, dello stesso Schick, un esempio concreto di cosa sia possibile fare della propria solitudine, e dall’altro un piccolo manuale dell’ostinazione, un trattatello in forma di erbario sulla bellezza della caparbietà”. Quel che è certo, come ha colto l’amico-poeta Alberto Nessi, è che Schick provava uno stupore infantile di fronte ai fiori che nascevano spaccando suoli cementati.Che le infiorescenze mostrino, in finale, il paesaggio colorato dell’infanzia? Forse, a patto che affrontino il mondo adulto della stazione, come suggerisce un altro poeta, Pusterla, che coglie il segreto di Flora ferroviaria: “Fiore e binario, natura e cemento, questa volta non nella tradizionale opposizione tra passato e futuro, tra mondo agreste e mondo urbanizzato, ma nella convivenza atroce che rappresenta la nostra condizione umana e il nostro disorientamento”.

Riccardo Venturi

Riccardo Venturi insegna Teoria e storia dell’arte contemporanea all’università Panthéon-Sorbonne di Parigi e si occupa del rapporto tra arti visive e scienze umane dell’ambiente.

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