Oltre il Circolo Polare Artico il cambiamento climatico è rapido e il ghiaccio fonde in fretta. Questo potrebbe aprire la strada alle rotte nautiche e far aumentare ancora di più le emissioni in un'area fragile. E le norme ambientali esistenti hanno ancora lacune.
Ci sono diversi motivi per voler navigare il mar glaciale Artico – geopolitici, commerciali, scientifici. Si compivano queste imprese già nei primi decenni del Novecento, ma oggi è più semplice. La finestra temporale di navigazione si è ampliata in modo significativo, con alcune rotte percorribili per quattro-otto mesi all’anno o anche più, ed entro il 2030, secondo le proiezioni climatiche, potrebbe diventare possibile attraversare rotte artiche senza scorte rompighiaccio nei mesi estivi, a causa della drastica riduzione del ghiaccio marino – l’acqua oceanica congelata – che è già in atto.
Tra il 1979 e il 2025, l’area dell’oceano Artico ricoperta da ghiaccio marino è diminuita di 31.000 km² all’anno in inverno (misurata a marzo) e di 71.000 km² all’anno in estate (misurata a settembre). La copertura di ghiaccio marino estivo in ognuno degli ultimi diciannove anni è stata inferiore a quella di qualsiasi anno precedente dall’inizio delle misurazioni satellitari nel 1979. L’inverno 2024/25 è stato il primo anno mai registrato in cui l’area del ghiaccio marino è rimasta sotto i 13.000 km2.
Il ghiaccio marino artico sta diventando anche molto più sottile e giovane, poiché ne sopravvive sempre meno all’estate per crescere e diventare pluriennale. Fino agli anni Ottanta, la massa ghiacciata riusciva ancora a raggiungere i quattro anni di età, e costituiva circa un terzo dell’area totale del ghiaccio in marzo, alla fine dell’inverno. Tuttavia, dal 2011 la quota di ghiaccio vecchio ha cominciato a diminuire sempre di più fino a che non ne è rimasto che il 5%.
Il ghiaccio marino non fonde soltanto a causa del riscaldamento globale dovuto ai gas serra. Ghiaccio e neve sono bianchi e quindi riflettono una grande quantità di luce solare. Dopo un riscaldamento iniziale e la conseguente fusione di neve e ghiaccio, la superficie bianca viene sostituita dalla superficie più scura dell’oceano aperto, che assorbe più luce solare, portando così a un ulteriore riscaldamento. Si tratta di una retroazione definita “positiva” perché amplifica il riscaldamento iniziale, non perché sia buona per il Pianeta. Già nel 1896, il chimico svedese Svante Arrhenius descrisse l’effetto della retroazione “ghiaccio-albedo” – l’albedo è la capacità di una superficie di riflettere la luce solare –, e scrisse: “Quei luoghi che modificano la loro albedo attraverso la progressione o regressione della copertura nevosa… probabilmente sposteranno l’effetto massimo [dell’aumento di anidride carbonica] dalle latitudini più basse verso i poli”.
L’Artico si è riscaldato quasi quattro volte più velocemente rispetto al resto del mondo e oggi è circa 3°C più caldo rispetto al 1980, e zone specifiche e limitate come il Mare di Barents mostrano riscaldamenti ancora più intensi, in alcuni casi fino a sette volte più rapidi rispetto alla media globale. Le prime osservazioni moderne che hanno mostrato questo surriscaldamento polare risalgono agli anni Cinquanta e Sessanta, anche se allora i dati erano ancora limitati e discontinui. Il termine tecnico “Amplificazione Artica” è entrato nel linguaggio scientifico negli anni Ottanta e Novanta, con l’aumento delle osservazioni satellitari che hanno permesso di monitorare sistematicamente e continuativamente questa regione del globo. Poi, negli anni Novanta, i modelli atmosferici, oceanici e climatici hanno indagato i meccanismi in grado di spiegare questa elevata sensibilità dell’Artico al riscaldamento, confermando il ruolo centrale della retroazione dell’albedo, che spiega da sola tra il 30% e il 60% del riscaldamento totale dell’Artico.
Un altro motivo è l’aumento del trasporto di vapore acqueo dall’equatore ai poli. L’aria calda e umida proveniente dai tropici viene trasportata dalla circolazione atmosferica verso i poli dove il vapore acqueo condensa e rilascia calore: in pratica, con la condensazione, le molecole d’acqua perdono l’energia che avevano assorbito durante l’evaporazione, quando erano passate da liquide a vapore. Inoltre, la maggiore quantità di vapore acqueo nell’atmosfera artica intensifica l’effetto serra e influenza la formazione delle nuvole, entrambi importanti fattori di riscaldamento.
Oltre ad amplificare il riscaldamento, la fusione del ghiaccio marino comporta una serie di conseguenze su scala locale e globale. Ad esempio, diminuisce la salinità delle acque, che ha un effetto sulla circolazione oceanica, regolatrice del sistema climatico globale.
Ancora, l’assenza di convezione a queste latitudini può aumentare le temperature al Polo Nord. La convezione si verifica quando l’aria vicina al suolo viene riscaldata dalla superficie terrestre e comincia a salire. Nei tropici, il suolo è costantemente riscaldato dal sole, e per questo la convezione è intensa e l’atmosfera è “ben mescolata”. Alle alte latitudini, invece, l’angolo tra la luce solare e la superficie fa sì che la radiazione in arrivo sia meno “concentrata”; di conseguenza l’atmosfera viene riscaldata principalmente dall’aria calda e umida proveniente dai tropici, il che significa che c’è molto meno mescolamento verticale. Il riscaldamento aggiuntivo dovuto alla CO₂ e agli altri gas serra riscalda generalmente l’atmosfera soprattutto vicino alla superficie terrestre. In presenza di convezione, questo riscaldamento viene mescolato verticalmente. Tuttavia, in Artico, l’assenza di convezione fa sì che il riscaldamento rimanga vicino alla superficie.
Oltre ad amplificare il riscaldamento, la fusione del ghiaccio marino comporta una serie di conseguenze su scala locale e globale. Ad esempio, diminuisce la salinità delle acque: il ghiaccio marino si forma dall’acqua di mare, ma durante il congelamento espelle la maggior parte del sale (un processo chiamato brine rejection). Di conseguenza, il ghiaccio marino contiene pochissimo sale in confronto all’acqua di mare (tanto meno quanto più il ghiaccio è vecchio). Quando il ghiaccio fonde, perciò, rilascia nello strato superficiale dell’oceano acqua più dolce, diminuendone la salinità. Questo ha un effetto sulla circolazione oceanica, regolatrice del sistema climatico globale.
La circolazione, infatti, viene innescata dallo sprofondamento, alle alte latitudini, delle acque molto fredde e molto salate, e per questo molto dense (e “pesanti”). Se la salinità diminuisce, diminuisce anche la densità, l’acqua sprofonda meno e la circolazione si inceppa. Una conseguenza, ad esempio, è il rallentamento della ben nota corrente del Golfo. Dal punto di vista biologico, inoltre, la regione sta vivendo un fenomeno noto come “borealizzazione”, con specie tipiche degli ecosistemi boreali-temperati (più a sud) che migrano verso nord man mano che l’Artico si riscalda. Arrivano specie come merluzzi e capelin, ma anche invertebrati e alghe; si assiste all’introduzione di nuovi patogeni e parassiti, prima incapaci di sopravvivere alle basse temperature polari e le reti alimentari si trasformano, perché le specie autoctone devono competere con quelle in arrivo.
La fusione del ghiaccio marino sta modificando anche le dinamiche geopolitiche della regione e potrebbe offrire nuove opportunità economiche e rotte commerciali, alimentando, in assenza di una governance adeguata, la competizione per le risorse con possibili rischi crescenti per gli ecosistemi e le comunità locali. Con meno ghiaccio diventerebbe praticabile la rotta Transpolare, la via più breve per muoversi fra l’Atlantico e il Pacifico attraverso il centro dell’Artico, in gran parte in acque internazionali. Vi sono poi le altre rotte, già in parte praticate, che diverrebbero più semplici da attraversare: il passaggio a Nord-Est che collega l’Europa al Pacifico costeggiando la Siberia, e il passaggio a Nord-Ovest che segue il limite settentrionale del Canada.
La navigazione nelle acque artiche è aumentata del 25% tra il 2013 e il 2019, e le distanze percorse sono cresciute del 75%. Il blocco del Canale di Suez avvenuto nel 2021 ha accelerato ulteriormente l’interesse per le alternative artiche. Proprio nel 2021, in pieno inverno, una petroliera russa ha solcato le acque ghiacciate del Mare di Bering per attraccare in un porto della Siberia orientale. Non era mai accaduto prima che una nave riuscisse a compiere una traversata simile durante i mesi più gelidi. Quella traversata è diventata un simbolo.
Le navi non producono solo emissioni di CO₂ ma anche di “black carbon”, una particella prodotta dall’olio combustibile usato da molte navi. Il black carbon è una sostanza sia inquinante che climalterante, perché riduce la capacità delle superfici ghiacciate su cui si deposita di riflettere i raggi solari.
L’intensificazione della navigazione ha profonde conseguenze ambientali. Le navi non producono solo emissioni di CO₂ ma anche di “black carbon”, una particella prodotta dall’olio combustibile usato da molte navi. Il black carbon è una sostanza sia inquinante che climalterante, perché riduce la capacità delle superfici ghiacciate su cui si deposita di riflettere i raggi solari. Come ricorda la Clean Arctic Alliance, alleanza composta da 24 organizzazioni senza scopo di lucro che mira a convincere i governi a adottare misure per proteggere l’Artico, la sua fauna e le sue popolazioni, il black carbon ha un impatto enorme in Artico proprio perché alimenta la retroazione dell’albedo che rende questa regione iper sensibile all’aumento della temperatura..
Nel luglio del 2024 è entrato in vigore un primo divieto parziale dell’Organizzazione Marittima Internazionale sull’uso dell’olio combustibile pesante nell’Artico con l’obiettivo di ridurre le emissioni di almeno il venti per cento entro cinque anni. Pare un impegno difficile da mantenere visto che le emissioni di black carbon sono più che raddoppiate negli ultimi anni. Anche per la comunità scientifica il messaggio è chiaro: ogni vantaggio economico derivante dall’apertura delle rotte polari deve essere compensato da norme ambientali rigorose. Perché il tempo a disposizione dell’Artico sta scadendo.
Esiste un Codice Polare, istituito dall’Organizzazione Marittima Internazionale, che ha l’obiettivo di migliorare la sicurezza e mitigare gli impatti ambientali, ma sembra essere molto vago e soggetto a discrezionalità nella sua applicazione. Le sue misure di protezione ambientale non sono sufficientemente complete per affrontare la decarbonizzazione, mancando di un divieto totale sul combustibile pesante e di misure adeguate contro l’inquinamento da black carbon. Esiste anche una Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, i cui firmatari sono obbligati a proteggere l’ambiente marino, ma che non menziona esplicitamente il cambiamento climatico né la protezione della biodiversità artica in relazione alla navigazione commerciale. Adattare la governance a un Artico che cambia in fretta sembra essere, quindi, una delle urgenze principali poste dalla crisi climatica e dal complesso panorama geopolitico di queste regioni.