In Italia ne soffrono quasi due milioni di donne, ma nonostante una diffusione così ampia ci vogliono molti anni, spesso dolorosi, per riconoscerla e curarla, anche a causa di preconcetti e scarsa consapevolezza.
È il 2020 quando Maddalena, ormai quarantacinquenne, può finalmente dare un nome al forte dolore mestruale con cui convive fin dall’adolescenza. Nella Palermo degli anni in cui era ragazza, dal ginecologo non si andava se non in casi eccezionali. Il medico di base diceva che era normale che le mestruazioni fossero dolorose. Negli anni, però, il dolore aumenta sia di intensità che di frequenza, accompagnandola tutti i giorni del mese, con forti impennate durante l’ovulazione. Non diminuisce né con l’ingresso nella fase adulta né dopo nessuna delle sue tre gravidanze.
Una diagnosi, alla fine, arriva: sindrome aderenziale. Nel suo addome si è creato del tessuto in eccesso che le causa dolori cronici. Dopo otto anni e cinque interventi, Maddalena scopre però che la diagnosi è errata: quella sofferenza è scatenata dall’endometriosi, una patologia tanto comune quanto poco conosciuta. Un binomio che non lascia presagire niente di buono.
L’endometriosi è una malattia infiammatoria cronica caratterizzata dalla crescita anomala di tessuto simile all’endometrio, ovvero la mucosa che riveste l’interno dell’utero. Con l’avanzare della malattia, questo tessuto può raggiungere altri organi, come le ovaie, la vescica e l’intestino, formando cisti, lesioni e altre manifestazioni patologiche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che circa il 10% delle donne in età fertile ne sia affetta. In Italia le donne diagnosticate sono più di 1.8 milioni, pressappoco il 15% delle donne tra i 15 e i 50 anni. Numeri che stridono con il tempo medio di diagnosi, che per una donna italiana sembra essere di circa undici anni. La situazione non migliora spostandosi dall’Italia: quasi tutti gli studi sui tempi diagnostici dell’endometriosi, per lo più svolti nei Paesi a più alto reddito, riportano un ritardo medio di diversi anni.
Eppure, molto spesso l’endometriosi non è una malattia silenziosa. Uno studio ha mostrato che circa l’83% delle donne che ne sono affette presenta almeno uno dei sintomi più comuni, come dolore pelvico, dolore mestruale o dolore durante i rapporti sessuali. Nella sua forma avanzata, le possibili alterazioni patologiche possono complicare in vario modo il quadro sintomatico delle pazienti. Come mi ha spiegato la Dott.ssa Maria Celeste Esposto, fondatrice dell’associazione Endo-Care: “L’endometriosi è una malattia che si declina al singolare. Ogni caso è diverso dall’altro e l’entità dei sintomi non è sempre correlata con la gravità della malattia”.
Ho parlato con sei volontarie dell’Associazione Progetto Endometriosi (A.P.E.), che mi hanno raccontato la storia del loro percorso diagnostico fin dalla comparsa dei primi sintomi. In accordo con le parole della dottoressa Esposto, le loro storie si distinguono per la loro unicità: qualcuna ha sofferto di infertilità, altre hanno portato avanti gravidanze senza sapere di essere affette da endometriosi; molte di loro hanno vissuto la diagnosi come il punto di svolta, per altre è stato solo l’inizio di un percorso ancora più complicato del precedente.
Pur molto diversi tra loro, i loro vissuti sono però accomunati dalle diagnosi errate ricevute negli anni, che variano dalla già menzionata sindrome aderenziale, al colon irritabile, fino all’appendicite e all’infiammazione del nervo sciatico; ancor più comune la sbrigativa sentenza “è tutto nella tua testa”.
Altri elementi ricorrenti in molte storie sono il dolore costante e invalidante, il lungo pellegrinaggio tra i diversi professionisti della salute, le difficoltà a svolgere le attività quotidiane come andare a lavoro, avere rapporti sessuali, portare i figli al parco o uscire il sabato sera. E, ovviamente, le diagnosi tardive.
Le ragioni del comune ritardo sono in buona parte di natura culturale e sociale. L’idea che, se si è donna, sia fisiologico avvertire dolore mestruale o durante i rapporti sessuali è molto comune anche tra i ginecologi. La dottoressa Esposto ha ribadito quanto questa credenza sia errata: “Dobbiamo sfatare il mito che una donna debba necessariamente stare male quando ha le mestruazioni. Avvertire dolore mestruale non è mai normale, in nessun caso”.
I preconcetti legati al genere possono assumere molte forme. Alcuni studi hanno dimostrato che i professionisti della salute sono più propensi a sottostimare il dolore fisico percepito dalle pazienti donne rispetto agli uomini. La minimizzazione dei dolori tipicamente femminili, come quello mestruale, è poi talmente pervasiva da coinvolgere anche le pazienti stesse e le loro famiglie. “Alcuni studi hanno dimostrato che il tempo di attesa medio per ricevere una diagnosi è prolungato dal ritardo della paziente stessa nel comunicare i propri sintomi ai medici” ha commentato la dottoressa Esposto.
Questo ritardo sembra essere più marcato quando i sintomi cominciano in età molto precoce, probabilmente a causa della sensazione che siano parte del proprio funzionamento. Molte delle donne che ho intervistato hanno confermato di non essersi poste a lungo il problema che il loro dolore nascondesse qualcosa di patologico. Particolarmente comuni erano i ricordi di nonne e madri che rassicuravano su quanto fosse normale. Chiara mi ha raccontato di come fosse talmente abituata ad avvertire dolore da essersi posta il dubbio che qualcosa non andasse solo quando, una mattina, si è svegliata pensando che qualcuno la stesse accoltellando: in stanza era sola e le fitte provenivano dal suo addome.
“I professionisti della salute sono più propensi a sottostimare il dolore fisico percepito dalle pazienti donne rispetto agli uomini. La minimizzazione dei loro è poi talmente pervasiva da coinvolgere anche le pazienti stesse e le loro famiglie”.
C’è poi il problema della formazione del personale medico. La dottoressa Esposto mi ha parlato di come l’endometriosi possa essere difficile da diagnosticare nei primi anni, a causa delle scarse evidenze biologiche. In alcuni casi, la malattia può anche mostrarsi con sintomi lievi o che possono facilmente essere confusi con quelli di altre malattie. Un ginecologo competente dovrebbe porre molta attenzione ai racconti delle pazienti e, se impossibilitato a effettuare una diagnosi, indirizzarle verso qualcuno di più esperto. Possibilmente, un centro o un ambulatorio specialistico.
E qui tocchiamo un altro tasto dolente. Nonostante l’enorme diffusione della patologia, gli ambulatori e i centri per l’endometriosi sono completamente assenti in molte province e addirittura in intere regioni italiane.
Tra le cinque regioni (Umbria, Molise, Abruzzo, Calabria e Basilicata) che, dalle mie ricerche, risultano del tutto sprovviste di centri specializzati, Calabria e Basilicata sono quelle più lontane da zone meglio fornite. Ho contattato le loro ASL e impersonato una donna che sospettava di avere l’endometriosi, alla ricerca di informazioni sulla presenza di specialisti. In alcuni casi i centralinisti non avevano mai sentito nominare l’endometriosi. Dopo le spiegazioni su cosa fosse la patologia, alcuni di loro mi hanno messa in contatto con il reparto di ginecologia; in nessun caso è però emersa la presenza di ambulatori o figure mediche specializzate. Una centralinista mi ha invece indicato il profilo Facebook dell’unica dottoressa che, prima di trasferirsi in un’altra regione, si occupava di endometriosi. Un’altra mi ha prontamente consigliato di rivolgermi a strutture private.
È importante sottolineare che né la mancanza di un ambulatorio interamente dedicato all’endometriosi né la difficoltà di accesso all’informazione escludono la presenza di ginecologi esperti all’interno delle strutture sanitarie. Quel che è certo è che, prima di ottenere una diagnosi, molte donne devono ancora compiere un pellegrinaggio lungo e oneroso tra uno studio medico e l’altro, spesso al di fuori della propria regione. Maddalena, che abbiamo conosciuto all’inizio dell’articolo, da Palermo è andata tredici volte in Veneto per visite ospedaliere e operazioni chirurgiche, spendendo ogni volta circa mille euro per il pernottamento, i biglietti aerei e le visite mediche private. Manuela, che ha vissuto in varie città italiane e ancora di più ne ha visitate alla ricerca di assistenza medica, ha calcolato ottomila euro spesi nei dieci anni passati a cercare la causa dei suoi sintomi. Altre intervistate hanno invece stimato una spesa intorno ai 500-1.000 euro.
Al termine delle nostre conversazioni, ho chiesto alle volontarie A.P.E. di darmi la più breve definizione possibile del loro percorso diagnostico. Maddalena ha risposto senza indugio: un calvario devastante. Alice ha parlato di una gran perdita di tempo. Barbara lo ha descritto come un percorso travagliato. Chiara ha detto di aver vissuto in simbiosi con i dolori della sua malattia, diventati parte di lei. Manuela ha scelto un aggettivo e un sostantivo: “difficile” e “sofferenza”. Sonia ha parlato di una lunga battaglia.
Le difficoltà spesso non finiscono con la diagnosi, specie se tardiva. L’endometriosi può infatti essere tenuta sotto controllo con la somministrazione di farmaci ormonali che bloccano il flusso mestruale. Quando, però, viene scoperta in stadio avanzato può diventare consigliabile, o necessario, ricorrere a interventi chirurgici.
Molte delle volontarie con cui ho parlato portano tuttora sul proprio corpo le conseguenze della patologia e degli interventi subiti. Due di loro sono state sottoposte a un’isterectomia totale, ovvero la rimozione chirurgica dell’utero e della cervice uterina. Un’altra ha perso un rene per le complicazioni di un’operazione. Qualcuna di loro non è riuscita a concepire neanche ricorrendo alla procreazione assistita. Alcune hanno ancora difficoltà ad avere rapporti sessuali penetrativi.
“Depressione, rabbia e isolamento sono i tre vissuti emotivi più comuni tra le donne che soffrono di endometriosi, soprattutto se hanno fatto esperienza della forma sintomatica accompagnata a una diagnosi tardiva” ha commentato Sara Beltrami, attivista e promotrice della prima petizione Endometriosi: firma adesso!. “Dobbiamo lavorare sulla diagnosi precoce e far capire alle giovani che, se hanno determinati sintomi, devono rivolgersi a un centro specializzato. Le giovani donne non devono farsi spaventare dai vissuti negativi di chi ha contratto l’endometriosi anni fa ma insistere perché i propri sintomi vengano ascoltati”.
Un vecchio luogo comune vorrebbe le donne essere “le peggiori nemiche delle altre donne”. Giulia Siviero ha sfatato questo mito e raccontato nel suo libro Fare femminismo (nottetempo, 2024) dei modi in cui le donne si sono riunite per prendersi cura di loro stesse. Ne sono stati un esempio i collettivi femministi di autocoscienza, nati negli anni Settanta negli Stati Uniti per parlare di anatomia femminile, della qualità del dialogo con il personale medico e delle condizioni delle strutture sanitarie. Questi incontri hanno anche portato alla pubblicazione del libro-manuale Our body, Ouserselves, scritto collettivamente perché sempre più donne potessero essere consapevoli del proprio corpo e delle sue manifestazioni patologiche.Passano gli anni, cambiano le modalità, ma gruppi di donne continuano ancora a lavorare per migliorare la comunicazione, e quindi la qualità, della salute femminile. Associazioni di volontarie come A.P.E., Endo-Care e La voce di una è la voce di tutte sono oggi impegnate ad aumentare la consapevolezza su cosa sia l’endometriosi. Attraverso i social media, incontri nelle scuole e in altri luoghi, l’obiettivo è quello di diffondere il messaggio che avvertire dolore non è condizione necessaria per avere un utero. Il fine ultimo di tutte le donne, professioniste e non, con cui ho parlato è lo stesso: che sempre più persone siano in grado di riconoscere i potenziali sintomi della malattia nel proprio corpo o in quello di figlie, fidanzate o amiche. O, per dirla con le parole di Manuela: “Se qualcuno mi avesse parlato di endometriosi quando ero adolescente, mi sarei risparmiata tutto questo”.