L'Agrotis infusa migra attraverso l'Australia ogni anno senza perdere la strada perché i suoi collegamenti neurali riescono a decifrare la posizione del cielo. Un gruppo di ricercatori ha provato a confonderla.
La vita sul nostro pianeta è un gran viavai. Sono moltissime le specie animali che, durante la propria vita, si spostano da un luogo all’altro, seguendo la disponibilità di risorse alimentari oppure facendo la spola tra due luoghi (ad esempio, il luogo di nidificazione e quello di approvvigionamento) a seconda delle stagioni.
Uno degli aspetti delle migrazioni che più incuriosisce ricercatori e appassionati riguarda come queste specie riescano – senza supporti esterni, diversamente da noi umani – a trovare sempre il proprio luogo di destinazione, a volte a migliaia di chilometri di distanza, senza perdersi nel vasto mondo.
Nel corso del tempo, le specie migratrici hanno sviluppato una varietà di metodi per orientarsi, basandosi su punti di riferimento nello spazio oppure deducendo il proprio percorso in base alla posizione del sole, delle stelle, o dal campo magnetico terrestre. Quest’ultimo comportamento è stato osservato soprattutto in alcuni animali – come diverse specie di uccelli migratori e alcuni insetti, tra cui le famose farfalle monarca – di cui è stato dimostrato che possiedono delle “bussole biologiche”. Si tratta di sistemi sensoriali che consentono loro di calcolare e mantenere un’angolazione specifica rispetto a un punto di riferimento (come, ad esempio, i corpi celesti o il campo geomagnetico, che alcuni animali sono in grado di percepire), ottenendo così una traiettoria precisa verso la propria destinazione, la cui conoscenza può essere innata oppure appresa tramite i propri conspecifici.
Un nuovo studio pubblicato su Nature, condotto da un gruppo internazionale di studiosi, amplia la platea degli esseri viventi dotati di una bussola biologica, trovandone traccia per la prima volta in un invertebrato: Agrotis infusa, anche nota come Falena del Bogong, una piccola falena notturna dal corpo grigio-bruno e coperto da una lieve peluria. La specie è diffusa in Australia e, dal 2021, è inclusa nella Lista Rossa della International Union for the Conservation of Nature (IUCN), all’interno della quale è classificata come “In pericolo” (Endangered). Questa specie dall’aspetto dimesso ha attratto l’attenzione degli scienziati perché, ben due volte all’anno, si rende protagonista di un viaggio lungo e difficoltoso.
Dopo essere nate e aver passato la stagione fredda in diverse regioni dell’Australia orientale – il Queensland meridionale, le aree occidentali e nord-occidentali del Nuovo Galles del Sud e l’ovest del Victoria – all’inizio dell’estate miliardi di esemplari di questa specie prendono il volo verso alcune grotte situate tra le Alpi australiane, all’estremo sud-est del continente. In queste grotte fresche e riparate, le falene del Bogong si rifugiano dal caldo estremo che si registra nei loro luoghi d’origine durante i mesi estivi: qui, ammassate le une accanto alle altre sulle pareti interne delle grotte, entrano in una forma di letargo che dura fino ai primi accenni d’autunno. A quel punto si risvegliano e riprendono il volo verso le loro regioni d’origine, dove tornano per riprodursi e, una volta svolto questo compito evolutivo, morire, dopo aver concluso tutte le fasi del proprio ciclo vitale in circa un anno.
Questa odissea si ripete ogni anno coprendo notevoli distanze con un volo di circa 1000 chilometri, che, se rapportato alla dimensione di un essere umano, equivarrebbe a una duplice circumnavigazione del globo. Tutti questi insetti non perdono mai l’orientamento, nonostante intraprendano questo viaggio una sola volta nella vita, ripercorrendo il medesimo itinerario seguito dalle generazioni precedenti ma senza averne alcuna conoscenza diretta. Eppure, il metodo usato per trovare la strada resta il medesimo.
Gli studiosi hanno costruito in un laboratorio sul campo un’arena di volo nella quale, per due anni di seguito, hanno rilasciato diversi esemplari di falene catturati mentre migravano verso sud, all’inizio dell’estate, o verso nord, all’inizio dell’autunno. Hanno silenziato il segnale magnetico all’interno dell’arena di volo e hanno proiettato un’immagine fedele del cielo notturno dell’emisfero australe.
I ricercatori, infatti, sono riusciti a dimostrare che queste falene si orientano grazie a due diversi punti di riferimento: il campo magnetico terrestre – ma questa capacità è nota da diversi anni – e la posizione delle stelle nel cielo notturno. Per confermare l’ipotesi di questa doppia “bussola”, gli studiosi hanno costruito in un laboratorio sul campo un’arena di volo nella quale, per due anni di seguito, hanno rilasciato diversi esemplari di falene catturati mentre migravano verso sud, all’inizio dell’estate, o verso nord, all’inizio dell’autunno. Per confermare le loro teorie, i ricercatori hanno silenziato il segnale magnetico all’interno dell’arena di volo e hanno proiettato un’immagine fedele del cielo notturno dell’emisfero australe.
L’esito dell’esperimento è stato strabiliante: quando l’immagine del cielo stellato era proiettata con il giusto orientamento, le falene sono state in grado di trovare e seguire la direzione corretta, di cui hanno una conoscenza innata. Per confermare che questi insetti usano le stelle come bussola, i ricercatori hanno effettuato un ulteriore esperimento: ruotando di 180° l’immagine del cielo stellato, le falene invertivano la loro traiettoria di volo di esattamente 180°, coerentemente con la direzione stagionale.
Infine, i ricercatori hanno osservato che, proiettando le stelle nel cielo artificiale dell’arena in modo casuale, le falene perdevano completamente l’orientamento in entrambe le stagioni, non riuscendo più a mantenere una traiettoria costante.
I risultati sono chiari: “Le falene del Bogong possono usare unicamente la posizione delle stelle nel cielo notturno australe come una bussola di navigazione per individuare indicazioni geografiche e, così, determinare la rotta migratoria da seguire sia nel loro viaggio estivo verso sud che in quello autunnale verso nord”. Si tratta di una capacità che, finora, si credeva appartenesse solo agli umani e a diverse specie di uccelli migratori notturni.
Le analisi hanno identificato, nel cervello di questi animali, alcune cellule neurali specializzate nell’identificazione della posizione delle stelle, per le quali si registra un picco di attività quando la falena si muove verso sud.
Per comprendere meglio il meccanismo fisiologico che rende possibile, in un insetto di così ridotte dimensioni, una simile abilità, i ricercatori hanno misurato le risposte neurali attivate dalle immagini del cielo notturno in tre aree del cervello di questi animali. Si tratta di tre aree essenziali: il lobo ottico, deputato alla visione; il complesso centrale, che negli insetti funge da “sistema di navigazione”; e i lobi accessori laterali, che controllano la direzione da tenere. Le analisi hanno identificato, nel complesso centrale, alcune cellule neurali specializzate nell’identificazione della posizione delle stelle, per le quali si registra un picco di attività quando la falena si muove verso sud: un dato che – confermano i biologi – “dimostra che le informazioni relative al cielo stellato sono codificate nel cervello di queste falene”.
Non è ancora chiaro come, a partire da queste informazioni codificate nel cervello, le falene del Bogong riescano a incrociare i dati relativi alla loro posizione di partenza, alla loro destinazione, alla stagione dell’anno e all’orario notturno (e dunque la posizione delle stelle) per calcolare la direzione da seguire durante il viaggio migratorio: per chiarire questo punto saranno necessarie ricerche ulteriori.
Questi lepidotteri sono, nel mondo degli insetti, una delle pochissime specie a poter fare affidamento su ben due sistemi di orientamento per le proprie migrazioni stagionali. È un vantaggio evolutivo notevole, che consente alle falene di muoversi sia in caso di perturbazioni (seppur rare) del campo geomagnetico, sia nel caso di notti particolarmente buie.
Questa scoperta ha diverse implicazioni, sia teoriche che applicative. Ad esempio, la comprensione di questo meccanismo biologico potrebbe rivelarsi interessante per gli ingegneri che si occupano di sviluppare i sistemi di orientamento da applicare ai droni.
Ma ci sono anche possibili implicazioni per la pianificazione di misure di conservazione di questa specie, oggi in pericolo di estinzione a causa delle ondate di siccità dovute al cambiamento climatico antropogenico. Uno degli interventi potrebbe mirare a ridurre, lungo la rotta migratoria, l’inquinamento luminoso, che interferisce con la loro capacità di orientamento. L’obiettivo è tutelare il più possibile il viaggio estivo delle falene verso le Alpi australiane, dove la loro presenza è essenziale per il mantenimento degli equilibri ecologici locali (la specie è una preda molto ambita da alcuni piccoli marsupiali della regione).
Infine, scoprire una modalità di funzionamento così unica fornisce un’ulteriore dimostrazione del valore intrinseco di ogni specie vivente: ognuna delle forme di vita sul nostro Pianeta, anche quella dall’aspetto più dimesso, possiede caratteristiche uniche, e questa diversità, frutto di una storia evolutiva contingente e irripetibile, deve essere tutelata.