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Enrico Bucci
Gli anticorpi sono capolavori

Gli Anticorpi Sono Capolavori Cover Bucci
biologia medicina Scienza

Snidano e annientano gli agenti patogeni, svelano il legame profondo tra evoluzione e salute e oggi sono potenziati dall'ingegneria molecolare, con grandi benefici per il nostro sistema immunitario.

Vi siete mai chiesti come il nostro organismo riesca a riconoscere e neutralizzare un nemico invisibile all’occhio, senza mappe né comandi precisi e quale sia il meccanismo che permette a cellule microscopiche di scovare e distruggere virus e batteri con una precisione sorprendente?

Un anticorpo funziona come un cartellino che si attacca in modo specifico a una parte di un agente estraneo (virus, batterio o tossina) chiamata antigene. Sul cartellino è stampato un ordine: “distruggere”. Una volta agganciato all’antigene, quel segnale attiva il nostro sistema immunitario per eliminare il bersaglio.

Perché il cartellino si applichi solo sulle sostanze estranee, l’anticorpo è una molecola bifunzionale. Da un lato ha la regione Fc, identica per tutti gli anticorpi, che porta il messaggio “distruggere” richiamando cellule come macrofagi e natural killer o attivando il complemento. Dall’altro ha la regione Fab, diversa in ogni anticorpo, che riconosce con precisione la forma dell’antigene, incastrandosi come una chiave nella serratura molecolare. Queste parti, e in particolare la regione variabile che riconosce ognuno degli infiniti antigeni possibili vengono costruite seguendo le istruzioni contenute nel nostro genoma, che codifica le istruzioni necessarie per ciascuna variante anticorpale.

A questo punto sorge un problema fondamentale: gli agenti patogeni possono presentare milioni di superfici antigeniche diverse e cambiano continuamente per sfuggire al riconoscimento. Tuttavia, il genoma umano, con i suoi circa 23.000 geni, non potrebbe ospitare un numero di geni pari a ogni possibile anticorpo, perché servirebbe uno spazio informativo praticamente illimitato. Perciò, piuttosto che codificare direttamente ogni molecola anticorpale, le cellule B trasformano e mutano in modo controllato i pochi geni disponibili, creando un repertorio di varianti che supera di gran lunga il loro numero originale.

“Comprendere come gli anticorpi si formano, si affinano e assumono le loro forme uniche significa scoprire un meccanismo di “bellezza” che è un capolavoro di precisione evolutiva, e non nel senso che normalmente associamo a questa parola”.

Nel nostro organismo si svolge così un vero e proprio “laboratorio di scultura molecolare”: la generazione degli anticorpi. Queste proteine, protagoniste della difesa immunitaria, nascono da una sequenza di eventi genetici e cellulari tanto complessa quanto elegante. Comprendere come si formano, si affinano e assumono le loro forme uniche significa scoprire un meccanismo di “bellezza” che è un capolavoro di precisione evolutiva, e non nel senso che normalmente associamo a questa parola.

Vediamo perché.

Nel midollo osseo le cellule B immature costruiscono la parte variabile del loro recettore anticorpale a partire da tre tipi di frammenti di DNA: V, D e J. I frammenti V (variable) contengono la maggior parte della sequenza che riconoscerà l’antigene, i frammenti D (diversity) aggiungono ulteriori varianti di sequenza al centro della regione di legame, e i frammenti J (joining) uniscono la parte variabile al resto della molecola. Gli enzimi RAG1 e RAG2 individuano i segnali specifici alla fine di ogni frammento, tagliano il DNA e riuniscono in modo casuale un frammento V con uno D e uno J. Subito dopo, l’enzima TdT (terminal deoxynucleotidyl transferase) inserisce alcuni nucleotidi in più nelle giunzioni tra i frammenti, aumentando ulteriormente la diversità. Il risultato è un singolo gene V–D–J che, una volta trascritto e tradotto, dà origine alla regione variabile dell’anticorpo, comprensiva di tre anse strutturali dette CDR (Complementarity-Determining Regions), che formeranno la tasca esatta per legare l’antigene. Con questo meccanismo si ottengono decine di milioni di anticorpi diversi già prima di incontrare qualsiasi patogeno.

Quando un patogeno invade l’organismo, soltanto pochi degli anticorpi “grezzi” riescono a stabilire un legame abbastanza forte con le piccole porzioni dell’antigene chiamate epitopi (le aree specifiche in cui l’anticorpo si ancora). In pratica, solo quelle molecole la cui forma e distribuzione di carica coincidono con quelle dell’epitopo possono aderire in modo stabile.

Sono dunque queste poche cellule B iniziali a migrare nei centri germinativi dei linfonodi, dove si innesca la fase di selezione somatica. Qui le cellule si moltiplicano rapidamente e subiscono mutazioni puntiformi nella regione variabile grazie all’enzima AID (Activation-Induced cytidine Deaminase). Ogni nuova mutazione modifica la sequenza degli amminoacidi nella tasca di riconoscimento, cambiando leggermente la forma e la carica elettrica del sito di legame. Le cellule B che acquisiscono mutazioni in grado di migliorare l’affinità per l’antigene ricevono segnali di sopravvivenza e proliferano maggiormente, mentre le altre vengono eliminate attraverso l’apoptosi: è un vero e proprio processo di selezione darwiniana a livello cellulare, in cui le varianti migliori si riproducono più efficacemente, come le specie meglio adattate si affermano in natura. Dopo pochi cicli di mutazione e selezione, l’affinità dell’anticorpo può aumentare di diverse migliaia di volte rispetto al clone germinale di partenza. Si tratta di un processo che in natura richiede solo settimane, ma che somiglia a un artista che, dopo decine di bozze, arriva alla forma definitiva del proprio capolavoro.

“Si tratta di un processo che in natura richiede solo settimane, ma che somiglia a un artista che, dopo decine di bozze, arriva alla forma definitiva del proprio capolavoro”.

Il risultato finale è l’unione di due princìpi fondamentali: il caso e la necessità. Il caso si manifesta nella generazione casuale di milioni di varianti attraverso la ricombinazione V(D)J e l’inserimento di nucleotidi da parte della TdT, che crea una vasta gamma di forme potenziali. La necessità prende forma nella selezione somatica, durante la quale solo gli anticorpi in grado di legare solidamente l’antigene e attivare la difesa vengono mantenuti e moltiplicati, mentre gli altri vengono scartati.

Preparare il sistema immunitario senza esporlo ai rischi della malattia è proprio lo scopo di un vaccino. Con le tecnologie odierne, possiamo estrarre la sequenza di una proteina virale o batterica e produrre in laboratorio antigeni purificati, mRNA o vettori virali inattivati che mostrino al sistema immunitario solo la “faccia” del patogeno. Quando queste molecole vengono somministrate, si attivano i linfociti B, che avviano la mutazione e la selezione somatica proprio come accadrebbe durante un’infezione, ma senza il danno tissutale e il rischio clinico della malattia vera. Le varianti anticorpali migliori vengono così mantenute nella memoria immunitaria, pronte a intervenire con tempestività qualora dovessimo incontrare il patogeno reale.

Questa capacità di anticipare il meccanismo darwiniano degli anticorpi è oggi potenziata dalla ricerca molecolare: identificare rapidamente le sequenze antigeniche, produrre vaccini sintetici e monitorare la qualità della risposta immunitaria in laboratorio. In questo modo, la nostra intelligenza biologica si fonde con l’ingegneria molecolare per costruire una protezione preventiva, trasferendo all’organismo l’informazione utile senza ricorrere all’infezione.

Il motore che guida la produzione e il perfezionamento degli anticorpi è dunque un perfetto equilibrio tra variazione casuale e selezione mirata. La capacità del sistema immunitario di adattarsi a minacce sempre nuove si basa su questo doppio meccanismo, che trasforma poche decine di geni in un arsenale praticamente illimitato. Capire queste dinamiche è fondamentale non solo per lo sviluppo di vaccini e terapie innovativi, ma anche per riconoscere il profondo legame tra evoluzione e salute, un processo che opera dentro di noi in ogni istante.

Enrico Bucci

Enrico Bucci, Ph.D. in Biochimica e Biologia molecolare (2001), è stato ricercatore presso l’istituto IBB (CNR) fino al 2014. Dal 2006 al 2008 ha diretto il gruppo R&D al Bioindustry Park del Canavese. Nel 2016 ha fondato Resis Srl, azienda dedicata alla promozione dell’integrità della ricerca scientifica pubblica e privata. È professore aggiunto alla Temple University di Philadelphia presso il dipartimento di Biologia. È consulente per l’integrità nella ricerca scientifica per diverse istituzioni pubbliche e private, sia in Italia che all’estero.
Il suo lavoro nel campo dell’integrità scientifica è apparso su diverse riviste nazionali e internazionali, inclusa Nature ed è stato premiato a Washington nel 2017 con il “Giovan Giacomo Giordano NIAF Award for Ethics and Creativity in Medical Research”. È autore di oltre 100 articoli scientifici su riviste peer reviewed, di alcuni libri divulgativi e di una rubrica quotidiana di divulgazione su «Il Foglio».

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