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Sofia Belardinelli
Gli uccelli del miele, i pifferai magici africani

Gli Uccelli Del Miele, I Pifferai Magici Africani Belardinelli Cover
biologia evoluzione natura Scienza

In Eswatini, in alcune popolazioni, i più giovani seguono le indicazioni di alcuni volatili che li attirano e li guidano verso gli alveari delle api selvatiche per procurarsi un dolce bottino in cooperazione. Ma se non vengono ripagati possono vendicarsi.

Il filosofo e naturalista russo Pëtr Kropotkin, eminente teorico dell’anarchismo, sosteneva che il principale motore dell’evoluzione naturale non fosse soltanto la competizione – come sostenuto da alcuni seguaci di Darwin che ne semplificarono le teorie anche distorcendone il significato (come nel caso del darwinismo sociale teorizzato da Spencer) – ma anche e soprattutto la cooperazione. Basandosi su una vasta collezione di osservazioni sul campo condotte in Siberia, infatti, Kropotkin arrivò a sostenere che, nella costante lotta per la vita, il “mutuo appoggio” tra individui fosse importante tanto quanto la competizione, se non ancor di più, soprattutto quando le specie devono affrontare condizioni esterne particolarmente avverse.

Per Kropotkin, il mutuo appoggio si verifica soprattutto tra organismi della stessa specie. Eppure, oggi sappiamo che la cooperazione è diffusa ovunque nel mondo della vita, e trascende regolarmente le barriere di specie. Un esempio sono i numerosi casi di simbiosi obbligata, cioè un’associazione tra organismi appartenenti a specie diverse che non può essere interrotta senza che per almeno uno dei due simbionti vengano meno le condizioni di sopravvivenza.

Ma il “mutuo appoggio” si manifesta anche in molte altre forme. Anche noi umani abbiamo instaurato, nel corso della nostra storia evolutiva, relazioni mutualistiche con altre specie: da quelle con gli animali e le piante che consideriamo domestiche e che sono alla base dello stile di vita stanziale affermatosi con la transizione neolitica, fino ai batteri, virus e funghi che compongono il nostro microbiota intestinale, e senza i quali non potremmo svolgere funzioni metaboliche essenziali.

Un caso curioso riguarda alcune interazioni mutualistiche non costanti, ma che consentono alle due specie che le intraprendono di raggiungere un obiettivo comune – ad esempio, un cibo difficile da ottenere. È il caso dell’alleanza, documentata oggi in alcune aree dell’Africa sud-orientale, tra alcune popolazioni umane e gli uccelli indicatori, o uccelli del miele (Indicator indicator, una specie di piccole dimensioni e di colorazione scura, tra il grigio e l’olivastro, diffusa nell’Africa subsahariana), chiamati così proprio perché, grazie a una sorta di vocabolario condiviso di suoni e gesti, sono in grado di comunicare con gli umani per guidarli verso gli alveari selvatici. Questo genere di interazione è piuttosto raro: in tutto il mondo ne sono stati documentati solo pochi casi.

In una ricerca pubblicata sulla rivista Proceedings of the Royal Society B, un gruppo di studiosi dell’eSwatini e del Sudafrica ha ampliato la mappa di questa forma di cooperazione plurimillenaria presentando i risultati di un’indagine sul campo che, tramite interviste e osservazioni, racconta nel dettaglio la collaborazione tra uccelli e umani per la raccolta di miele selvatico nel Regno di eSwatini.

eSwatini è un piccolo Stato dell’Africa meridionale, caratterizzato da un clima subtropicale e da una varietà di ecosistemi e di biodiversità, nonostante la sua ridotta estensione territoriale. Qui, spiegano i ricercatori nello studio, l’attività economica principale è l’agricoltura e il 70% della popolazione la pratica, insieme all’allevamento, come attività di sussistenza. In virtù di queste caratteristiche, l’ipotesi attesa era che, così come in altri luoghi del continente con condizioni ambientali simili, anche in eSwatini gli umani avessero instaurato forme di cooperazione con gli uccelli indicatori per la raccolta di miele selvatico, nonostante queste non fossero ancora mai state documentate. In effetti, i risultati lo hanno confermato.

Le informazioni sulla ricerca del miele selvatico in eSwatini sono state raccolte principalmente attraverso le interviste condotte con 84 tra cercatori di miele e allevatori di api sparsi in 23 diverse comunità locali. Tramite il dialogo con loro, i ricercatori hanno evidenziato come, in questa parte del continente africano, a raccogliere miele selvatico siano soprattutto i giovani allevatori. In più, nella maggior parte dei casi si tratta di un’attività condotta principalmente per piacere, a margine di altre attività principali come la raccolta di legname o il pascolo del bestiame, e priva di finalità economiche rilevanti. A conferma di questo approccio ricreativo, la maggior parte degli intervistati ha confermato di non vendere, se non in minima parte, il miele raccolto, che viene invece consumato in casa.

A differenza di altre culture africane in eSwatini c’è una particolarità: non sono i padri, o in generale i membri più anziani della famiglia, a insegnare a giovani e giovanissimi questa pratica, bensì i propri coetanei.

Di solito, a raccogliere il miele si va in gruppi di persone della stessa età (spesso persone molto giovani) o da familiari di età diverse. Si diventa esperti già da piccoli: una trentina degli intervistati ha affermato di aver iniziato addirittura tra i cinque e i dieci anni, e molti altri durante la prima adolescenza. Nella maggior parte dei casi, le abilità necessarie per ottenere il miele – saper interagire attivamente con gli uccelli indicatori, saperli ricompensare in modo adeguato perché non si offendano e divengano vendicativi, saper allontanare le api dal favo senza uccidere la colonia – vengono apprese dai più giovani proprio durante le battute di caccia osservando i loro coetanei, piuttosto che attraverso forme di trasmissione orale da parte di familiari anziani. A differenza di altre culture africane, infatti, in eSwatini c’è una particolarità: non sono i padri, o in generale i membri più anziani della famiglia, a insegnare a giovani e giovanissimi questa pratica, bensì i propri coetanei.

Non sempre, come forse ci si aspetterebbe, l’interazione con gli uccelli del miele viene iniziata dagli umani. Molte delle persone che hanno partecipato alla ricerca hanno raccontato che in diversi casi sono gli uccelli stessi ad avvicinarsi agli umani e richiamarli alla caccia con uno specifico verso. Dal canto loro, durante il percorso verso il nido di api, gli umani usano vari modi per mantenere vivo il “dialogo” con l’uccello indicatore, usando versi, rumori o addirittura suoni prodotti da strumenti creati ad hoc. Spesso, questi suoni vengono usati in combinazione, e alcune volte i cacciatori di miele cantano per gli uccelli, pregandoli di essere gentili e di portarli alla giusta destinazione.

I cacciatori raccontano che non sempre gli uccelli conducono gli umani a un nido di api: a volte li portano verso altri animali, non sempre benevoli. Ad ogni modo, quando l’uccello indica la via giusta e si raggiunge il nido, tocca agli umani onorare il loro impegno per far sì che l’interazione sia mutualmente fruttuosa. In prossimità del nido, si accende un fuoco così da produrre fumo per allontanare le api, cercando di non danneggiare né gli animali né la loro casa. Sul momento, i cacciatori non mangiano i favi pieni di miele, che vengono raccolti e portati via; invece, consumano sul posto qualche pezzo di favo che contiene le covate – che sono un’ottima fonte di energia e, a differenza del miele, non fanno venire troppa sete.

I favi di covata che i raccoglitori non consumano vengono lasciati in bella vista nei dintorni del nido: è il ringraziamento e il premio per gli uccelli indicatori, che hanno reso possibile la raccolta. È così che si conclude il cerchio dell’interazione mutualistica, dalla quale tutti i partecipanti traggono un guadagno che, agendo in modo indipendente, non sarebbero probabilmente riusciti a ottenere.

In diverse interviste, i cacciatori hanno sottolineato quanto sia importante lasciare agli uccelli una ricompensa per i loro servizi, così da tenere vivo questo curioso sodalizio ed evitare piccole vendette da parte degli uccelli, che ne sarebbero capaci. In molti infatti credono che gli indicatori serbino memoria delle varie spedizioni, e che sulla base dei loro esiti si comportino di conseguenza.

Alcuni hanno raccontato di aver subìto simili rappresaglie: c’è chi è stato indirizzato a un nido d’api abitato da un serpente, chi verso un maiale selvatico, e persino chi è stato guidato verso un cadavere umano. Solo una minoranza di cacciatori ha sostenuto di non credere che gli uccelli siano capaci di orchestrare simili vendette, e un paio di loro ha suggerito che instillare questa credenza nei bambini sia una misura preventiva per tutelare la positività dell’interazione tra umani e uccelli.

Il 70% dei raccoglitori di miele intervistati è convinto che la cooperazione con gli uccelli indicatori si manterrà anche in futuro, anche se diverse persone sono preoccupate per la sua possibile sparizione, dovuta alla mancanza di interesse verso questa pratica e, non ultimo, al declino delle popolazioni di uccelli del miele.

Mentre quest’antica attività sta rapidamente scomparendo in varie regioni dell’Africa, in eSwatini è ancora piuttosto diffusa e praticata. Il 70% dei raccoglitori di miele intervistati è convinto che la cooperazione con gli uccelli indicatori si manterrà anche in futuro, anche se diverse persone sono preoccupate per la sua possibile sparizione, dovuta alla mancanza di interesse verso questa pratica e, non ultimo, al declino delle popolazioni di uccelli del miele.

Secondo i ricercatori, però, il vero elemento dirimente nel mantenimento di questa cooperazione interspecie è la sua natura ricreativa: «Questo tratto dimostra», scrivono gli studiosi, «come questa relazione interspecie possa persistere anche senza alcun incentivo economico per gli umani, il che sottolinea il suo significativo valore culturale e sociale», che si manifesta anche come opportunità di sviluppare una relazione profonda e non utilitaristica con il proprio ambiente naturale e i suoi abitanti.

Proprio questo genere di relazione “intima” con viventi di una specie diversa, con i quali si condivide un obiettivo e ai quali si attribuisce soggettività e agentività, suggerisce un contesto culturale fondato sul rispetto e sul riconoscimento della dignità delle altre forme di vita: questo approccio potrebbe rivelarsi essenziale nel contribuire alla tutela di specie come gli uccelli indicatori e le api selvatiche, entrambe minacciate – come, d’altronde, moltissime altre specie viventi – dalle attività antropiche.

Sofia Belardinelli

Sofia Belardinelli è dottoressa di ricerca in etica ambientale all’università “Federico II” di Napoli. È Contributing Author e Research Fellow per il settimo Global Environment Outlook dell’UNEP. Attualmente, è ricercatrice post-dottorale per il National Biodiversity Future Centre all’università di Padova. È giornalista scientifica e collabora con diverse testate, tra cui Il Bo Live, Micromega, Il Corriere della Sera e Il Tascabile. Si occupa di temi quali crisi ambientale, biodiversità e giustizia ambientale, ma anche di questioni sociali e di attualità.

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