Articolo
Agnese Codignola
La caccia al colpevole dell’autismo è l’essenza del populismo

La Caccia Al Colpevole Dell’autismo È L’essenza Del Populismo
biologia politica Scienza

Kennedy jr la pensa come un sovietico degli anni 60, e la sua lotta contro la "tossina responsabile dell'epidemia" toglie le risorse all'assistenza e alla ricerca vera.

Lo scorso 22 settembre il segretario alla Salute del governo degli Stati Uniti Robert Kennedy jr, no vax convinto e sostenitore delle più strampalate teorie antiscientifiche, ha convocato i giornalisti alla Casa Bianca e, alla presenza del presidente Donald Trump, ha presentato uno dei più grandi progetti lanciati finora dal suo ministero: la Autism Data Science Initiative (ADSI), finanziata con cinquanta milioni di dollari. Il denaro, che in realtà non è molto per un piano così ambizioso, è stato in gran parte sottratto all’assistenza ai bambini autistici, ai docenti di sostegno e a progetti di ricerca che, in molti casi, andavano avanti da anni e che ora rischiano la chiusura.

Ma poco importa, visto che lo scopo è identificare la o le tossine ambientali responsabili dell’epidemia di autismo che, a suo dire, sarebbe in atto nel paese, con un picco in California. Una crisi spiegabile, sempre secondo lui, solo con l’intervento di una qualche sostanza esterna, che potrebbe essere il paracetamolo (l’alluminio dei vaccini, evidentemente, è passato di moda). L’urgenza, inoltre, sarebbe motivata – secondo una logica esclusivamente utilitaristica – dal fatto che gli autistici non lavorano, non producono un utile, non pagano le tasse e sono quindi un problema da risolvere, un peso per la società.

Difficile inanellare una simile sequenza di affermazioni superate da oltre mezzo secolo, distorte, discriminatorie e palesemente sbagliate da tutti i punti di vista su un tema – quello dell’autismo – strumentalizzato da decenni. Kennedy jr ci è riuscito, suscitando la reazione pressoché unanime di tutte le parti in causa: ricercatori, medici, associazioni di genitori e di pazienti, società e riviste scientifiche che hanno subito risposto, compatti, spiegando quale sia lo stato dell’arte, dopo decenni di ricerche che non hanno nulla hanno a che vedere i presupposti dell’ADSI, la quale, quindi, parte viziata ancora prima di diventare operativa. Oltretutto, il progetto soffre del cosiddetto bias di aspettativa: credere di sapere già come andrà a finire, influenzando quindi – più o meno consapevolmente – l’interpretazione dei dati che via via arriveranno.

Prima di addentrarci in ciò che la scienza ha ormai capito senza che Kennedy jr ne fosse informato, è forse utile ricordare come nasce l’ossessione del politico verso l’autismo, e il cortocircuito nel quale si sia avvitato, una generazione dopo che la malattia aveva condizionato pesantemente la storia della sua famiglia. Una vicenda rievocata sul sito Stat da Ari Ne’eman, docente di salute pubblica a Harvard e cofondatore dell’Autistic Self Advocacy Network, che ha diretto dal 2006 al 2016. 

Tutto ebbe inizio nel 1961, quando il presidente era suo zio John. In quell’anno Kennedy chiamò a raccolta gli esperti nel President’s Panel on Mental Retardation (PPMR), e chiese loro di indicare le priorità della ricerca per comprendere una malattia che aveva segnato nel profondo la dinastia di Boston. La sollecitazione era arrivata da sua sorella Eunice Kennedy Shriver, traumatizzata per il destino dell’altra sorella, Rosemary, la cui lieve disabilità cognitiva era stata prima tenuta segreta e poi risolta con una lobotomia autorizzata dal padre Joseph Patrick, che l’aveva resa gravemente invalida. Eunice e John sentivano di avere un debito speciale nei confronti degli autistici e in generale delle persone con una disabilità intellettiva. Nel 1963 il presidente inviò il panel in Unione Sovietica per uno scambio di idee, anche nel tentativo di migliorare i rapporti con l’URSS, al fine di osservare l’approccio del nemico e per capire come mai l’incidenza laggiù era dell’1%, mentre in patria il triplo. 

Le testimonianze di quegli esperti avrebbero influenzato moltissimo (non si sa quanto consapevolmente) l’attuale ministro, le cui parole riecheggiano quelle dei medici sovietici dell’epoca, nonostante allora i medici americani, tornati in patria, fossero di tutt’altro avviso. 

Tra le proposte del nipote dei Kennedy, un uomo con il cervello danneggiato da un parassita (Taenia solium) ed ex alcolista, oltre alla messa in discussione di tutto ciò che si è pensato dal 1963 a oggi c’è anche lo smembramento del Developmental Disabilities Act. Un taglio che, unito a quelli al Medicaid e ai fondi sottratti all’assistenza per sostenere l’ADSI, avrà conseguenze devastanti per gli autistici, soprattutto per i meno abbienti.

Da subito emerse infatti la forte impronta politica nella cura dei disabili. Dal 1936 nell’Unione Sovietica erano stati vietati i test di intelligenza, considerati discriminatori verso le classi sociali più povere. Meno test, meno pazienti, si pensava, vista la quasi assenza di altri strumenti diagnostici. Eppure i casi continuavano a esserci. Come mai? Quali ne erano le cause? Le disabilità cognitive non potevano avere a che fare con la povertà, la malnutrizione, l’ignoranza e la mancanza di assistenza, perché tutto ciò, insieme alle disuguaglianze, era stato risolto ed eliminato dalla Rivoluzione. E neppure c’entravano i geni, visto che la scienza ufficiale rifiutava l’ereditarietà mendeliana. Doveva esserci altro, probabilmente una o più tossine esterne ancora sconosciute.

Quanto alle discrepanze dell’incidenza, una volta tornati in patria gli esperti americani inizialmente ipotizzarono che fossero da attribuire a interventi positivi del governo sovietico quali la bonifica delle baraccopoli o la legalizzazione dell’aborto, insieme all’assenza dei test del QI. Ma presto si convinsero che tutto questo non poteva bastare, e che il motivo con ogni probabilità erano i criteri di diagnosi, molto diversi soprattutto per le forme più lievi. L’origine di incidenze così distanti doveva essere cercata in ciò che definiva un autistico tale. Gli psichiatri riferirono quindi le loro conclusioni e le raccomandazioni al presidente, che le recepì in una delle ultime bozze di legge firmate poco prima di morire. Le stesse furono sviluppate dal fratello, il senatore Ted, che nel 1970 le trasformò nel Developmental Disabilities Act.

La nuova legge facilitava il coordinamento della ricerca, tutelava i diritti dei pazienti e prevedeva interventi volti all’integrazione nelle scuole e nei luoghi di lavoro. Quella legge, fondamentale, adottava la visione statunitense e non quella sovietica, e grazie a questo consentì agli studi di fare enormi passi in avanti, e a migliaia di malati di uscire dagli istituti ed entrare a pieno titolo nella società.

Paradossalmente, tra le proposte del nipote dei Kennedy, un uomo con il cervello danneggiato da un parassita (Taenia solium) ed ex alcolista, oltre alla messa in discussione di tutto ciò che si è pensato dal 1963 a oggi c’è anche lo smembramento dell’Act. Un taglio che, unito a quelli al Medicaid (il sistema sanitario di supporto ai più deboli) e ai fondi sottratti all’assistenza per sostenere l’ADSI, avrà conseguenze devastanti per gli autistici, soprattutto per i meno abbienti. L’ADSI, inoltre, ha un’impostazione analoga a quella sovietica, secondo la quale ricercatori, medici e funzionari devono piegare i fatti alle teorie MAGA e trovare un colpevole, anche se chi ne viene travolto sono i bambini e i loro genitori. Ma questo è ciò che accade quando i piani si confondono: niente di buono. 

In realtà, come tra gli altri ha ricordato anche Nature già pochi giorni dopo l’annuncio di Kennedy jr, gli esperti hanno le idee piuttosto chiare sulle vere cause dell’aumento delle diagnosi e, prima ancora, sulle vere dimensioni del fenomeno, che non sono esattamente quelle strombazzate in conferenza stampa e poi scritte sul sito ufficiale. Così come le hanno sulle cause principali dell’autismo, che hanno poco a che vedere con le tossine cercate da Kennedy jr in farmaci e vaccini.

Partiamo dai numeri ufficiali delle statistiche statunitensi, citati da Kennedy: nel 2000, tra i bambini di otto anni si segnalava un caso su 150 nati, mentre nel 2022 i casi erano uno su 31. Si tratta di cifre parziali, perché provenienti esclusivamente dai documenti amministrativi che comprendono, oltre a chi ha avuto una diagnosi di disturbo dello spettro autistico, anche chi è idoneo ad avere un supporto scolastico dello stesso tipo di quello che si fornisce agli autistici. Una sovrapposizione che potrebbe dare una sovrastima. Inoltre le diagnosi arrivano da specialisti di diverso tipo, e dunque potrebbero includere bambini con difficoltà anche molto distanti tra loro, ma inseriti nei database allo scopo di far ottenere loro un supporto. E, viceversa, potrebbero esserci autistici non registrati.

Nel 2021 la prevalenza era di un caso ogni 127 persone vive, per un totale di 62 milioni nel mondo, cioè meno dell’1% della popolazione (in linea con i dati sovietici di mezzo secolo fa, a suggerire che non ci sia affatto stato un aumento di casi). Un quarto, quindi, rispetto a quanto affermato da Kennedy.

Secondo numeri considerati molto più attendibili, perché derivanti da studi di popolazione e contenuti nel rapporto del Global Burden of Diseases Study, nel 2021 la prevalenza era di un caso ogni 127 persone vive, per un totale di 62 milioni nel mondo, cioè meno dell’1% della popolazione (in linea con i dati sovietici di mezzo secolo fa, a suggerire che non ci sia affatto stato un aumento di casi). Un quarto, quindi, rispetto a quanto affermato da Kennedy, e un dato stabile rispetto agli andamenti degli ultimi decenni, o di poco superiore.

L’incremento non ha dunque le dimensioni di un’epidemia, tuttavia c’è stato, per un motivo che appare chiaro a chi studia il fenomeno: il cambiamento radicale, avvenuto negli anni novanta, dei criteri che permettono di definire una persona “autistica”.

Donald Triplett è morto nel 2023, a 89 anni, nella sua casa di Forrest, nel Mississippi. Per chi si occupa di autismo era una celebrità, il Caso 1, e in occasione della sua scomparsa la sua storia è stata ricordata da molti. 

Nato nel 1933, Donald già nel 1937 venne ricoverato in una struttura dedicata alle malattie psichiatriche ma il padre, un anno dopo, lo fece uscire per affidarlo alle cure di Leo Kanner, uno psichiatra dell’Università Johns Hopkins di Baltimora che stava studiando altri casi. Triplett senior, probabilmente a sua volta autistico, anche se in forma meno grave, consegnò a Kanner un dossier scritto di suo pugno in cui, in trentatré pagine, descriveva nei minimi dettagli tutte le azioni ripetitive, i manierismi, le crisi e la straordinaria memoria del figlio: un’attenzione ai particolari tipica degli autistici e non sorprendente, proprio perché l’autismo ha molto spesso una componente ereditaria (vedi oltre). 

Quel materiale avrebbe costituito la base, insieme alla storia di altri dieci bambini, per la prima descrizione clinica dell’autismo, pubblicata nel 1943; grazie a essa Kanner viene tradizionalmente considerato “lo scopritore” dell’autismo, e Triplett, appunto, il Caso 1. 

A nove anni Caso 1 andò a vivere in una fattoria con una coppia senza figli, che gli dedicò tutte le cure possibili, accompagnandolo prima al diploma e poi alla laurea in matematica e francese. Nonostante la sua disabilità fosse piuttosto seria, si integrò senza grandi difficoltà, un traguardo non scontato in quegli anni. In seguito tornò nella casa dei genitori, morti negli anni Ottanta, e lì rimase fino al 2010, anno in cui John Donvan e Caren Zucker, due giornalisti dell’Atlantic, lo rintracciarono e ne raccolsero la testimonianza. Quella storia divenne prima un articolo quindi, nel 2016, un libro dal titolo In a different key: the story of autism finalista al premio Pulitzer e nel 2022 un film.

I criteri diagnostici suggeriti dallo stesso Kanner grazie a Triplett e agli altri bambini erano piuttosto restrittivi e prevedevano, tra l’altro, grandi difficoltà di comunicazione e relazione e disturbi dello sviluppo cognitivo e dell’apprendimento. Anche per questo l’autismo per decenni fu considerato raro. Non a caso, fino a quando quei parametri rimasero in vigore la situazione fu stabile, e l’incidenza non subì particolari variazioni. 

Il 60% dell’aumento delle diagnosi degli ultimi anni potrebbe essere dovuto a questo allargamento della definizione e alla accresciuta consapevolezza tra i genitori e gli insegnanti, a sua volta fonte – anche – di eccessi.

Poi, nel 1980, la terza versione del manuale diagnostico americano, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders o DSM, il riferimento per tutta la psichiatria mondiale, incluse l’autismo, iniziando ad allargarne la definizione. La vera svolta avvenne però prima nel 1990, con l’adeguamento dell’International Classification of Diseases (ICD), che stabilì i codici numerici e le definizioni delle malattie a livello mondiale, e poi soprattutto nel 1994, quando la quarta versione del DSM fece rientrare nell’autismo anche la sindrome di Asperger. Le diverse forme di autismo sarebbero poi confluite in un’unica definizione nell’edizione del 2013, la quinta. 

Era nato lo spettro dei disturbi autistici, un termine talmente vago da includere qualunque disturbo relazionale, da quelli più lievi alle forme gravissime di autismo, passando per l’Asperger, prima esplicitamente escluso, come pure i deficit dell’attenzione. Oggi non pochi psichiatri chiedono di riconsiderare la definizione di spettro, nella quale rientrano tutti coloro che hanno “modalità atipiche di comunicazione e interazione sociale, e comportamenti e interessi limitati e ripetitivi” ossia chiunque non ricada sotto un’idea di neurotipicità che per numerosi esperti semplicemente non esiste. 

Secondo studi come quelli fatti sui numeri della Danimarca, paese particolarmente attento alla raccolta dati della sua popolazione, il 60% dell’aumento delle diagnosi degli ultimi anni sarebbe dovuto a questo allargamento della definizione e alla accresciuta consapevolezza tra i genitori e gli insegnanti, a sua volta fonte – anche – di eccessi.

L’epidemia c’è stata. Ma di diagnosi, non di autismo.

Il grande incremento dei numeri, se non altro, ha fatto sì che l’autismo fosse finalmente studiato di più, e un ulteriore impulso è arrivato dopo l’incredibile vicenda del legame tra vaccini e autismo, di cui ancora oggi si pagano le conseguenze e sul quale è stato scritto e detto molto. 

Più ci si addentrava nei misteri dell’autismo, più si capiva che la questione era molto più difficile del previsto. Secondo la stragrande maggioranza di chi ci lavora, oggi ci sono pochi dubbi sul fatto che il ruolo principale sia da assegnare al codice genetico e all’ereditarietà. Per esempio, uno studio del 2019 condotto in cinque paesi attribuisce alla familiarità l’80% della responsabilità e conferma che non esiste il gene dell’autismo. Quelli coinvolti, non si sa ancora esattamente come, sono decine. Inoltre, in grandi studi di popolazione sono state identificate numerose mutazioni genetiche, ciascuna delle quali, da sola, ha un effetto minimo, e non sufficiente. Se però si verifica insieme ad altre condizioni può aumentare la probabilità. Queste varianti sarebbero responsabili del 10-20% dei casi, e potrebbero agire sinergicamente con altri fattori esterni. Cercare la singola tossina che causa l’autismo, quindi, per un neuroscienziato non ha alcun senso.

Tra i fattori esterni identificati finora, comunque, non ci sono i vaccini o il paracetamolo, ma agenti sui quali Kennedy jr, dopo i proclami degli anni precedenti, ha fatto calare la sua personale cortina di ferro, evitando l’argomento oppure rilasciando dichiarazioni troppo generiche e vaghe. Gli studi degli ultimi anni hanno infatti dimostrato che numerosi pesticidi, i perfluoroalchili (PFAS) e altri plastificanti, e i contaminanti presenti nell’inquinamento atmosferico possono far aumentare il rischio. Il governo, però, finora ha allargato le maglie nei confronti dei primi, deciso di non agire sui secondi, e inaugurato una nuova età dell’oro per i combustibili fossili, primi responsabili dei terzi. In altri termini, se Kennedy jr volesse agire conto contro i fattori esterni noti potrebbe farlo, ma poiché non ne ha alcuna intenzione, o forse non può, visti gli interessi economici in ballo, cerca un capro espiatorio che lo aiuti a sviare.

Kennedy jr sta portando alla rivolta i genitori dei bambini autistici, insieme alla delusione per la compiacenza nei confronti delle aziende chimiche e petrolifere che il senatore per anni ha dichiarato di voler combattere senza quartiere.

L’aspetto forse più avvilente di tutta la vicenda, se non si pensa ai fondi tolti all’assistenza, all’enorme spreco di tempo e denaro rappresentato dalla conduzione di studi che nessuno avrebbe fatto, perché gran parte delle risposte le abbiamo già, è però quello culturale. Un risvolto che potrebbe costare caro a Kennedy jr, perché sta portando alla rivolta i genitori dei bambini autistici, insieme alla delusione per la compiacenza nei confronti delle aziende chimiche e petrolifere che il senatore per anni ha dichiarato di voler combattere senza quartiere.

L’idea di considerare i neurodivergenti inutili a fini produttivi non solo è retrograda e discriminatoria: è profondamente sbagliata e non tiene conto della realtà di milioni di persone che rientrano nello spettro e che hanno una vita normale. Non solo: la letteratura, scientifica e non , è piena di analisi di personaggi storici, di artisti, letterati, musicisti che hanno segnato svolte fondamentali nei loro ambiti, e che rispondono ai criteri dello spettro. Per citare solo uno degli ultimi casi, anche Virginia Wolf avrebbe avuto chiari tratti autistici, perfettamente rintracciabili nei suoi scritti. Lo stesso Kennedy jr, del resto, non oserebbe definire inutile l’uomo chiave del ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, Elon Musk, affetto da una sindrome di Asperger piuttosto marcata. 

Per capire che cosa significhi essere un neurodivergente come Musk e in che modo un autistico possa essere più che produttivo o utile alla società, basta leggere Pensare senza parole. I doni nascosti di chi ragiona per immagini, pattern e astrazioni, l’ultimo libro di una delle persone autistiche più importanti degli ultimi decenni, appena uscito per Adelphi: Temple Grandin. 

Nel tempo, attraverso diversi libri e un incessante lavoro culturale che l’ha portata in tutto il mondo, Grandin è riuscita a raccontare come nessun altro che cosa significhi pensare, vivere e lavorare essendo autistici e, mai come in quest’ultimo lavoro, a spiegare come Pensare senza parole sia appunto solo un altro modo con il quale il cervello esplica le sue funzioni più nobili, e che cosa questo comporti. Non elaborare secondo idee, ma farlo secondo immagini e schemi offre infatti una visione diversa della realtà che, in molti casi, integra e completa quella dei neurotipici, e che in certi ambiti come l’ingegneria è molto più funzionale, per dirla con Kennedy jr. Non è un caso se Musk ha fondato aziende meccaniche, e non di altro tipo. 

Sentirsi un’antropologa su Marte – definizione che Grandin ha dato di sé stessa, per spiegare come si sente un autistico in certe situazioni, e ripresa da Oliver Sacks, a sua volta affascinato da questa eccezionale persona autistica – è solo un altro modo di stare al mondo, e può plasmare una vita straordinariamente interessante e piena. 

La stessa che avrebbe potuto avere Rosemary Kennedy, se non fosse stata considerata una persona difettosa, non produttiva e soprattutto non utile alla causa.

La foto è di Gage Skidmore.

Agnese Codignola

Agnese Codignola è scrittrice e giornalista scientifica con un passato da ricercatrice. Il suo ultimo libro è Alzheimer S.p.A. Storie di errori e omissioni dietro la cura che non c’è (Bollati Boringhieri, 2024).

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