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Massimo Polidoro
Elon Musk non è uno scienziato

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La sua reputazione da genio visionario è frutto di una strategia di marketing incompatibile con il pensiero critico e il metodo scientifico.

“Alla fine, tutta la vita sulla Terra sarà distrutta dal Sole.” Parole forti, quelle pronunciate da Elon Musk in un’intervista a Fox News, in cui spiegava le motivazioni a colonizzare Marte: creare una “seconda casa” per l’umanità, prima che il nostro pianeta venga incenerito dall’espansione solare.

Il problema? Questa affermazione è scientificamente fuorviante, anche se suona bene. Anzi, suona epica. Come molte delle dichiarazioni di Musk è costruita per sedurre. Il Sole, effettivamente, un giorno diventerà una gigante rossa. Ma questo accadrà tra circa cinque miliardi di anni. E lo stesso destino riguarderà Marte. Se si vuole una ragione scientifica per colonizzare altri pianeti, dunque, questa non è quella giusta. Eppure, lo storytelling da catastrofe imminente funziona. Soprattutto in un’epoca in cui l’alfabetizzazione scientifica è ancora debole.

1. L’illusione del genio visionario

Elon Musk è stato a lungo descritto come l’incarnazione del genio innovatore: l’uomo che vuole salvare il mondo. Auto elettriche, razzi riutilizzabili, interfacce cervello-macchina, tunnel futuristici. Ma c’è una differenza sostanziale tra il pensiero scientifico e il marketing tecnologico. E oggi, sempre più spesso, Musk dà più peso alla seconda che alla prima.

La differenza non è banale. Il pensiero scientifico si fonda su dubbi, verifiche, errori condivisi, trasparenza. Il marketing punta a convincere, stupire, vendere. Quando si confondono i due piani, il rischio è che l’opinione pubblica non distingua più tra fatti e affermazioni suggestive.

La narrazione “colonizziamo Marte prima che il Sole distrugga la Terra” è un esempio perfetto. Il tono da film di fantascienza colpisce l’immaginazione, ma ignora i dati. Nei prossimi milioni di anni, l’aumento della luminosità del Sole renderà gradualmente meno favorevole alla vita l’ambiente terrestre, a causa dell’innalzamento delle temperature globali e dell’alterazione degli equilibri climatici. Ma è importante ricordare che Marte è già oggi molto meno ospitale della Terra: ha un’atmosfera sottilissima, temperature medie polari, nessuna protezione magnetica e una gravità debole. Pensare di trasferirsi su Marte per “sfuggire” a una futura crisi terrestre legata al Sole è come cercare rifugio in un congelatore per evitare il caldo domestico. La vera emergenza, semmai, riguarda il presente e la vivibilità del nostro pianeta oggi, non tra miliardi di anni.

2. Pseudoscienza travestita da futuro

Un altro caso emblematico è Neuralink, la società di Musk che promette interfacce neurali rivoluzionarie: chip nel cervello per far camminare i paralizzati, curare la cecità, persino “fondere l’uomo con l’IA”.

Le promesse sono hollywoodiane. Ma cosa dice la scienza? Il primo impianto umano è stato effettuato solo nel 2024. I dati rilasciati sono vaghi. I protocolli, poco trasparenti. A oggi, non c’è alcuna prova che Neuralink abbia ottenuto risultati migliori di altri gruppi di ricerca pubblici, attivi da anni sulle stesse tecnologie. Alcuni, come i laboratori di BrainGate, hanno ottenuto risultati notevoli già un decennio fa, senza però sbandierare titoli sensazionalistici.

Eppure, Musk è riuscito a imporsi nel dibattito pubblico come il pioniere assoluto. Perché? Perché racconta meglio. Non importa se la scienza è ancora in fase sperimentale: conta l’effetto wow. La promessa di un futuro meraviglioso, sempre “a un passo” dall’essere realizzato.

In molti casi, il linguaggio usato da Musk ha i tratti distintivi delle pseudoscienze: affermazioni non falsificabili, come “Neuralink ci salverà dall’IA”; emergenze apocalittiche vaghe, come la distruzione della Terra; soluzioni semplicistiche a problemi complessi, come “andiamo su Marte”; e soprattutto, l’invito a credere più che a comprendere.

Questo è ciò che distingue un approccio scientifico da uno pseudoscientifico: nel primo, ogni affermazione è temporanea e soggetta a revisione. Nel secondo, si chiede fiducia cieca.

Nel caso di Musk, spesso si parla di “scienza pop”. Ma c’è un pericolo reale: la popolarizzazione senza rigore non è divulgazione, è persuasione. E la persuasione senza fatti apre la strada alla disinformazione.

3. Il fascino dell’autorità carismatica

C’è anche un aspetto psicologico: Musk rappresenta un tipo di autorità carismatica che piace a molti. L’imprenditore che sfida le regole, il miliardario che sembra più intelligente dei politici, il visionario che dice quello che pensa. In un mondo in crisi di leadership, la figura dell’uomo solo al comando affascina: è l’archetipo del genio ribelle, dell’innovatore che agisce contro il sistema per cambiare il mondo. Quando una figura così potente veste i panni dello “scienziato”, il confine tra conoscenza e opinione si confonde. E il pubblico rischia di prendere per verità rivelate ciò che sono, in realtà, visioni personali, ipotesi vaghe o semplici slogan.

Ma Elon Musk non è uno scienziato. È un imprenditore con una cultura tecnica notevole, certo, ma il metodo scientifico non è solo saper costruire razzi. È una disciplina mentale fatta di lentezze, errori, rigore, collaborazione, pazienza. Tutto ciò che mal si adatta ai tweet da 280 caratteri o alle sparate da palcoscenico con una motosega in mano, come accaduto quando Musk ha annunciato di voler “tagliare” la burocrazia federale americana.

Forse anche per questo, di fronte al recente contraccolpo politico, Musk ha annunciato di voler tornare a occuparsi dei suoi affari e che non investirà più (almeno per ora) in politica. 

Si è così congedato la scorsa settimana in una conferenza stampa alla Casa Bianca insieme a Donald Trump, mostrandosi amichevole e soddisfatto per il lavoro svolto. Ma già pochi giorni dopo ha duramente criticato la proposta di legge che Trump ha definito “One Big, Beautiful Bill Act” (“La grande e bellissima legge”), e che prevede tagli alle tasse per i più ricchi e maggiori investimenti in spese militari e controllo delle frontiere, ma anche tagli significativi a scuola, sanità, energie rinnovabili e agli incentivi per l’acquisto di auto elettriche. 

Una decisione che colpisce direttamente gli interessi di Musk, proprietario di Tesla, che ha definito la legge «un disgustoso abominio» destinato solo ad aumentare il debito degli Stati Uniti. Ha già minacciato di fare campagna elettorale contro i Repubblicani che la voteranno in vista delle elezioni di metà mandato del novembre 2026.

Oltre ai tagli, a pesare potrebbe essere anche altro: il governo ha infatti escluso Starlink (la rete di satelliti di Musk) dalla gestione del traffico aereo e ha revocato la candidatura di Jared Isaacman, miliardario e amico di Musk, che era stato indicato per guidare la NASA.

Il coinvolgimento diretto di Musk ha mostrato i limiti di un approccio che funziona forse in azienda o in campagna elettorale, ma molto meno nella gestione democratica. La battuta di arresto – e il ridimensionamento del suo ruolo nella sfera pubblica – non sono solo un fatto politico: sono anche il segno di quanto sia pericoloso pensare che la leadership carismatica possa sostituire il sapere diffuso, la competenza collettiva, il metodo.

Perché la scienza non si comanda. Non si dirige come un’azienda. Non si impone con il carisma o con la visibilità. Si costruisce, giorno dopo giorno, con il lavoro paziente e invisibile di migliaia di persone che collaborano, discutono, sbagliano, correggono. Un processo che ha poco di spettacolare, ma molto di reale. E che oggi, più che mai, ha bisogno di essere difeso – anche da chi, forse in buona fede, lo riduce a strumento retorico.

4. Pensare come scienziati

In fondo, questo è il punto centrale. In assenza di un’educazione scientifica diffusa, diventa facile per chiunque – se ha abbastanza carisma, soldi o follower – usare la scienza come cornice narrativa. Lo vediamo con Elon Musk, ma anche con personaggi meno noti e spesso più pericolosi, che vendono cure miracolose, diete fasulle o teorie del complotto. Ma mentre il ciarlatano tradizionale promette l’elisir di lunga vita in una bottiglietta, Musk lo fa con un razzo, un chip o un tweet virale. Cambia la confezione, non la sostanza: in entrambi i casi, si fa leva su una promessa seducente, spesso non dimostrata, e su un pubblico che fatica a distinguere il possibile dal plausibile, e il plausibile dal vero.

Ecco perché coltivare l’alfabetismo scientifico è fondamentale. Non solo per capire il cambiamento climatico, i vaccini o la genetica. Ma per imparare a riconoscere i segnali di allarme: affermazioni straordinarie senza prove, dati presentati fuori contesto, risultati millantati senza pubblicazioni verificabili, proclami tecnologici che si appoggiano più sulla fede che sull’evidenza. E Musk, negli ultimi anni, è diventato un campione di questo approccio. Non c’è solo Neuralink, dove i comunicati stampa hanno spesso preceduto i dati, ma lo si è visto anche con l’autopilot di Tesla, presentato come quasi infallibile nonostante i limiti noti e i numerosi incidenti. Lo si è visto con l’Hyperloop, cioè l’idea di un treno superveloce che viaggia in capsule sospese in tunnel a bassa pressione, annunciato come una rivoluzione nei trasporti ma che, a oltre dieci anni dalla sua proposta, non ha ancora prodotto alcun sistema funzionante su scala reale.

L’influenza di Musk, nel bene e nel male, è ormai parte della nostra epoca. Ha reso popolari temi cruciali, ha acceso entusiasmi, ha portato risorse a settori strategici come lo spazio e l’intelligenza artificiale. Ma proprio per questo è importante imparare a distinguere tra ciò che è guidato dal metodo scientifico e ciò che è guidato dalla narrazione. Perché quando la scienza viene usata come palcoscenico, anziché come strumento di indagine, perde la sua funzione sociale più preziosa: quella di aiutarci a capire il mondo e a migliorarci come società.

Pensare come scienziati non significa essere freddi, cinici o privi di immaginazione. Significa coltivare il dubbio, cercare prove, cambiare idea. Significa anche dire “non lo so” quando i dati non bastano, anziché vendere certezze illusorie. È un’attitudine mentale da valorizzare in ogni ambito della vita pubblica.

Perché la scienza non è perfetta, ma è l’unico strumento che abbiamo per conoscere davvero la realtà. E in un mondo sempre più complesso, credere alle storie sbagliate non è solo ingenuo: può essere pericoloso. Soprattutto quando a raccontarle non è un imbonitore qualunque, ma qualcuno che ha le risorse per trasformare una narrazione pseudoscientifica in una strategia globale.

foto di Gage Skidmore – CC BY-SA 2.0

Massimo Polidoro

Massimo Polidoro, scrittore e divulgatore, insegna Comunicazione della scienza all’Università di Padova e al Politecnico di Milano. È stato con Piero Angela e altri co-fondatore del CICAP, è Research Fellow del Center for Skeptical Inquiry ed è stato Visiting Associate al Dipartimento di Storia della scienza dell’Università di Harvard con la storica Naomi Oreskes. Ha un canale YouTube molto seguito, è ideatore di vari podcast e autore di numerosi libri, l’ultimo dei quali si intitola Una vita ben spesa. Trovare il senso delle cose con Leonardo, Einstein e Darwin (Mondadori, 2025).

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