Dalle prime molecole autoreplicanti alle reti evolutive complesse: secondo alcune ricerche recenti, l'RNA non solo sostiene i meccanismi fondamentali della vita, ma è anche la chiave per comprenderne l'origine.
Se si cerca il filo rosso che unisce le funzioni più intime dell’RNA nella cellula moderna – il ribosoma che costruisce proteine, i tRNA che fanno da adattatori, i ribozimi che catalizzano reazioni e regolano processi – ci si ritrova costantemente davanti a un paradosso storico: la molecola al centro della vita, che trasporta informazione e al tempo stesso la trasforma in azione chimica, mostra ancora oggi, nelle cellule di ogni essere vivente, le tracce di un antico passato. Un passato in cui la vita stessa, nella sua forma più elementare, non doveva assomigliare molto a ciò che chiamiamo oggi cellula, ma era già retta da logiche evolutive e da meccanismi di replica, variazione e selezione.
La domanda che ossessiona da decenni biologi e chimici è sempre la stessa: come può la vita nascere da molecole semplici? Come si è passati da una Terra giovane e caotica, senza cellule, senza DNA, senza proteine, a un mondo in cui l’informazione e la chimica sono così perfettamente intrecciate? La risposta che oggi la scienza propone con crescente forza è la cosiddetta “ipotesi del mondo a RNA”. Non una fantasia, ma una ricostruzione sperimentale che ha guadagnato solidità grazie a scoperte di laboratorio sempre più sorprendenti.
Tutto nasce dall’osservazione, ormai ben documentata, che l’RNA può non solo immagazzinare informazione genetica come fa il DNA, ma anche piegarsi, ripiegarsi e diventare una macchina molecolare capace di catalizzare reazioni, cioè di agire come una proteina. E che questa doppia funzione non è una curiosità marginale, ma una caratteristica che nessun’altra molecola, nel mondo naturale, sembra possedere a un simile livello di efficacia.
“La domanda che ossessiona da decenni biologi e chimici è sempre la stessa: come può la vita nascere da molecole semplici?”
Fu questa proprietà, scoperta negli anni Ottanta con la rivelazione dei primi ribozimi catalitici, che accese la scintilla: una singola molecola può essere sia “archivio” che “operaio”. Negli ultimi anni, però, la storia si è arricchita di dati che hanno cambiato il quadro: oggi è stato possibile selezionare, in laboratorio, veri e propri replicatori a RNA – molecole corte, ottenute anche artificialmente, che sono in grado di catalizzare la formazione di nuovi filamenti di RNA copiando una sequenza stampo. Alcuni di questi replicatori, come quelli ottenuti da Gerald Joyce e colleghi, riescono persino a copiare sé stessi e altre molecole simili, avviando così una primitiva forma di evoluzione darwiniana: variazione nella sequenza, replica non perfetta, selezione dei filamenti più efficienti. Si sono così osservati sistemi molecolari in cui una popolazione di RNA, in condizioni adatte, dà origine a una vera dinamica evolutiva, con “mutanti” più o meno efficaci nel replicarsi e nel catalizzare reazioni.
È cruciale sottolineare come questi replicatori siano stati ottenuti attraverso cicli di selezione in vitro che imitano il principio della selezione naturale: una popolazione iniziale di RNA viene sottoposta a condizioni che favoriscono la replicazione solo delle sequenze più efficaci. Le varianti che dimostrano capacità catalitiche più elevate vengono selezionate, amplificate e nuovamente sottoposte a mutazione, generando dopo numerosi cicli molecole di RNA sempre più efficienti. Con questa strategia, in laboratorio si sono ottenuti filamenti in grado di catalizzare la polimerizzazione di altri RNA, nonché di replicare sé stessi, un traguardo che solo pochi decenni fa sembrava impossibile. La replicazione non è ancora perfetta né efficiente come quella degli enzimi proteici moderni, ma la dimostrazione che sistemi di RNA siano effettivamente in grado di sostenere cicli autocatalitici ed evolutivi rappresenta uno dei punti di svolta più notevoli nella storia della biologia sperimentale. Questi risultati non solo confermano la plausibilità materiale di un mondo a RNA, ma offrono una prova diretta che l’evoluzione darwiniana può emergere già a livello di semplici popolazioni molecolari.
“L’evoluzione darwiniana può emergere già a livello di semplici popolazioni molecolari”.
Ma il passo più rivoluzionario si compie quando ci si accorge che questi replicatori non agiscono mai come monadi isolate. Al contrario, quando si lascia evolvere una popolazione di RNA replicanti, soprattutto in esperimenti condotti su lunghi periodi e in presenza di numerose varianti, emerge spontaneamente un comportamento collettivo: nascono reti di RNA autoreplicanti. In queste reti, ogni molecola non si limita a replicare sé stessa, ma può facilitare, catalizzare o perfino ostacolare la replica di altri RNA presenti nel sistema. Si creano così veri e propri circuiti di interazione, dove filamenti diversi collaborano o competono: alcuni si specializzano come catalizzatori principali, altri diventano “aiutanti”, altri ancora si comportano come parassiti molecolari, sfruttando la replicazione promossa dagli altri senza contribuire alla catalisi del sistema.
Gli esperimenti pionieristici di Eigen, Joyce, Lincoln, e successivamente di Norikazu Ichihashi e colleghi, hanno permesso di osservare la formazione spontanea di queste reti autocatalitiche: in popolazioni evolventi di RNA, compaiono rapidamente varianti parassite, ossia filamenti più corti che si replicano più velocemente usando le funzioni catalitiche prodotte da altri, ma che da soli non sono in grado di sostenere la rete. In risposta, si osservano anche la comparsa di “difese” – filamenti che evolvono mutazioni per ridurre l’attacco dei parassiti, cambiando la propria sequenza o modificando i siti di interazione. In poche generazioni molecolari, anche in assenza di cellule o di qualsiasi controllo centrale, emerge un’ecologia molecolare sorprendentemente ricca, con dinamiche di predazione, competizione, mutualismo e resistenza, che rispecchiano fenomeni classici degli ecosistemi biologici su scala macroscopica.
“Le prime forme di vita non dovevano essere entità isolate, ma reti di molecole in continua interazione, selezione e adattamento reciproco”.
Questa scoperta, che un semplice sistema di RNA, se lasciato evolvere, dia immediatamente origine a interazioni parassitarie e a primitive strategie difensive, non solo conferma la plausibilità dell’ipotesi del mondo a RNA, ma suggerisce che la “socialità” e la complessità ecologica siano proprietà emergenti della materia replicante, indipendenti dalla presenza di cellule, membrane o compartimenti biologici. In altre parole, le prime forme di vita non dovevano essere entità isolate, ma reti di molecole in continua interazione, selezione e adattamento reciproco.
Questi risultati non sono solo una curiosità tecnica. Dimostrano che la base materiale dell’evoluzione – cioè l’esistenza di una popolazione di entità che si replicano con errori e competono fra loro per risorse – può essere sostenuta già da molecole di RNA corte, senza bisogno di proteine complesse o di membrane cellulari. Il mondo a RNA, insomma, non è più solo una buona idea teorica: è una realtà chimica che oggi si può osservare e manipolare nei laboratori di tutto il mondo. Un sistema fatto di molecole che sanno leggere sé stesse e altre, che usano l’informazione nella sequenza per cambiare forma e funzione, che variano, si replicano e subiscono una selezione naturale, come previsto da Darwin, molto prima che esistesse una cellula vera e propria.
Naturalmente, perché tutto ciò abbia potuto funzionare sulla Terra primordiale, occorreva che i mattoni di base – i nucleotidi dell’RNA – si formassero in quantità sufficiente e si unissero in catene. Anche qui, la chimica prebiotica ha compiuto progressi decisivi: oggi sappiamo che, in condizioni simili a quelle delle sorgenti idrotermali, dei laghi evaporanti o delle superfici minerali esposte a cicli di asciutto e bagnato, possono effettivamente formarsi nucleotidi e catene di RNA. Esperimenti recenti hanno mostrato che le argille, come la montmorillonite, possono fungere da superfici catalitiche: assorbono i nucleotidi e ne facilitano la polimerizzazione, permettendo la formazione spontanea di filamenti anche lunghi decine di nucleotidi, ben oltre la soglia necessaria per costruire replicatori funzionali. Le condizioni offerte dalle sorgenti idrotermali, con i loro gradienti di temperatura e di composizione chimica, forniscono l’energia necessaria e creano microambienti in cui la concentrazione dei reagenti può raggiungere livelli idonei alla sintesi di polimeri. Il ruolo del fosfato – elemento chiave nello scheletro dell’RNA – si rivela altrettanto cruciale: la disponibilità di fonti di fosfato reattivo, insieme a cicli di idratazione e disidratazione, può promuovere la formazione del legame fosfodiesterico che unisce i nucleotidi. In laboratorio, sfruttando queste condizioni e usando semplici precursori prebiotici, si sono ottenute catene di RNA della lunghezza richiesta per i più corti replicatori identificati: filamenti di 30-50 nucleotidi, già capaci di funzioni catalitiche essenziali. Alcuni di questi sistemi, se lasciati evolvere, hanno mostrato la tendenza ad allungarsi ulteriormente, suggerendo che la sintesi spontanea di RNA funzionale fosse plausibile anche nell’ambiente terrestre primordiale.
“Il mondo a RNA, insomma, non è più solo una buona idea teorica: è una realtà chimica che oggi si può osservare e manipolare nei laboratori di tutto il mondo”.
Questi scenari chimici non rappresentano solo una cornice teorica, ma costituiscono la base concreta su cui la vita potrebbe essersi originata: le superfici minerali delle argille, i gradienti delle sorgenti idrotermali e la disponibilità di fosfato reattivo forniscono ambienti idonei non solo alla sintesi spontanea di RNA, ma anche alla selezione e all’amplificazione di sequenze via processi autocatalitici. Il fatto che sia stato possibile riprodurre questi passaggi in laboratorio, almeno in forma semplificata, rappresenta una delle conquiste più importanti della ricerca sull’origine della vita. Si dimostra così che le condizioni e le risorse necessarie per la comparsa dei primi replicatori non erano eccezionali o irripetibili, ma potenzialmente comuni sulla giovane Terra.
Non bisogna però immaginare il mondo a RNA come una distesa di filamenti ordinati che si replicano all’infinito. Era piuttosto un universo brulicante di varianti, di molecole che spesso si rompevano, di sequenze che cambiavano e di una selezione guidata solo dalla capacità di replicarsi più in fretta o con maggiore fedeltà. La “vita” era ancora senza confini netti, fatta di cicli chimici che solo occasionalmente davano origine a qualcosa di sufficientemente stabile e replicante da poter evolvere ulteriormente.
La transizione dal mondo a RNA a quello delle cellule moderne è ancora oggi oggetto di ricerca, ma la direzione sembra chiara: una volta stabilita la base per l’evoluzione molecolare, le possibilità per la comparsa di nuove strutture – come le prime membrane e i primi enzimi proteici – si moltiplicano, e con esse la capacità di sopravvivere, adattarsi e colonizzare nuovi ambienti. L’RNA avrebbe così ceduto, gradualmente, parte delle sue funzioni a molecole più efficienti, ma senza mai sparire: ancora oggi, ogni cellula racconta questa storia antica. Il ribosoma, la macchina che costruisce tutte le proteine della vita, è ancora fatto di RNA. I tRNA che traducono informazione in azione sono RNA. I ribozimi che regolano e catalizzano sono RNA. È un’eredità che si può vedere, toccare, misurare.
“Ogni volta che un filamento di RNA si piega, si duplica, traduce informazione o catalizza una reazione, sta celebrando – senza saperlo – la memoria di quell’epoca, quando la vita non era ancora vita, ma già sapeva replicarsi, mutare ed evolvere”.
La forza dell’ipotesi del mondo a RNA, insomma, sta proprio nella sua capacità di collegare passato e presente: non solo si possono oggi riprodurre in laboratorio alcuni dei processi che forse hanno avviato la vita, ma si scopre ogni giorno che la cellula moderna è piena di fossili viventi di quell’antico mondo. Ogni volta che un filamento di RNA si piega, si duplica, traduce informazione o catalizza una reazione, sta celebrando – senza saperlo – la memoria di quell’epoca, quando la vita non era ancora vita, ma già sapeva replicarsi, mutare ed evolvere.
Ed ecco quindi il vero protagonista del nostro viaggio per queste quattro puntate: l’RNA. È stata probabilmente questa molecola a cambiare le regole del gioco dell’evoluzione chimica prebiotica, a incarnare insieme la memoria e l’azione, la possibilità di custodire informazione e di attuarla. Ogni scoperta, ogni replicatore ottenuto in laboratorio, ogni rete autocatalitica o catena spontanea formata nelle condizioni prebiotiche, ci racconta un’importante verità: l’RNA possiede, per sua natura, le proprietà necessarie non solo ad avviare, ma a sostenere la vita e l’evoluzione darwiniana. Non è soltanto una reliquia di un passato remoto: è il cuore ancora pulsante della biologia, il nodo centrale attraverso cui si realizza il dialogo tra informazione e funzione, tra passato evolutivo e presente. Nonostante DNA e proteine abbiano assunto funzioni da protagonisti nella narrazione tradizionale della biologia, basta osservare più da vicino la cellula per accorgersi che la regia nascosta rimane quella dell’RNA. Il ribosoma che costruisce tutte le proteine, gli RNA che regolano, traducono, modificano e catalizzano, i meccanismi di controllo più profondi e universali: tutto ruota attorno a questa molecola. Forse non abbiamo mai smesso di vivere in un mondo a RNA. Ogni cellula, ogni essere vivente ne porta la firma in ogni istante della propria esistenza. Così, indagando le sue proprietà e la sua storia, non esploriamo soltanto l’origine della vita: scopriamo la trama invisibile che la sostiene ancora oggi, e la straordinaria continuità del mondo vivente.
E questa scoperta ha di recente alimentato uno straordinario avanzamento nella medicina e nelle biotecnologie: ne parleremo nella prossima puntata, a conclusione di questo viaggio straordinario fra gli RNA.